CAPITOLO 173
«Perché mi hai allontanata?» Continuai.
«Lo hai fatto prima tu.» Lo osservai guardarmi.
«Ti ho chiesto scusa e ho provato a riavvicinarti.» L'acqua che impregnava la veste parve farsi bollente contro il mio corpo. «Sei ancora arrabbiato con me?»
«Non lo sono mai stato.» I suoi respiri sembrarono iniziare a farsi più brevi.
«Allora perché mi hai evitata?»
L'afrodisiaco aveva ripreso a farmi bruciare gli occhi.
O forse, questa volta, non era quella la causa.
Non ricevetti alcuna risposta.
Ovvio, come poteva la mia mente risolvere problemi a cui io stessa non sapevo trovare la soluzione?
Eppure non era la verità ciò che stavo cercando, ma una bugia.
Una bugia in cui annegare.
Una bugia in cui annullarmi.
«Ti odio.»
Quindi avrei inventato.
In quella bolla di illusione, avrei inventato la risposta che mi avrebbe fatta sentire meglio.
«Ti odio, perché ti voglio.»
Sentivo la pelle fremermi, le lacrime quasi evaporare sulle guance bollenti.
Le emozioni così forti da farmi girare la testa.
«Ti odio, perché non posso fare a meno di cercarti.»
Ma le avrei represse.
Sfogate, una volta per tutte, e poi annullate.
«Perché mi hai tradita?» Annaspai.
Come se non fossero mai esistite.
E le mie giornate sarebbero continuate, normali, regolari.
Come sempre.
«Almeno tu-» Un singhiozzo mi bloccò la frase a metà. «Avrei potuto accettare il tradimento di chiunque ma non il tuo!»
Lo guardai negli occhi, implorante.
Chiedevo spiegazioni.
Speravo mi capisse.
«Non l'ho mai fatto.»
Si, esatto. Erano quelle le parole giuste.
«Non ti ho mai tradita.»
Vidi la sincerità nei suoi occhi e il mio cuore palpitò all'idea di poterlo leggere di nuovo come un tempo.
Ma non dovevo dimenticare.
Che quello era un sogno.
Che lui non era reale.
Battei le ciglia e le palpebre rimasero chiuse qualche attimo in più.
Ricercai, dentro di me, la rabbia che avevo tentato di nascondere trasformandola in tristezza, in delusione.
E quando la trovai, la liberai dalle sue catene, dalle sue maschere.
La lasciai riemergere.
«Allora perché hai portato Degorio con te?!»
Spinsi il mio palmo contro il suo petto.
Un colpo, uno schiaffo, uno sfogo, di cui tanto avevo bisogno.
E lui, Rubyo, la sua illusione, indietreggiò di un passo, incapace di sostenere la forza dell'alleviamento delle mie pene.
E quella fu l'ulteriore prova che, avanti a me, altro non avessi che il riflesso delle fantasie della mia mente.
Perché Rubyo, il vero Rubyo, non sarebbe mai stato così debole.
«Sono io che l'ho seguito.» Disse lui, inventai io.
«A quale scopo? Lui è nostro nemico.»
E allora continuai, mi sfogai in un'altra spinta.
Così lui indietreggiò di nuovo.
«Mi ha salvato la vita.»
Soffocai una risata.
Probabilmente quella era l'unica risposta che la mia mente riusciva a razionalizzare.
Così mi avvicinai, la mente annebbiata da quei fumi afrodisiaci eppure mai così lucida.
Strinsi il pugno attorno al collo della sua maglia, tirandolo verso di me.
Il suo viso, arrossato, era a pochi centimetri dal mio.
Il suo respiro, affaticato, mi solleticava gli zigomi.
«Non spiega perché tu lo abbia seguito.»
Il calore del suo corpo quasi invadeva il mio.
Eppure sapevo come quello fosse solo una conseguenza dell'afrodisiaco.
«Voleva trovare Dollarus.» Si liberò dalla mia presa, quasi privo di fiato.
«E tu cosa c'entri con lui?»
«Sapevo fosse con-» Inciampò, troppo vicino al bordo del letto, cadendo all'indietro. «-te.» Concluse.
Sorretto solo dai gomiti, non aveva mai lasciato che il suo sguardo abbandonasse i miei occhi.
Sentii il mio cuore sussultare, come se quella a cadere improvvisamente fossi stata io.
