CAPITOLO 168
«Mi fa piacere vedere che tu sia migliorata.»
Fu lui a cominciare la conversazione.
Probabilmente era riuscito a capire le mie intenzioni.
In quel momento, non importava più quanto a fondo mi conoscesse, quanto forte fosse il nostro legame o quanto questo si fosse affievolito con la distanza.
Perché chiunque, in quell'istante, sarebbe stato in grado leggermi.
Sapevo di essere trasparente.
No, volevo essere trasparente e avevo fatto in modo di diventarlo.
Per lui, per Rubyo, volevo ostentare quanta più vulnerabilità potessi, perché avrei fatto qualunque cosa, pur di ricreare anche solo un riflesso sbiadito del nostro rapporto passato.
«Sono certo che se il tuo sposo non fosse intervenuto avresti colpito il bersaglio.»
Si girò nella direzione dalla quale era venuto, indicando la freccia.
Un modo, come un altro, per distogliere il suo sguardo dal mio.
Lo sapeva
Certo che lo sapeva.
Così come aveva capito chi, in realtà, fosse stato a tendere la corda dell'arco, aveva anche compreso che, alla base delle mie azioni, ci fosse il mio tentativo di proteggerlo da Nai Nai.
Ma ora perché evitava il mio sguardo?
Cosa non voleva che vedessi?
Cosa, ancora, voleva nascondermi?
«Allora perché non hai fatto nulla per difenderti?»
Mi chiesi se fosse ancora in grado di distinguere, nel mio tono, la frustrazione dall'apparente irritazione.
Non rispose, limitandosi a calciare un sasso tra i ciuffi d'erba.
Emisi una risata secca, amara come le emozioni che stavo cercando di ignorare.
«Mi sembra di essere l'unica a tenere al tuo benessere.»
«È per questo che mi hai allontanato?»
Quella domanda, bruciante come una secchiata di acqua gelida, mi bloccò il respiro.
«Perché credevi che io non sapessi prendermi cura da solo di me stesso?» Continuò.
Io, immobile, riuscivo solo a fissare la sua schiena.
Così rigida, non mi era sembrata mai tanto fredda.
Un brivido, tanto rapido quanto intenso, mi scivolò lungo la colonna vertebrale, come se, nonostante la distanza tra i nostri corpi, quella sua assenza di calore non solo mi avesse raggiunta, ma mi avesse anche inondata, invasa.
«Da quando sei tornato sembri un'altra persona.» La mia voce, questa volta, uscì come un sussurro spezzato.
Vidi le sue spalle sollevarsi, come conseguenza di una breve risata.
Eppure l'emozione che percepii non fu felicità, ma scherno.
Nonostante Rubyo non mi stesse guardando, in quel momento non potetti fare a meno di sentire il bisogno di nascondere il mio volto.
Mi chinai per raccogliere faretra e pugnale.
Il mio arco lo aveva tenuto Thui.
«Hai ragione.» Rispose.
Cercai di ignorare come le mani avessero lasciato scivolare di nuovo il pugnale al suolo.
Lo raccolsi ancora.
E avrei continuato a farlo.
Non importava quante volte sarebbe potuto cadere.
Non mi sarei arresa.
«Ma non è questo quello che volevi ottenere?» Continuò.
Rafforzai la presa attorno l'elsa, la faretra oramai già salda in spalla.
«Non volevi cambiarmi?»
Lo vidi iniziare ad incamminarsi nel bosco.
Feci per seguirlo, muovere una falcata nella sua direzione, eppure le gambe non rispondevano ai miei comandi.
E così, potetti solo stare a guardarlo, la distanza tra i nostri corpi sempre maggiore.
Mi sentii impotente.
Tremai a quel pensiero.
Non era per allontanarlo ancora di più il motivo per cui gli volevo parlare, per cui avevo cercato, in ogni modo, di spendere del tempo con lui.
«Si, Rubyo!» Ammisi poi. «Si!» Le parole mi graffiarono la gola.
Si fermò.
Forse sorpreso dal mio improvviso cambio di tono, o forse per un altro motivo.
Oramai non sapevo più dirlo.
«E non sono così orgogliosa da dire che non me ne sia pentita.» Continuai.
La daga, ancora stretta nel mio pugno, nascondeva un palmo sudato.
«Perché Rubyo io...»
La lingua si fece più pesante, lo sguardo perse quota.
