CAPITOLO 135

Finita la festa e scampato il pericolo, Dollarus era tornato al timone.

A sua detta, Aerin sì, era abile, tuttavia ora servivano le sue mani esperte a guidare la nave mentre questa si avvicinava alle alte falesie della costa est del Regno.

Prima di procedere verso il cuore del Regno dell'Altro Sole, avremmo fatto una breve tappa a Chaot per cambiare nave, fare scorta di Gyft e Chrysus e riunire una parte della compagnia più fedele di Dollarus.

Di questo piano, ovviamente, Rubyo non sapeva nulla.

Proprio per non farlo insospettire, infatti, lo avremmo accompagnato solo fino alla Capitale, e non a Krat, nonostante questa avesse coste morbide e sabbiose, accessibili molto più facilmente.

O almeno, questo era ciò che mi ripetevo e a cui mi illudevo di credere.

Il vero motivo, però, per cui avremmo lasciato Rubyo sulle coste della Capitale era perchè, portandolo fino a Krat, avremmo inevitabilmente trascorso insieme almeno un'altra settimana e, a quel punto, non sarei stata più così sicura di essere in grado di lasciarlo andare.

Ma, per far si che questo mio egoistico piano funzionasse, avevo bisogno del potere dei Kelpie e, sapendo di non poter contare su Aerin, chiesi aiuto a Gideon.

Lo trovai sulla prua, con lo sguardo rivolto verso il mare. Quando lo chiamai, si girò, facendo sì che il vento gli scompigliasse tutti i capelli, annodandoglieli sul volto.

Lo osservai in silenzio mentre, con una mano, si portava indietro le ciocche candide, mettendo il risalto il colore cristallino dei suoi occhi.

Al vedermi, accennò un sorriso, ma notai subito come i suoi muscoli si irrigidirono: era a disagio.

Non me ne stupii, visti i nostri trascorsi che ancora dovevamo chiarire.

«Cosa c'è?» Mi domandò, una volta che fui al suo fianco.

«Devi farmi un favore.» Dissi, appoggiandomi con i gomiti sul legno della poppa.

«Ah... capisco.» Colsi la punta di delusione nel suo tono. «Di cosa hai bisogno?» 

«Quando sarà il momento, dovrai alzare un onda e portare Rubyo sulle coste della Capitale.»

Solo dopo averlo visto annuire, feci per andarmene, ma proprio quando gli voltai le spalle lo sentii bisbigliare: «Rubyo, Rubyo e ancora Rubyo.»

Mi rigirai di scatto.
Lo stomaco corroso e le parole che mi prudevano sulla lingua.

Quei giorni mi avevano fatto accumulare tanto di quel nervosismo, che sapevo sarei scoppiata da un momento all'altro.
Mi serviva solo un buon motivo per farlo e quella fu la scintilla che appiccò l'incendio.

«Cosa ti aspettavi che fossi venuta a chiederti?» Non riuscivo a trattenere il flusso di parole. «L'unica persona che avrebbe dovuto fare un passo in avanti eri tu.»

Gideon si accigliò, allontanandosi dal bordo della nave e venendomi incontro.

Le falcate ampie e pesanti.

«Credi davvero che non l'abbia fatto?»

«No Gideon, no!» Lo guardavo dritto negli occhi. «Non mi hai mai chiesto scusa. Chiesto sinceramente scusa.»

Stavo perdendo il controllo più facilmente di quanto avrei voluto, ma non riuscivo a farne a meno.

«Sei almeno dispiaciuto per quello che hai fatto? Per quello che mi hai fatto?»

Gideon mi afferrò per l'avambraccio. Per quanto rifiutassi quel contatto, ora non c'era più nessuna scintilla ad allontanarlo.

«Davvero credi che non ci abbia provato, Lyra? L'ho fatto. Più volte. Ma sembrava sempre che mi evitassi.»

Risi seccamente, riprendendomi il braccio. «Gideon, quello che tu hai fatto è stato solo autocommiserarti, evitando il mio sguardo e facendo il timido.»

«Timido?» I suoi occhi si illuminarono di una fiamma dorata.

Rabbrividii a quella vista, mentre le immagini di quello che era successo nell'Isola di Primavera iniziarono a riemergere.

Cercai di ricacciare indietro quel sentimento di angoscia che ora mi opprimeva il petto, spingendolo nei meandri della mia mente.

In simbiosi con quelle emozioni, feci nuovamente per andarmene, allontanandomi da Gideon, ma mi afferrò per il polso.

