CAPITOLO 176
«Andiamo.» Gridò Gideon. «Adesso.»
Ebbi a stento il tempo di ricompormi, calzare gli stivali e raggiungere il fianco di Gideon.
«Che sta succedendo?» Domandò Rubyo.
Credevo che il tempo lo avesse indebolito, che la lontananza lo avesse reso più lento, meno reattivo.
Ma mi sbagliavo.
Era vero, il suo sguardo adesso sembrava più stanco del solito, eppure era già scattato in piedi, esattamente come avrebbe fatto una volta, a osservare il perimetro fuori dall'uscio.
E io non sapevo cosa pensare.
Non sapevo se esserne felice o meno.
Nel mio cuore vibrava un'emozione nostalgica.
E per un momento mi parve quasi dolce.
Ma quando mi resi conto di come, dopotutto, neanche il mio tentativo di allontanarlo gli aveva fatto passare quel brutto vizio, allora capii di averlo macchiato, rovinato per sempre.
E quel sentimento in me si fece più amaro.
Perché dai rischi, dai pericoli, forse non lo avevo mai allontanato.
L'unica differenza adesso era che fosse disarmato.
Privo di arma perché privo di titolo.
Deglutii un groppone che mi si era annodato in gola.
Il mio sguardo, la mia attenzione, non aveva ancora lasciato la sua mano vuota, il suo pugno chiuso intorno all'aria.
Neanche dal fianco pendeva più alcun fodero.
E se fosse stata quella la causa delle sue ferite?
Se fossi stata io, con quella scelta, a impedirgli di difendersi quando più ne aveva bisogno?
Adesso non era più la mia guardia del corpo.
No, adesso non era più neanche una guardia imperiale.
E non aveva il dovere di impugnare un'arma.
Non ne aveva il diritto.
Perché ora era un cittadino comune, e se avesse osato maneggiare anche solo un coltello, allora sarebbe finito imprigionato in chissà quale segreta, arrestato da chissà quali guardie imperiali.
Guardie, che non valevano neanche la metà di lui.
E non avrebbe potuto opporsi.
Perché loro avrebbero avuto ragione, e lui sarebbe stato dalla parte del torto.
Così, costretto in quelle condizioni, mi domandai cosa sarebbe accaduto se solo Degorio non fosse arrivato, intervenuto.
E nonostante lo odiassi, ripudiassi, questa volta non potevo che essergli riconoscente.
Ma per quanto mi pentissi delle mie scelte, per quanto avrei voluto che il tempo si riavvolgesse, quello non era il momento giusto per rimuginare su un passato che non sarebbe tornato.
Che non sarebbe cambiato.
«Quel cerbiatto!» Continuò Gideon, convincendomi ancora di più ad abbandonare quei pensieri.
Le sue gambe erano frementi per l'adrenalina.
«No, quella vecchia!» Riformulò, rendendo il tutto più confuso.
«Spiegati Kelpie!»
Senza neppure sapere il perché, avevamo iniziato a correre.
Io, Rubyo, Gideon... e Aerin.
La sua presenza mi fece rabbrividire.
Era spuntata da dietro un angolo della capanna, silenziosa come un'assassina, come una belva all'agguato.
I nostri sguardi si erano incrociati solo per un breve istante, eppure quella luce soddisfatta nei suoi occhi mi aveva fatto accapponare la pelle, riportandomi alla mente le sue parole.
«Sarà il tuo stesso sangue a tradirti.»
Aveva detto, e ora la sua presenza era come la personificazione di un cattivo presagio.
Un brutto auspicio che era finalmente giunto a reclamare le sue vittime.
Era quello in momento?
Era finalmente arrivato il tempo in cui lei avrebbe potuto godersi il compiersi della sua vendetta?
Non capivo.
Non capivo perché non sapevo.
Ma temevo che, di qualunque cosa si fosse trattata, avrebbe convolto anche di Rubyo.
E come se la mia gola avesse chiamato con voce affannata il suo nome, lui si voltò.
Gli occhi verdi fissi nei miei nonostante la corsa.
E fu un attimo.
Ma sembrò un'infinità.
Poi la sua attenzione si spostò su Gideon, che aveva ripreso a parlare, confermando i miei timori.
«Sa' di Lyra, l'alleanza è saltata.»
Sentii le unghie infilarsi nel palmo della mano da quanto forte strinsi il pugno.
Come era successo?
Chi era stato?
Le domande si accavallavano nella mia mente come il respiro nei miei polmoni.
E il cuore balbettava a quel rapido ritmo della corsa.
Sapevo sarebbe stato impossibile nascondere la mia vera identità per sempre.
Sapevo sarebbe accaduto prima o poi.
Ma non così presto.
Non dopo solo una notte dal matrimonio.
Scossi la testa come a scacciare quei pensieri.
No, non era quello l'importante.
Ciò che davvero contava, era come, ad essere scoperta, fosse stata solo la mia identità.
