CAPITOLO 143

Il buio.

Il rumore della pioggia scrosciante. 
Quando aveva ricominciato a piovere?

Il dolore alla testa pulsava al ritmo del cuore, rimbalzando contro una stretta fasciatura che mi costringeva i capelli alle tempie.

Dal silenzio che mi circondava sapevo di non essere sola: oltre al soffio del mio respiro, potevo sentirne un altro, lento e regolare.

Ero sveglia, eppure non volevo aprire gli occhi. Non osavo aprire gli occhi.

Non potevo permettermi di attirare l'attenzione di chiunque mi stesse osservando.

Fingermi ancora priva di sensi sarebbe stato il modo migliore per guadagnare del tempo e valutare la situazione.

Ero al coperto, all'asciutto, eppure un forte odore di legno e muschio mi punse le narici quando uno spiffero d'aria mi solleticò il mento.

Puzza di petricore.

Dove mi trovavo?

Costretta all'immobilità, lasciai che l'unica reazione a trapelare fosse un brivido lungo la schiena quando mi accorsi di come i miei vestiti non fossero più bagnati.

Chi mi aveva cambiata?
O quanto tempo ero rimasta incosciente per far si che i miei vestiti si asciugassero?

Sentivo il pompare del mio cuore aumentare l'intensità del suo ritmo.

Lenti, permisi ai polpastrelli della mia mano di esitare sotto le coperte del letto sul quale ero stesa.

Sentii il cuore scendermi nello stomaco quando, ritrovata sensibilità nella presa, mi accorsi di come stessi ancora stringendo nel palmo il pugnale che avevo estratto.

«Non volevo che vi sentiste minacciata.» Disse una voce, fermandomi anche il respiro nei polmoni. «Per questo vi ho lasciato armata.»

Non parlai.
Non mi mossi.

«Respirate, vi prego. O renderete vani i miei tentativi di salvarvi da quella caduta.» Sentii dell'ironia nella sua voce.

L'intero mio corpo si rifiutava di fare un qualsiasi movimento, come se stesse cercando di salvaguardarsi da solo da un possibile pericolo.

Quell'istinto naturale che, terrorizzato, combatteva il volere della mente.

«So che siete sveglia.» Continuò la voce. «Riesco a sentire il vostro cuore battere più in fretta.»

Deglutii, serrando la mascella.

Lentamente, mi forzai ad aprire gli occhi, ma il buio delle palpebre chiuse lasciò il posto solo a dell'altra oscurità, che impregnava l'aria di quell'ambiente.

 Solo quando le mie pupille si abituarono al nero che mi circondava riuscii a distinguere un'ombra.

Stesa mi sentivo più vulnerabile di quanto già non fossi, ma mettermi a sedere mi avrebbe solo esposta maggiormente ad un pericolo che i miei occhi ancora non potevano distinguere.

Sotto le coperte, il pugnale stretto tra le mani mi fermava la circolazione.

«Chi sei?» La mia voce uscì come un roco sussurro.

L'ombra si avvicinò, uscendo dall'angolo, buio come il resto della stanza. «Thui.» Rispose semplicemente, come se quel nome potesse alleviare tutte le mie preoccupazioni.

E invece avvenne il contrario.

Quando il debole cono di luce, che filtrava nello spazio tra due pesanti tende, colpì parte di quel volto, riuscii a distinguere un paio di corna su un teschio di cervo, rivelando la siluette del capo dei Rayag, chiunque essi fossero.

Di nuovo il mio corpo reagì prima della mia mente, questa volta facendomi scattare a sedere, puntando il pugnale contro la figura.

La testa iniziò a girarmi per la rapidità del movimento, ma non lasciai che ciò avesse delle ripercussioni sulla saldezza della presa.

«Cosa vuoi da me?!» 

Il suo corpo era a pochi centimetri dalla lama del pugnale, eppure non sembrava minimamente turbato da quella minaccia.

Mi sentivo con le spalle al muro.

«So cosa state pensando, ma vi assicuro che non voglio farvi del male.» Lo sentii dire ma, con il volto coperto dalla maschera, non riuscii a captare nessun movimento delle labbra.

Mi accigliai.

Come se fossi potuta cascarci.
Avevo sentito quella scusa fin troppe volte, anche da persone di cui mi fidavo e che poi, puntualmente, mi avevano ferita.

«Pensi davvero che ti creda dopo aver catturato me e i miei compagni?» Lasciai che i piedi scivolassero fuori dalle coperte. «Loro dove sono?» 

Mi alzai dal letto.

Nonostante ora fossi anche io in piedi, l'altezza di quell'essere dell'Altro Sole, ancora mezzo nascosto nell'ombra, era disarmante: raggiungevo a malapena il suo petto.

Mi avvicinai di un passo, ma lui non si mosse.

 I muscoli mi si irrigidirono attorno all'elsa alla consapevolezza che io per lui non rappresentassi alcuna minaccia.

«E io dove mi trovo?» Lo incalzai.

Ora i miei occhi si erano quasi del tutto abituati al buio e potevo distinguere il cappuccio che avvolgeva il resto del suo capo.

