CAPITOLO 82
Con un'ultima spilla, Coline terminò la mia acconciatura.
Mi alzai, emettendo un fruscio a causa del lungo abito. Mi sentivo a disagio, oppressa e limitata nei movimenti a causa di tutto quel vestiario che, oramai, non ero più abituata ad indossare.
Seppure avessi viaggiato per anni, portando costantemente una moltitudine di armi addosso, quel vestito ora mi risultava molto più pesante ed ingombrante di qualsiasi cosa avessi mai indossato prima.
Mi avvicinai allo specchio, guardando la mia immagine riflessa. Non mi riconoscevo: i capelli crespi, per la prima volta dopo tanti anni, ricadevano in ciocche morbide ed ordinate sulle spalle nude, dalle quali partiva, pesante, un vestito. Era uno degli abiti più sfarzosi che avessi mai visto, ma al contempo, fine.
Passai una mano sull'addome, tastandone il tessuto morbido, i cui ricami dorati mi solleticarono i polpastrelli. Dalla vita in poi, scendeva largo e lungo, rivelando una base rosata grazie ai dettagli che andavano via via sfoltendosi.
In quel momento, si riflesse sullo specchio l'immagine di Coline, alle mie spalle.
«Sei sicura di volerlo fare?» Mi poggiò una mano sul braccio in un tentativo di rassicurarmi.
«Non sei stata tu la prima a proporre che io rubassi il Regno?» Risposi, calma.
«Si...» Esitò. «...ma questo non era ciò che intendevo.»
I nostri sguardi erano incrociati nello specchio. A schiena dritta e testa alta, i miei occhi erano severi, decisi, diversamente da quelli di Coline, tremanti ed esitanti, come non li avevo mai visti prima d'ora.
Mi allontanai dallo specchio, incamminandomi verso la porta.
«Ci saranno delle conseguenze lo sai?» Mi fermò l'ex guardia imperiale, oramai corrotta a Rasseln.
Mi girai, guardandola. «Quale azione non ha conseguenze?» Sollevai un angolo del labbro con amarezza. «E le morti di Rubyo e Gideon ne sono una prova.» Distolsi velocemente lo sguardo, riportandolo alla porta.
Quelle parole mi avevano riaperto una ferita ancora fresca, che da giorni cercavo di far rimarginare. Temetti che in quei pochi secondi, per quelle poche parole, avessi potuto perdere tutta la mia determinazione e sicurezza.
Strinsi il pugno nel vestito, cercando di calmare il pizzicore agli occhi poi, dopo una grossa boccata d'aria, uscii dalla camera, seguita a ruota da Coline.
Camminai per un lungo corridoio, scortata dai Rasseln che Markus aveva messo di guardia davanti la mia porta, finché non raggiunsi un grosso portone.
«La Principessa!» Annunciò un Rasseln in modo solenne, aprendo la porta e lasciandomi passare.
«Voglio essere sola.» Dissi con fermezza, notando come le guardie ripresero a seguirmi.
Avanzai decisa, senza lanciare neppure un'occhiata a Coline che, così come gli altri Rasseln, era rimasta indietro.
I passi echeggiarono nell'enorme sala del trono, su cui Markus sedeva con la leggerezza di un bambino che gioca a fare l'adulto. Ed era questo lo stesso approccio con cui comandava il regno.
«Lyranna...» Disse, alzandosi dal trono. «Sei venuta a trovarmi?»
Scese dei gradini, raggiungendomi in poche, ma ampie, falcate.
Crescendo la sua figura si era allungata, seppur rimanendo sempre esile. Le sue gambe infatti sembravano così fragili da spezzarsi ad una semplice caduta.
Ma ciò che non era cambiato era lo sguardo: inespressivo fin da sempre.
Con tutta la spontaneità e naturalezza di cui ero capace, allargai il vestito, inchinandomi ai suoi luridi piedi.
Lui non parlò, si limitò ad osservarmi con la sua maschera di porcellana.
«Si, fratello.» Nel pronunciare quell'ultima parola mi si corrose la gola.
Markus mi prese per un braccio, sollevandomi.
«Sei ancora ferita, sorellona.»
La sua voce, piatta, sembrava cercare di fingere dell'affetto. «Non sprecare la tua forza in inutili moine.»
Senza mai darmi le spalle, Markus risalì i gradini che lo separavano.
«A cosa devo questa visita, senz'altro inaspettata?»
In piedi, le mie gambe erano prive della loro forza. Mi sentivo come se delle radici si fossero piantate nel pavimento, rendendomi impossibile ogni movimento, mentre con quelle sue infime sclere nere Markus mi scavava dritto nell'anima.
«In questi giorni...» Iniziai, la voce più tremante di quanto avrei voluto ammettere. «...ho riflettuto molto.»
Sentii i muscoli della schiena irrigidirsi e una goccia di sudore solleticarmi il collo nudo.
«Non approvo i tuoi modi, ma ora che ho capito come deve essere stato per te resistere in questo palazzo in estrema solitudine per sette lunghi anni... non posso far a meno di sentirmi in colpa per essere scappata.»
