CAPITOLO 83
Ero in prigione. Nella mia prigione. Avevo mentito a Markus e ora, per punizione, mi aveva imprigionata. Le braccia doloranti erano tenute alzate da delle manette che mi scavavano i polsi, mentre le ginocchia livide premevano sull'umido suolo della cella.
Dei passi echeggiarono nel silenzio.
Alzai lo sguardo verso le grate. Era Markus, scortato come sempre dalla sua guarda imperiale personale.
«Rubyo, passami quella lì...»
Markus additò qualcosa fuori dalla portata del mio sguardo.
«Signorino, ma quell-» Uno schiaffo zittì Rubyo, mentre dal naso prese a sgorgargli un rivolo di sangue.
«Sai che non mi piace farmi ripetere.»
«Si, Signorino.»
La giovane guardia passò a Markus una lunga mazza rivestita in pelle.
«No, Markus... mi dispiace.» Sentivo il cuore battere come se volesse uscirmi dal petto, mentre le lacrime mi sgorgavano senza sosta dagli occhi. «Non ti mentirò mai più ma ti prego non farlo.»
Con un gesto del capo, Markus indicò a Rubyo di aprire la porta e, seppure con una mano esitante, lo fece. Vidi il suo sguardo indugiare un attimo nel mio: tremava.
«No! Per favore!»
Una fitta lancinante mi mozzò il fiato quando, per lo strattone, la manetta mi tagliò il polso.
Singhiozzavo, ansimavo, piangevo e balbettavo, ma non riuscivo a dire una parola.
Ma fu tutto inutile.
La prima frustata mi aveva segnato per sempre la schiena.
Mi risvegliai con un urlo.
Tremavo.
Ansimavo.
Ero fradicia di sudore.
I polsi e le caviglie lividi per gli strattoni involontari.
Le vene del collo rigonfie per le grida.
Sentivo tutto il mio intero corpo andare a fuoco dall'interno, ogni organo comprimersi, ogni vaso sanguigno dilatarsi: la pressione alla testa era asfissiante.
Il naso bruciava per la moltitudine di odori contemporanei che riusciva a percepire.
Le orecchie erano assordate da un fischio acuto e continuo.
Gli occhi non riconoscevano più ciò che li circondava, sciogliendo ogni figura ad un ammasso di onde colorate.
Tutti e cinque i sensi erano fuori uso.
Sentii delle mani premermi le spalle, forse in un tentativo di limitare i miei spasmi, ma ad ogni contatto la mia pelle era come trafitta da una moltitudine di spilli.
Faceva così male che desiderai morire.
Poi in un attimo tutto scomparve.
Il mio corpo si sentì finalmente più fresco, i muscoli più rilassati. Il fischio alle orecchie diminuì e, seppur a fatica, riuscii a distinguere Coline.
L'attimo dopo la visuale era completamente nera, i muscoli improvvisamente rigidi e il corpo immobilizzato nel ghiaccio.
Ripresi a tremare, ma forse non avevo mai smesso, poi svenni.
Il nuovo risveglio fu peggiore del precedente, così come quelli che ne seguirono.
Ogni volta che riprendevo conoscenza, i sintomi erano sempre più forti, ma meno persistenti.
«Hai ancora la febbre.» Coline allontanò la mano dalla mia fronte.
«Da quanto tempo sono in queste condizioni?» Domandai in un momento di lucidità.
«Tre giorni.» Sentii un forte senso di disagio opprimermi lo stomaco.
«Ma è normale. Il veleno dei Rasseln è molto potente. Il mio corpo ci ha messo più di una settimana per metabolizzarlo.»
Ogni volta che Coline non parlava, l'unico suono che riuscivo a percepire nel silenzio di quella cella umida e vuota era il fischio nelle mie orecchie, misto ai miei respiri brevi e affannosi che mi rimbombavano in testa.
«Ma il peggio deve ancora arrivare.»
Ma questo, lo sapevo già.