«In una delle mie stanze.»  

Un altro brivido mi tracciò la schiena al ricordo di quello che stava per avvenire nelle stanze di Degorio.

«E per quanto riguarda la vostra scorta... i miei uomini se ne sono occupati personalmente.»

Eccola, un'altra frase che, ambigua al punto giusto, anziché tranquillizzarmi, mi agitava ancora di più.

Non mi meravigliai di come quell'essere dell'Altro Sole fosse il capo dei Rayag: perfino la scelta delle singole parole era soppesata meticolosamente.

Quell'aspetto mi ricordò molto Dollarus e lui, in quanto a meticolosità, non era secondo a nessuno.

"Cosa ne hai fatto di loro?" Era ciò che davvero avrei voluto chiedere, ma quella domanda mi faceva tremare il labbro al solo pensiero.

Nella truppa di Dollarus, la maggior parte degli uomini erano umani e, consapevole di ciò che i Rayag considerassero cibo, lo scenario che avevo in mente era solo uno.

Uno ed agghiacciante, soprattutto avendo già visto Gideon divorare degli esseri umani.

Una morsa mi strinse lo stomaco.

«Portami da loro.» Dissi invece, mentre l'angoscia mi consumava dall'interno.

«Principessa, non mi sembra il caso.» Lo vidi tendere la mano verso di me. «Siete ferita dovrest-»

«Non toccarmi!» Il pugnale gli tagliò il braccio e l'essere dell'Altro Sole arretrò di nuovo.

Rimasi per qualche istante immobile ed in silenzio, con lo sguardo perso sulla lama insanguinata.

Tremava.
No, io stavo tremando.
La mia mano stava tremando.

Come faceva a sapere chi fossi?

Non avevo più intenzione di nascondere la mia identità, ma a loro non l'avevo di certo rivelata io. Come potevano conoscere le sembianze di una Principessa che aveva passato tutta la sua vita a nascondersi?

Deglutii, la gola secca.

Un dubbio stava iniziando ad insinuarsi nei miei pensieri: e se fosse stato qualcuno? 
Se di nuovo, per salvarsi, qualcuno mi avesse tradita?

Aerin, pensai. Solo lei sarebbe potuta essere così meschina.
E se fosse stato Gideon?

«Mi dispiace, non avrei dovuto essere stato così avventato.» L'essere dell'Altro Sole si tamponò la ferita sul braccio con la mano opposta. «Vi ho spaventata.»

In quella stanza, in quel buio, in quelle condizioni, mi sentivo in gabbia.
Costretta al chiuso, l'aria sembrava sempre più rarefatta.

Le orecchie mi fischiavano nel silenzio, in cui solo lo scroscio della pioggia sembrava prova dello scorrere del tempo.

Poi la figura riprese a muoversi.

«Cosa stai facendo?!» La presa sull'elsa si fece di nuovo salda.

«Capisco la vostra diffidenza.» Non mi lasciai sfuggire nessun movimento. «Quindi ho pensato possa essere più rassicurante aprire la porta.»

In quel momento, un pesante strato di tessuto venne sposato sul lato, facendo così in modo che la stanza si riempisse di luce e di aria fresca.

Per un istante mi sembrò di mettere fine ad una lunga apnea, di essere tornata in superficie a respirare.

Ma quella sensazione durò poco.

Quando guardai ciò che c'era fuori, oltre quella spaccatura scoperta, le uniche cose che si potevano scorgere oltre al cielo nuvoloso erano, in lontananza, le chiome degli alberi.

Quel paesaggio poteva significare solo una cosa e cioè che eravamo in alto, troppo in alto.

Anche volendo, non avrei potuto saltare senza rimetterci la pelle.

Cercai di limitare il sussulto dei miei muscoli quando la figura si voltò nuovamente nella mia direzione.

Controluce, le corna spiccavano oltre il mantello, aggiungendo vertiginosità a quell'altezza spaventosa.

«Mi credereste se vi dicessi che è stato un incidente e sono sinceramente rammaricato per l'avvenuto?»

Senza mai abbassare il pugnale, iniziai ad allontanarmi dal letto, rasentando la parete in legno alle mie spalle. 

Ma non ero ancora abbastanza lontana per sentirmi al sicuro. Quel pertugio, percorribile in pochi passi, era così angusto da farmi mancare l'aria.

La mia mente pensò a Rubyo e a come avrebbe reagito se si fosse trovato in questo luogo.

Mi mancava.
Mi mancava terribilmente.

Eppure fui felice che non si trovasse lì con me, in quel momento.

Volevo saperlo al sicuro.

E al sicuro sarebbe stato solo lontano da me.

Era per questo che lo avevo allontanato.
Era per questo che non potevo pentirmi della mia scelta.

E ora, sola, avrei affrontato qualsiasi cosa mi stesse aspettando, perché purché lui fosse vivo, io sarei anche potuta morire.

Rafforzai la presa sull'elsa. «No.» Risposi, fredda.

Per quanto la paura non mi avesse abbandonata, una nuova determinazione bruciava dentro di me.

