CAPITOLO 169

Non avevo più visto Rubyo da quando ci eravamo separati nel bosco e il sapore amaro delle ultime parole che ci eravamo scambiati mi pungeva ancora la lingua.

Dopo quel discorso io non lo avevo più cercato e, ovviamente, anche lui aveva fatto lo stesso con me.

Non che mi fossi aspettata nulla di diverso: per la prima volta da quando era tornato, sia la mia coscienza che il mio cuore si erano arresi davanti all'evidenza.

Un'evidenza che io non potevo cambiare, a prescindere da quanto avessi provato, tentato... voluto.

E sebbene ancora non riuscissi a credere come soli sei mesi fossero stati sufficienti per rovinare un'intera vita passata insieme, ora non potevo far altro che accettare come, dopotutto, davvero non fossimo destinati l'uno all'altra.

Ma anche se così fosse stato, la speranza di un futuro insieme era scomparsa quella mattina stessa, in cui l'unico pensiero a gravare sul mio petto era la consapevolezza di come, da quel giorno in poi, avrei condiviso ogni momento della mia giornata con un'altra persona.

Eppure, la verità era che sarei stata sola.

Sola con il mio rimorso, nato da una scelta che non potevo disfare, da un passato che avrebbe brillato così forte da oscurare il futuro.

Un futuro che ora era il mio presente.

Con un dito, mi sistemai un ciuffo ribelle scappato dall'acconciatura.

Anche senza specchio, ero riuscita a percepire come quel riccio si rifiutasse di essere domato.

Emisi una risata secca, breve, ma pregna di scherno nei miei confronti: perfino i miei capelli sembravano opporsi ad un destino che il mio cuore, passivo, pareva invece aver già accettato.

Perché in un giorno che non volevo arrivasse, non avevo neanche potuto scegliere l'abito che più mi piacesse.

Perché in un giorno in cui sarei dovuta essere stata la donna più felice di entrambi i Regni, ero la più pietosa.

Eppure splendevo.

Anche se il corsetto stretto mi opprimeva il petto fino a farmi mancare l'aria.

Anche se i piedi nudi mi dolevano a
contatto con il suolo secco.

Anche se i capelli umidi mi procuravano lunghi brividi lungo la schiena.

Io splendevo.

Perché quel giorno, ero io la più bella.
Perché quel giorno, ero io la festeggiata.

E dovevo ammettere che Aerin, anche se obbligata dal contratto, aveva fatto davvero un ottimo lavoro.

Sarei stata perfetta, se solo fossi stata un Kelpie.
Sarebbe stato perfetto, se solo fossi stata un Kelpie.

Ma non lo ero.
E niente, di quella giornata, sarebbe stato perfetto.

Qualcuno bussò alla porta, strappandomi a pensieri in cui avrei preferito non indugiare fin dal principio.

 «Ehm...» Sentii una voce esitare al di là dell'uscio chiuso. «Sono io.»

Andai ad aprire, spingendo la porta in paglia.

Eppure a dolermi, in quel momento, non fu solo il palmo della mano punto dai fili ispidi, ma il cuore, nel sapere quanto Gideon fosse cambiato.

Così sicuro di sé e determinato, con il passare dei mesi era diventato sempre più mansueto e irresoluto, schivo di chiunque, esitante anche solo nell'aprire bocca.

Un tempo, si sarebbe fatto strada nelle mie stanze senza alcuna esitazione, si sarebbe accomodato sul mio letto come fosse stato il suo e mi avrebbe guardato con un sorriso malizioso dipinto sul volto.

Eppure adesso, se ne stava immobile, impalato sulla soglia della porta, rigido in un fascio di nervi.

I suoi occhi cristallini indugiavano, timidi, sul mio corpo, evitando i miei. 
Era come se non sapesse dove depositare il suo sguardo.

«Sei-» La voce gli si ruppe, obbligandolo a fermarsi e deglutire. «Sei bellissima.» 

E a quell'affermazione le sue gote pallide non riuscirono a nascondere la nuova gradazione rosata.

Un debole sorriso comparve sul mio volto, come se per una volta fossi io quella più matura, più esperta, e mi addolcissi davanti a tanta innocenza.

Con le mani, lisciai la veste in seta bianca, liberando la gonna da qualche grinza.

«Grazie.» 

E feci segno a Gideon di entrare.

«È raro anche per i Kelpie indossare questi abiti.» Il suo sguardo continuò a indugiare sul lembo del vestito.

Un tentativo, forse, di ignorare la profonda scollatura quadrata che mi stringeva in petto.

E pensare che fino a qualche mese prima era arrivato al punto di strapparmi la maglia da dosso.

A quel pensiero, una mano risalì il busto fino a coprirne le clavicole.

Ma quel vano tentativo di pudore durò solo fin quando Gideon non continuò con il suo discorso. 