«Io ti...»
La pressione del sangue mi stava dando alla testa, mentre le parole iniziavano ad apparire più sfocate nella mia mente.
Sollevai lo sguardo.
Un singolo fascio di luce filtrò tra gli alberi, accarezzandogli la nuca: aveva la pelle d'oca.
«Io ti voglio.»
Non era quella l'espressione che cercavo, ma rendeva l'idea.
Lentamente, un passo dopo un altro, trovai la forza di raggiungerlo.
La mia mano, tremante, ebbe il coraggio di afferrare la sua.
Speravo che, con quel gesto, capisse come gli stessi chiedendo di voltarsi, di lasciarsi guardare negli occhi.
Quegli stessi occhi che un tempo lo rendevano per me un libro aperto.
E lo fece.
Si voltò davvero nella mia direzione.
Eppure, nonostante ora il suo busto fosse rivolto verso di me, lo sguardo indugiava da qualche parte oltre la sua spalla.
Strinsi più forte la sua mano, i miei occhi in cerca dei suoi.
«Ti voglio nella mia vita eppure mi sembra che tu mi stia cacciando.»
Mi spostai, cercando di entrare nella traiettoria del suo sguardo, ma ogni volta concentrava gli occhi in un punto diverso del bosco.
Non lo avevo mai visto evitarmi così chiaramente.
Perché?
Era il ripudio che lo spingeva a farlo?
O forse un'altra emozione che non osava rivelare?
«E me lo merito, per quello che ti ho fatto.» Lasciai la sua mano, indietreggiando di un passo.
Lo spazio, tra i nostri corpi, non era mai sembrato così ampio.
Eppure nel mio petto, il cuore batteva rapido, incapace di accettare una resa.
Solo allora mi parve di ottenere la sua attenzione, seppur incentrata sulle nostre mani, ora non più unite.
«Però voglio essere egoista un'ultima volta.»
Con le unghie, iniziai a stuzzicare un filo tirato del pantalone.
«Mi sta bene il tradimento, posso accettarlo, posso superarlo. Qualunque sia il motivo.»
Potevo sentire il suo sguardo addosso, e osservarlo negli occhi era tutto ciò che volevo in quel momento, ma allora perché non riuscivo a sollevare il mio?
Il filo mi si spezzò tra le dita, creando un piccolo buco.
Le mani avevano ripreso a tremare all'idea di cosa stessi per dirgli.
«Ma io ti voglio al mio fianco, adesso e per sempre.» La voce indebolita da un improvviso groppone. «Dimmi una parola, una soltanto, e annullerò il matrimonio.»
Deglutii, e solo allora trovai la forza di sollevare di nuovo gli occhi dal suolo.
Finalmente, incrociai il mio sguardo con il suo e mi parve di vedere il verde della foresta per la prima volta.
Era come se l'intero bosco fosse riflesso nei suoi occhi.
Bastò quello per farmi sentire le ginocchia cedermi.
Il cuore aveva già preso a trepidare molto tempo fa e da allora non aveva mai smesso.
Traboccava di ansia e speranza, in attesa di una sua risposta.
La bocca dischiusa, le sopracciglia alzate: pendevo dalle sue labbra.
E Rubyo lo percepì.
Lo percepì, eppure non provò ad addolcire la medicina.
«Questo matrimonio è più grande di noi Lyra, e questo tu lo sai.»
Sentii una morsa stringermi lo stomaco.
Non ero pronta, ma avrei accettato anche un rifiuto.
Quello, però, non era nulla.
«Non è questo, quello che ti sto chiedendo, Rubyo.»
Per un istante, pensai di riavvicinarmi e di riafferrargli la mano, come per condividere tutte le mie emozioni, tutti i miei pensieri.
Ma non riuscii a muovere gli arti.
No, non volevo muoverli.
Avevo paura che, nel momento in cui avessi avanzato anche solo un passo nella sua direzione, Rubyo avrebbe indietreggiato.
E questo mi avrebbe distrutta.
«Per una volta, una soltanto, dimentica qualsiasi cosa e pensa solo a te... pensa a noi.»
Il velo cupo che era solito oscurargli le iridi in passato, tornò ad appesantirgli lo sguardo.
«Che ironia.»
Un sorriso amaro colorò il volto di Rubyo.
«Proprio tu, ora, mi chiedi di essere egoista?»