«Non posso biasimarvi.» Iniziò a venirmi incontro. «So solo una minima parte delle avversità che avete incontrato lungo la strada e ne sono veramente dispiaciuto. Sono cose che non augurerei a nessuno.»

Mi accigliai mentre, con lui che tentava di avvicinarsi sempre più e io che facevo di tutto per respingerlo, ci ritrovammo in breve ad invertire le nostre posizioni nella stanza.

Quindi non conosceva solo la mia identità.

Serrai la mascella.

A quella rivelazione, troppi pensieri avevano iniziato a invadere la mia testa.

Ora sapevo che nessuno mi aveva tradita svelando chi fossi, eppure non potevo ritenermi sollevata: magari Dollarus e gli altri erano stati uccisi ancor prima di poter parlare o, nel migliore dei casi, c'era qualcuno che per tutti quegli anni aveva seguito ogni mio movimento senza che né io né Rubyo ce ne rendessimo conto.

Di una cosa però ero sicura, e cioè il senso di colpa che stavo provando nell'aver creduto, anche per un solo istante, Gideon responsabile.

Eppure quest'emozione mi aprì gli occhi: mi sarei mai di nuovo riuscita a fidare completamente di Gideon?

Per un istante quelle parole di finto altruismo mi fecero quasi abbassare la guardia ma, nell'istante in cui associai quei suoi modi di fare a quelli di Markus abbattei quell'illusione.

«Tenete.» Improvvisamente mi offrì un fodero. «È vostra, ve la restituisco.»

Percorsi con lo sguardo la lunghezza della custodia fino a raggiungere l'elsa in cui, incastonate, c'erano delle pietre.

Quella era senza dubbio la spada di mio padre, come poteva lui, un essere dell'Altro Sole, impugnarla senza problemi?

Mentre valutavo come riappropriarmene senza cadere in una possibile trappola, la mia mente cercava solo di trovare una spiegazione possibile.

"Non estrarla." Era questo ciò che Gideon mi aveva ripetuto più volte.

Possibile che, infoderata, potesse passare per una comune spada?

«Se neanche lasciarvi le armi indosso vi rassicura, allora vi accompagnerò volentieri dai vostri uomini.» Lo sentii dire, non appena mi assicurai il fodero in vita.

Ma purtroppo per lui, neanche la farsa di restituirmi la spada poteva funzionare.

Quella sua finta maschera di alleato era caduta nel momento in cui si era dimostrato indifferente alle mie minacce, rendendo palese che, in quanto essere dell'Altro Sole, non sarebbe bastata una semplice lama appuntita per sconfiggerlo.

Con la porta alle spalle mi sentivo più al sicuro, ma non abbastanza.

Al contrario, invece, quell'essere dell'Altro Sole, sempre più noncurante della lama puntata contro, mi diede le spalle.

Lo osservai agitare le dita dentro al cappuccio e l'attimo dopo, aveva appeso la sua maschera ad un chiodo sporgente difronte a sé.

Ora quel teschio, in bella mostra sulla parete, sembrava un trofeo di caccia.

«Come fai a sapere chi sono?» Domandai, approfittando di quel suo momento di distrazione per valutare quanti metri mi separassero dal suolo.

Rabbrividii.

Più di una trentina di metri mi separavano dal suolo, da cui spuntavano come dita nella sabbia spesse radici.

Solo allora realizzai veramente di trovarmi all'interno di un albero.

Il ramo più vicino, era comunque troppo in basso per essere raggiunto senza spezzarmi la caviglia, per non parlare del fatto che la posizione e la forma probabilmente non mi avrebbero permesso un atterraggio stabile.

Saltare era fuori questione.

Con la coda degli occhi captai un movimento davanti a me.

Il cuore mi sprofondò nello stomaco quando realizzai come il busto di quell'essere fosse a pochi centimetri dal mio volto.

Sussultai e, con un gesto istintivo, il mio piede indietreggiò nel vuoto.

Sbarrai gli occhi, cercando di aggrapparmi a qualcosa con la mano libera, ma la presa mi scivolò ancor prima che potessi afferrarla.

«Presa!»

Sollevai lo sguardo.

Sopra di me, quell'essere dell'Altro Sole mi fissava: gli occhi gialli, felini, in contrasto con uno strato di polvere rossa che gli sporcava palpebre, sopracciglia, naso e zigomi.

Si reggeva, con una mano, a quella che avrebbe dovuto fare da cornice della porta, mentre con l'altra mi stringeva dalla vita.

Sotto, il vuoto.

In quel momento una folata di vento gli sfilò il cappuccio e delle ciocche cremisi si liberarono nell'aria.

Rimasi a fissarlo per qualche istante, la bocca schiusa, finché il mio sguardo non incontrò nuovamente il suo.

A quell'interazione, sorrise, mostrando un paio di canini più accentuati del normale.

«Non tutte le persone hanno dei capelli come i nostri.» Rispose alla mia domanda.

Presa dallo sviluppo degli aventi l'avevo quasi dimenticata. 

«Vi ho salvato la vita.» Aggiunse poco dopo, tirandomi all'interno. «Ora vi fidate?»

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