«L'ho fatto per te.» Stava sussurrando. «Volevo rivederti.» Un bisbiglio così incerto che dovetti avvicinarmi per essere sicura di aver sentito bene.
«Perché?» Il mio ginocchio in mezzo alle sue cosce.
Rispose, ma non sentii.
Poggiai una mano sulla sua spalla, tirando il suo busto verso di me.
Lo sentii irrigidirsi sotto al mio tocco.
Il collo teso imperlato di sudore.
«Cosa hai detto?» A cavalcioni su di lui cercavo risposte.
«Mi mancavi.» Ripeté, le pupille dilatate.
«Eppure non hai impedito il mio matrimonio.» Le mie labbra, ancora schiuse, ansimavano su di lui.
«Non ne ho alcun diritto. Io-» Il suo sguardo perse quota, scivolando sulle mie labbra, poi tornò nei miei occhi. «Io sono solo tuo fratel-»
«Non abbiamo alcun legame di sangue.» Lo interruppi, il mio busto sempre più vicino al suo.
Lo vidi deglutire, tentando di indietreggiare, ma la mia forza ebbe nuovamente la meglio su di lui.
«Io-»
Neanche questa volta gli lasciai concludere la frase.
Perché avevo un'altra domanda, più scottante, ustionante, alla quale non si sarebbe potuto tirare indietro.
«Allora perché hai detto di amarmi?»
Lo stupore gli sbarrò gli occhi. «Quando?» Un ladro colto con le mani nel sacco.
«Hai perso la memoria, non puoi saperlo.» Un ghigno sulle mie labbra.
Il piacere di vederlo in quello stato, di saperlo in trappola.
E un'emozione iniziò a solleticarmi lo stomaco mentre il mio volto si avvicinava sempre di più al suo.
Lui immobile, ansimante.
Le labbra tremanti.
«Ma ti ho sentito, lo hai detto.» Bisbigliai al suo orecchio, e il suo busto tornò di nuovo retto, sbattendo contro il mio.
Le sue mani scattarono sui miei fianchi.
«Posso spiegare.» La voce tremante sul mio lobo, il respiro affaticato contro il mio collo.
Sentivo le dita stringere attorno al mio bacino, come se avesse voluto allontanarmi eppure non ne fosse in grado, non ne avesse la forza.
Dalla sua spalla, la mia mano scivolò sul suo petto.
«Non puoi più negarlo.»
Mi ritrassi quanto fu sufficiente per tornare a guardarlo in viso.
Ma i miei occhi esitarono nei suoi, spostandosi poi sugli zigomi, sul naso, sulle labbra.
Deglutii, assetata di una sete che l'acqua non avrebbe potuto placare.
E nei punti in cui i nostri corpi si toccavano, pulsavo contro di lui.
«Ma tu...» I suoi occhi cercarono le mie labbra e il petto mi si riempì di orgoglio a saperlo così vulnerabile. «Tu sei una donna sposata.» A ogni parola si accavallava un sospiro.
«Quindi?»
Il suo sguardo si legò di nuovo al mio.
E il mio corpo cercò più frizione.
A quel tocco, vidi le vene del suo collo ingrossarsi, la mascella serrarsi.
«È così sbagliato abbandonarsi a un momento di debolezza per sfogarsi?»
Il mio palmo scivolò sul suo petto fino a raggiungere il basso addome.
«Lyra ti prego.» Mi fermò la mano, afferrandomi per il polso.
Ma la sua presa era debole, tremante.
Incerta.
«Non hai anche tu usato una scusa simile per baciarmi?»
Il tremore del suo corpo cessò, eppure iniziò quello della sua voce.
«Quanto hai deciso di torturami?» Le sue pupille così dilatate da riuscire a vederci il mio riflesso.
«Almeno tanto quanto ho sofferto io da quando sei arrivato.»
Le mie mani si spostarono attorno al suo collo e lui rinunciò alla presa sul mio polso.
«Sta funzionando.» Avevamo smesso di guardarci negli occhi molto tempo fa.
«Come se non ti piacesse.» Mi raddrizzai, stabilizzando la mia posizione.
E il nostro attrito aumentò.
Le nostre pelli, a contatto, così calde da essere pronte per prendere fuoco.
«Allora non ti fermare.» Il suo respiro solleticò le mie labbra mentre mi avvicinavo.
Poi la porta si spalancò.
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