Tutti credevano ancora che l'ultimo dei Peccatori fosse morto, e quindi Rubyo era al sicuro.
Per ora.
L'insolito tremore della voce di Gideon segnalò come non fosse abituato a correre e, allo stesso tempo, parlare in forma umana, ma prima avrebbe concluso il suo discorso, prima avrebbe potuto trasformarsi. «Nai Nai ti sta cercando!»
Non era difficile immaginarne il motivo.
Ora che conosceva la mia vera identità, ora che sapeva fossi non solo una semplice umana ma anche la Principessa, avrebbe fatto di tutto per catturarmi, per uccidermi.
Improvvisamente, le erano stati dati due motivi per liberarsi di me.
Perché così, oltre a soddisfare uno dei suoi desideri più reconditi, avrebbe anche liberato suo nipote dal vincolo di un matrimonio che lei stessa aveva approvato.
E per quanto lei ora potesse rifiutarsi dall'ammetterlo, per quanto avrebbe desiderato cancellare, rimuovere per sempre quel legame, sapeva che ci sarebbe riuscita solo al prezzo di una vita.
La mia o quella di Thui.
Perché fin quando entrambi i nostri cuori avrebbero battuto nei nostri petti, allora quel matrimonio sarebbe stato valido.
«Come lo ha scoperto?» Chiesi, lo sguardo rivolto davanti a me, l'affanno che mi consumava le parole.
Ma Gideon non fece in tempo neppure a iniziare la frase, che delle ombre ci sorpresero dal fianco, spuntando da oltre i tronchi del bosco.
Il mio cuore ebbe un sussulto e la mano scattò sull'elsa della spada prima ancora che i miei occhi riuscissero a riconoscere le sagome di Dollarus, scortato dai suoi uomini, e... Degorio?
Mi accigliai, allentando la presa attorno all'arma.
Ma quello sarebbe stato un problema che avrei affrontato in un altro momento: prima ci saremmo messi tutti in salvo, poi avrei avuto modo di interrogarlo e capire se lasciarlo vivere.
«Pare le sia giunta una voce.» Rispose l'omino, non facendo altro che aumentare il vocio nella mia testa, le domande che si accavallavano l'una all'altra. «E dopo aver trovato vostro marito accasciato nel bosco, deve aver capito che quella voce non doveva essere poi così falsa.» Dollarus parve terminare la frase allo stremo dell'ossigeno.
«Lui stesso adesso vi sta dando la caccia.» Aggiunse, dopo aver bevuto un abbondante sorso dalla fiaschetta come da tempo non lo vedevo fare.
Deglutii un altro boccone di saliva amara.
Sapevo che, in un'eventualità simile, Nai Nai ci avrebbe messo contro, così come sapevo che Thui non avrebbe mai voltato le spalle a sua nonna, ad un membro della sua famiglia.
Eppure adesso mi faceva male il cuore ammettere che, se mai ci saremmo rivisti di nuovo, io e Thui saremmo stati avversari.
Mi pentii di non averci speso più tempo insieme la sera precedente.
Mi pentii di non avergli potuto dire un addio più appropriato.
Ma nonostante tutti quei pensieri, la mia mente non riusciva a mettere a tacere quella voce nella mia testa che ancora si chiedeva come fosse possibile, per quella situazione, degenerare a tal punto nel corso di una sola notte.
Spostai lo sguardo ai miei fianchi, dove il numero di alberi stava via via scemando.
Gideon ci aveva avvertiti con preavviso, eppure dopo tutti quei mesi trascorsi nella Tribù, sapevo quanto veloci fossero i Rayag.
E non c'era dubbio che avessero già fiutato la nostra scia.
Guardai il polso, dove delle bende nascondevano una ferita ancora fresca.
La mia scia.
Era solo questione di tempo prima che ci raggiungessero.
Non riuscivo ancora a vedere il mare all'orizzonte, ma quando l'odore della salsedine mi pizzicò il naso, le mie gambe trovarono una forza nuova.
«Siamo vicini!» Sentii la voce di Gideon rimbombarmi in testa, una conferma dei miei pensieri.
Non sapevo quando si fosse trasformato in Kelpie, ma notai come, nonostante quella forma gli permettesse di correre molto più veloce della sua attuale andatura, avesse deciso di rimanere al nostro fianco, insieme al gruppo, una scelta che forse in passato non avrebbe compiuto.
E anche Aerin, che non avrebbe mai lasciato suo figlio, aveva fatto lo stesso.
«Lo so.» Risposi, e l'ennesima goccia di sudore mi solleticò il collo.
Ora i soli colpivano più caldi la nostra testa, le chiome sempre più diradate.
Poi, finalmente, un bagliore.
Un luccichio, lontano, che mi obbligò a strizzare gli occhi per un istante: il mare.
Fu solo allora che notai un piccolo sentiero alla mia destra.
L'erba lo aveva quasi nascosto.
Conoscevo quel posto, ci ero passata più volte con Thui.
Mi fermai di scatto.
«Proseguite senza di me.»
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