«Siamo esseri solitari dopotutto, non amiamo l'idea di legarci per sempre ad una persona.» 

Addentrandosi ancora di più nella stanza, gli bastarono poche falcate per raggiungere lo sgabello in pietra al fianco del mio letto e per lasciarsi alle spalle la porta lasciata aperta. 

Il suo sguardo cristallino si legò al mio solo per un istante, l'attimo prima di superare il mio fianco.

«Eppure devo ammettere che, in segreto, ho sempre sognato di vederti indossare questi vestiti.»

Con la voce così bassa e il viso in direzione letto, quasi non riuscii a sentire quelle parole.

Poi si voltò di profilo, sedendosi sullo sgabello come improvvisamente drenato da ogni energia.

Un sorriso amaro piegò un angolo delle sue labbra in una smorfia. 

«Peccato che non sia la situazione che avevo immaginato.» Con un movimento fiacco, si allontanò un ciuffo candido dalla fronte, che tuttavia ricadde nella posizione iniziale pochi secondi dopo.

«Che forse nessuno aveva immaginato.» Osservò la porta con la coda dell'occhio.

Capii subito cosa intendesse, a chi si riferisse.
Ma quel giorno era già fin troppo triste così.

«Come è stato arrivare ultimi all'Approvvigionamento?» Cambiai discorso.

Il mio voleva essere sia un tentativo di distrarmi che di rallegrare l'atmosfera. 

«Non mi aspettavo un tale fiasco da te, così bravo con la caccia e le prede

Sorridemmo entrambi, ma quel piccolo frammento di gioia che provammo fu breve poiché l'ondata di un passato malinconico che non sarebbe più tornato ci investì i cuori.

«Vi ho lasciati vincere.» Gideon forzò di nuovo il sorriso.

«Non mi sembrava giusto che fossero i festeggiati ad arrivare ultimi.»

Sposi.
Era quella la parola che nessuno riusciva a dire ad alta voce, che tutti sembravano evitare. 

«Né tanto meno potevo vincere contro l'anziana della tribù.» Con la testa poggiata sul pugno chiuso, sollevò il suo sguardo fino ad incrociare il mio.

Mai, i suoi occhi, mi erano sembrati tanto stanchi, opachi, privi della lucentezza di un tempo.

«E devo ammettere che neanche perdere contro il principino mi abbia infastidito come in passato...» Sentii l'esitazione nella sua voce, riuscii a scorgere la sua ponderazione prima di aggiungere quell'ulteriore commento.

«Con tutte le cose che hanno cacciato Nai Nai e Thui, riusciremmo a sfamare tre villaggi.» Cercai indirettamente di rassicurarlo, ignorando quel commento e proseguendo con il discorso. «Domani dovremo rotolare giù dal letto.»

Ma ottenni l'effetto opposto.
Lo sguardo di Gideon si rabbuio e il già debole sorriso gli scomparve del tutto dal suo volto.

In un istante, un velo di tenebra gli aveva reso cerea la pelle.

«Che succede?»

Una goccia mi scivolò dai capelli corti, bagnandomi la schiena nuda.

«Io... ero venuto, per dirti una cosa...» Iniziò. 

Un brivido.

Gideon non osava guardarmi.

«Te lo avevo promesso.» Gli occhi sempre fissi sul suolo.

«Avrei aspettato fino al tuo matrimonio.» Con uno scatto si alzò in piedi. «E quel giorno è oggi, non c'è bisogno di rimandare.»

Adesso mi osservava, mi fissava.
Il suo sguardo immobile nel mio.

Le pupille, così strette, sembravano star annegando in un lago di acque limpide.

Eppure, oltre quel velo di apparente calma, riuscivo a scorgere correnti irrequiete che ne agitavano le profondità.

«Quando te ne andrai?» Chiesi, indietreggiando di qualche passo finché non potessi appoggiare la schiena alla parete di paglia.

Improvvisamente reggermi da sola in piedi era diventato stancante.

«Domani, all'alba.»

Sentivo i fili pungermi la schiena, il dolore così acuto da raggiungermi il petto. 

«Probabilmente tu allora starai ancora dormend-»

Ma non riuscì a terminare la frase, entrambi consapevoli che, da quella notte in poi, avrei dovuto condividere il mio letto.

«Posso svegliarmi.» Mi allontanai dalla parete, il dolore al limite del sopportabile. «Voglio salu-»

«No.» Mi bloccò Gideon. «Non importa.»

Lento, avanzò dei passi fino a raggiungere la soglia della porta, sempre rimasta aperta. 

«Sparirò dalla tua vita così come sono apparso due anni fa.» Voltato di spalle non potevo guardarlo in volto. «All'improvviso.»

Poi, senza aggiungere più un'altra parola, si allontanò fino a scomparire nel bosco.

Senza mai voltarsi indietro.

Cadde un'altra goccia, bagnandomi il vestito. Questa volta, però, non veniva dai miei capelli.

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