«Allora dimmelo! Dimmi cosa posso fare per farmi perdonare!»

Mi bloccai al centro del ponte di comando: questa volta non cercai neppure di liberarmi dalla sua presa.

Ero davvero stanca.
Stanca di quella situazione, stanca di lui, stanca di tutto.

«Niente Gideon.» Mi voltai, fissandolo negli occhi. «Non puoi fare niente.» 

Un velo cupo gli oscurò le iridi tremanti, ma oramai nulla mi toccava più.

Nel momento in cui avevo deciso di allontanare Rubyo, di privarmi dell'unica costante della mia vita, dell'abbattere quell'unico pilastro portante che mi rimaneva, non avevo più nulla da perdere, più nulla da temere.

«Non sono più la ragazzina fragile che hai conosciuto.»

In me non c'era più nient'altro da rompere.

«Tu non eri fragile, Lyra.»

«Hai ragione. Ma lo sono diventata.  Avere voi due, sempre accanto... il mio errore è stato darvi per scontato.»

«Lyra, non è un err-»

«Si invece!» Gridai.

Mi meravigliai io stessa dell'improvviso cambio di tono, ma non mi pentii di quella inaspettata reazione.

«Io sono la Principessa. Capisci? La Principessa.» La voce mi tremava. «Devo avere la forza di sostenere, da sola, un intero Regno. Non posso permettermi di indugiare. Affidarmi a qualcun altro è un lusso che non posso permettermi.»

Tutta quella situazione mi stava spezzando.
Io, stavo crollando.

Ma andava bene cadere a pezzi.
Andava bene distruggersi.

Mi sarei ricostruita da capo, a partire dalle macerie.

E questa volta le fondamenta sarebbero state solide, indipendenti.

«Sono io, da sola.» Dissi.

E sarei rinata.

«Ci siamo!» La voce di Dollarus, proveniente dalla poppa, concluse definitivamente il discorso tra me e Gideon. «È il momento.»

Senza aggiungere una parola, Gideon superò il mio fianco, raggiungendo l'albero maestro.

«Sono pronto.» Annunciò a Dollarus ancora al timone.

In quel momento, Rubyo uscì dalla sottocoperta che, dall'ultima volta che ci eravamo rivolti la parola, non aveva mai abbandonato.

Lo smeraldo dei suoi occhi incontrò i miei.
In quel momento mi chiesi se li avrei mai più rivisti.

Quello scambio di sguardi durò pochi secondi, eppure sembrò che, per un momento, il tempo si fosse fermato.

Impressi nella mia mente il suo volto, per un'ultima volta.

Nel corso degli anni lo avevo osservato tante volte, eppure in quel momento non mi sembrarono abbastanza.

Non ero riuscita a cogliere ogni ruga espressiva, ogni riflesso dei capelli, ogni venatura degli occhi.

Incapace di muovermi, sentii le lacrime risalire dal profondo del mio cuore, scuotendomi la colonna vertebrale.

Mi morsi la lingua.

Non avrei pianto. Non proprio ora che Rubyo mi stava guardando.

Dopo si. Dopo avrei ceduto e mi sarei abbandonata alle lacrime, ma non in quel momento.

Solo quando distolse il suo sguardo dal mio mi accorsi di aver trattenuto il respiro, e il tempo sembrò riprendere a scorrere.

Silenzioso e a testa bassa, lo vidi andare verso il fianco dell'imbarcazione, fino a raggiungere la ringhiera in legno.

Lentamente, prima una gamba e poi un'altra, si sedette a penzoloni sulla nave, mentre le onde sbattevano violente contro lo scafo.

Girò la testa nella mia direzione un'ultima volta.

Volevo gridare, ma tacqui.
Impietrita.

Osservai un angolo delle sue labbra sollevarsi in un triste sorriso, mentre, sulla sua guancia, i tiepidi raggi del sole mattutino fecero brillare un'unica e lenta lacrima.

E come quella goccia cadde sul legno, rapida e silenziosa, anche Rubyo si lasciò cadere, senza un suono, in mare.

Come a seguirlo per un'ultima volta, le mie ginocchia cedettero, facendomi accasciare sul pavimento umido della nave, bagnato dall'acqua salmastra che, ora, si mischiava a quella altrettanto salata delle mie lacrime.

Seduta a terra, con la schiena ricurva e le unghie che graffiavano il ponte di comando, i singhiozzi mi portavano via il respiro.

Ora ero sola.
Ora potevo sfogarmi.
Ora, che avevo toccato il fondo, non potevo far altro che risalire.

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