Coline, mentre decidevamo un piano per riconquistare il Regno, mi aveva parlato del processo che aveva dovuto affrontare per diventare Rasseln e di come da questo, per il suo veleno, ne conseguisse una dipendenza.
Ma mi aveva anche detto come era riuscita a superarla, questa dipendenza, nonostante fosse stato difficile.
Un giorno dopo, i Rasseln mi riportarono in camera, affidandomi a Coline, unica ragazza appartenente ai Rasseln... oltre a me, adesso.
Dopo una settimana dalla Mutazione iniziai a ricevere quotidianamente una fialetta, contenente un liquido nerastro diluito in acqua.
«Questo è il Gyft.» Mi aveva detto la prima volta Coline. «È veleno diluito. Per quanto assurdo possa sembrare, in queste quantità, è come un antidoto; una passeggiata in confronto alla prima dose... ma anche la causa principale della dipendenza. Diluito il Gyft, aiuta il tuo corpo ad assimilare la dose iniziale, ma se te ne privi troppo in fretta-»
Un improvviso bruciore mi avvolse il fianco, costringendo Coline a bloccare il discorso.
Si avvicinò al letto, scostando le coperte e sollevandomi la maglia.
«-ti risulterà fatale.» Concluse il discorso, ricoprendomi.
«Cos'ho?» Chiesi toccandomi le costole.
«Il marchio dei Rasseln. Almeno non è tanto visibile come il mio.» Disse mostrandomi il braccio.
Ficcai le unghie nella carne, marcia e corrotta, fino a farla sanguinare.
«Conserva la tua frustrazione e sfogala poi su quel giullare di tuo fratello... senza offesa.» La guardai con un'apatia sarcastica.
Per un momento mi ricordò Gideon e, seppur involontariamente, non riuscii ad impedire ad un angolo delle labbra di sollevarsi in un sorriso malinconico.
«Non è il momento di aggiungere male al male ferendosi da soli.» Concluse Coline ritornando seria e leggendo l'espressione sul mio volto, stroncando fin dal principio ogni crogiolamento emotivo.
«Come farò a disintossicarmi?»
«Lentamente, riducendo sempre di più le dosi di Gyft, ma mai drasticamente.» Annuii.
«Come sai tutte queste cose? Sei fin troppo precisa per essere una novellina.»
Mi parve irrigidirsi. Forse non era ancora a suo agio nell'aprirsi.
«Ho studiato. Molto. Da piccola. Prima di diventare guardia imperiale. Allora i libri erano ciò che poi sarebbero diventati la mia spada e la mia armatura...» Dopo qualche secondo di silenzio aggiunse. «... Nulla mi è mai interessato come le piante medicinali, i veleni e gli esseri dell'Altro Sole.»
«E se ti piaceva, perché cambiare?» Azzardai.
Coline mi guardò di traverso.
«Non sempre le cose vanno come vorresti. Tu dovresti saperlo bene.»
La mia mente ripercorse il giorno della fuga e sentii un pugno stringermi lo stomaco.
«Per me è stato lo stesso: la mia famiglia non è tanto importante come l'Ivory, di Rubyo. Noi siamo sempre stati derisi e umiliati, ma abbiamo affrontato tutto sempre con il sorriso perché, dopotutto, avevamo l'onore di servire la famiglia reale, anche se si trattava per lo più di forgiare l'armamento necessario all'esercito.»
Uno sbuffo di acido disprezzo la costrinse a fermarsi.
«Era un grande fabbro, mio padre. Finché non perse la vita. Non in battaglia, non a palazzo, non da eroe. Ma in un'infima rissa borghese, come l'ultimo dei garzoni.»
Solo ora iniziavo a capire il suo odio nei miei confronti, nei confronti dell'intera famiglia reale che, non solo le aveva strappato suo padre ignobilmente, ma le aveva anche impedito di rivendicare l'onore della sua famiglia, ripudiandola ad Erling.
Ripensai al passato e a come la nostra situazione era cambiata: una volta non avrei mai detto che io e Coline saremmo diventate alleate.
Ma ora mi fidavo di Coline. Non avevo altra scelta.
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