I suoi occhi tremavano nei miei.
Il pugno stretto lungo il fianco.
«Proprio tu, che più volte mi hai criticato perché pensavo solo al tuo bene, mi chiedi di essere egoista?»
Tutto quello che stava succedendo, faceva male, eppure me lo meritavo.
Sapevo di meritarmelo.
E la colpa non era del destino, che aveva scelto per noi queste strade.
La colpa era solo mia.
Mia, che fino a quel momento ero stata accecata da valori in cui adesso non ero più neanche così sicura di credere.
E così cieca, ci avevo messo tanto, troppo a capirlo.
Avevo perso così tanto tempo, e ora non potevo far altro che pentirmene, consapevole che non sarei più potuta tornare indietro.
«Si, Rubyo.» Sostenni il suo sguardo. «Sono ipocrita, ma non mi interessa.»
Il mio cuore era nelle sue mani.
«Vuoi davvero che mi sposi?» Continuai, andando dritta al punto.
Doloroso ma rapido, come estrarre una freccia, non potevo più permettermi di tergiversare.
Eppure, nonostante mi fossi ripromessa di chiederglielo solo una volta, ero già a tre.
Ma ora... ora dovevo solo aspettare la risposta.
La sua risposta.
La risposta che mi avrebbe salvata o distrutta.
Vidi il pugno allentarsi, le sopracciglia distendersi, i suoi occhi tornare limpidi.
Poi, un sorriso comparve sul volto di Rubyo, così dolce da essere contagioso.
E sentii il mio cuore iniziare ad alleggerirsi.
Osservai il suo braccio sollevarsi, risalire la lunghezza del mio busto fino a raggiungere il mio viso.
Il mio corpo bramava quel tocco così tanto, che riuscì a percepirlo ancor prima che il contatto avvenisse.
Con gli occhi chiusi, mi abbandonai al calore così familiare di quella carezza che quasi non mi sciolsi.
Era quello ciò che cercavo.
Era quello il tepore di casa.
Ma poi, quelle parole.
«Sei solo confusa.»
Il gelo tornò a pervadere il mio corpo, e il suo arrivo fu così doloroso e inaspettato che il mio volto si ritrasse di scatto dalla mano di Rubyo.
Spalancai gli occhi.
In un solo istante, il cuore mi era precipitato nello stomaco.
«Sono mancato per tanto tempo.» Il sorriso, sul suo volto, era così genuino da farmi accapponare la pelle.
Indietreggiai, iniziando a scuotere la testa.
Mi chiusi su me stessa, avvolgendomi il busto con le braccia, come se stessi cercando di tenere insieme dei cocci di un'anfora rotta.
Eppure, l'unica cosa rotta, in quel momento, era il mio cuore.
In pezzi, in mille frantumi, frammenti di ghiaccio esposti al sole cocente.
«Stai solo fraintendendo le tue emozioni.»
Rubyo mi guardava, mentre io continuavo a scuotere la testa, come se il mio corpo fosse in grado di fare solo quello.
Rubyo osava guardarmi con quel fare comprensivo ed empatico, gli occhi di un padre per una figlia, come se provasse pietà nei miei confronti.
Ma non era la sua pietà, quello che volevo.
Mai, prima d'ora, ero stata così tanto disgustata da lui.
«Noi due siamo una famiglia.»
Sentivo gli occhi bruciarmi come esposti ad una fiamma viva.
«Non è per questo che mi hai chiesto di essere il testimone al tuo matrimonio?»
Quel sorriso che ostentava, fisso, sul volto... quanto avrei voluto strapparglielo.
«Fanculo la famiglia, Rubyo.»
La rabbia, crescente, mi fece provare un disprezzo che mai avrei voluto associare a Rubyo.
Ma forse per la prima volta Dollarus aveva sbagliato.
Perché anche per noi era troppo tardi.
Perché neppure per di noi c'era più speranza.
Mi voltai, di scatto, camminando senza sapere per dove.
Ma ovunque sarebbe andato bene, purché non mi avesse vista piangere.
Andava bene il rifiuto.
Lo avrei accettato.
Potevo accettarlo.
Ma le sue erano solo scuse.
La famiglia era una scusa.
Lui non mi amava.
Non mi amava più.
Era questo, in realtà, ciò che non aveva il coraggio di dire.
Cosa era successo in quei sei mesi da cambiarlo così tanto?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top