Una morsa mi stringeva lo stomaco, oppresso da un forte senso di nausea. Temevo che non sarei stata abbastanza credibile.
«E cosa ti fa credere che io me la beva?» Markus fissò il suo sguardo sulla mano guantata.
«Tu sei tutto ciò che mi resta... il mio fratellino. Che mi piaccia o meno.»
Per la prima volta, da quando ero entrata nella sala del trono, sollevai lo sguardo incrociando i miei occhi con quelli di Markus.
Non riuscii a leggerci alcuna emozione.
«E quindi dimmi...» Disse apatico. «...come hai intenzione di uccidermi?»
Deglutii, la gola improvvisamente secca.
«Ti sbagli. Non è questa la mia intenzione.» Risposi con il tono più calmo che riuscii a trovare, ma dentro tremavo.
«No, non credo di sbagliarmi. Tu, che fino a ieri mi disprezzavi e scappavi, nascondendoti nei boschi con un traditore e con un essere dell'Altro Sole, proprio tu, ora, vuoi essermi fedele.»
Serrai la mascella. Gideon era davvero un traditore, ma che il nome di Rubyo venisse infangato così, mi fece ribollire il sangue nelle vene.
«Hai ragione. Un tempo ero così. Ma ora ho perso tutto. Ora, sei tu l'unica cosa che mi rimane...»
Markus iniziò a rilassare i muscoli, mentre la sua figura sembrò farsi più piccola nel trono.
Ma questo solo per un attimo.
Approfittai di quel momento di esitazione per giocarmi la mia mossa.
«Permettimi di dimostrartelo.»
Markus non parlò, ne la sua faccia assunse una qualche espressione particolare, ma i suoi occhi sembrarono illuminarsi di una luce più vispa.
«Dopo anni passati tra i boschi mi sento oppressa in questo palazzo, non sono più abituata alla vita di corte. Ma in una cosa mi sento a mio agio: combattere. Quindi permettimi di dimostrarti la mia fedeltà in un modo un po' particolare: voglio far parte del tuo esercito, voglio diventare una tua guardia. Voglio diventare un Rasseln.»
A quell'affermazione neppure Markus riuscì ad impedire ad un sopracciglio di sollevarsi per lo stupore.
Con lente, ma ampie falcate, mi raggiunse nuovamente, raccogliendomi il viso nei palmi.
«Bene. Così sia. Voglio metterti alla prova.»
In quel momento con un tonfo sordo le porte si aprirono e un gruppo di Rasseln mi venne incontro.
«Tanto sai...» Continuò Markus, bloccando i miei passi. «...che non ti conviene agire imprudentemente. Non riuscirai mai ad opporti a me e il fatto che tu, ora, sia nuovamente a palazzo lo dimostra.»
Deglutii a fatica. Sapevo di non essermi guadagnata la sua fiducia e che molto probabilmente non lo avrei mai fatto, ma oramai ero già in ballo, tanto valeva ballare: nel peggiore dei casi sarei morta, sempre meglio che vivere una vita con lui.
Oramai non avevo più niente da perdere.
Seguii i Rasseln a lungo, finché non iniziai a riconoscere quei corridoi sempre più bassi, tortuosi e umidi, che per anni avevano infestato i miei incubi: portavano alle prigioni.
Mi sentii venir meno nel momento in cui quel posto, stimolando i miei ricordi, mi riportò alla mente come Markus mi aveva torturata. Mi venne a mancare il fiato nel momento in cui riuscii a percepire nuovamente il dolore delle frustate.
«Ci siamo quasi.»
E in quel momento passammo dapprima una cella vuota, poi un'altra, al cui interno, nascosta nell'ombra di un angolo, c'era una donna.
Era così magra, che pareva potesse spezzarsi da un momento all'altro e non sembrava fosse possibile per il suo collo reggere una catena di quelle dimensioni. Quando ci sentì arrivare, alzò lo sguardo nascosto da un lungo e crespo ciuffo albino.
Degli occhi limpidi come l'acqua lampeggiarono di collera al vedermi.
Con uno scatto animale si gettò contro le sbarre di ferro, stendendo le braccia fino a quasi dislocarsi la spalla.
«Maledetta puttana!» Mi afferrò con forza il lembo del vestito, tirandolo. «Mio figlio!» Sbraitava, con le labbra rotte e la schiuma alla bocca. «Per colpa tua!»
Un Rasseln calciò le sbarre, emettendo un forte rumore metallico.
«Sta' al tuo posto, pazza.» Il Rasseln le sputò di fianco, pestandole le mani annerite dallo sporco per farle lasciare la presa.
La donna, sofferente, le ritirò in fretta e, altrettanto velocemente, si ritirò nello stesso angolo buio della cella, singhiozzando.
Ma mentre io e i Rasseln riprendevamo a camminare, i gemiti di quella donna echeggiavano nella prigione.
«Gideon... figlio mio...»
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