CAPITOLO 126
Avevo i nervi a fior di pelle e l'ansia mi corrodeva lo stomaco.
Ma dovevo ignorare entrambi.
L'unica cosa su cui dovevo concentrarmi era la corda che stringevo in mano.
Nonostante ciò, però, la tentazione di lasciarla e affacciarmi allo strapiombo, per controllare le condizioni di Rubyo, era forte.
Ma non l'avrei mai fatto.
Soprattutto con la consapevolezza che quel mio gesto avrebbe potuto metterlo in pericolo più di quanto già non fosse.
Eppure, con Gideon in prima fila e Dollarus subito dopo, ero la persona più lontana e con la vista sullo strapiombo completamente oscurata.
Sentivo la corda segarmi le mani. La pelle mi bruciava, ma ignorai il dolore.
Anzi, ruotai il polso in modo che la fune mi si arrotolasse attorno al palmo.
Avevo la circolazione bloccata tanto era stretta la morsa. Ma mai quanto quella della mia mascella.
Più il battito aumentava, più la stretta diventava forte e dolosa, intorpidendomi le dita oramai gonfie e violacee.
Poi, improvvisamente, tutta quella pressione scomparve e la corda si fece leggera.
Il cuore mi piombò nello stomaco.
Abbandonai il mio posto, correndo in direzione dello strapiombo.
Mi inginocchiai al limite del dirupo: l'altezza era vertiginosa ma non mi importava.
«Rubyo!» Gridai.
Il respiro così affannoso da impedirmi di respirare.
Più giù, un ciuffo castano comparve tra il nero del terreno bruciato.
«Sto bene. Sono arrivato. Allontanati da lì!» Disse abbastanza forte da far si che la sua voce mi raggiungesse.
Solo allora mi lasciai cadere all'indietro, inumidendo il terreno con il mio sudore.
Stavo tremando.
Per l'adrenalina.
Per la paura.
«Principessa.» Mi chiamò Dollarus.
Senza alzarmi, girai la testa nella sua direzione.
«Mi vogliate scusare se sono così diretto ma- quella sarebbe la mia giacca.»
Sbarrai gli occhi, raddrizzandomi a sedere con uno scatto.
«Si, hai ragione... scusa.» Dissi contorcendomi, cercando di rimuovere alla meglio la polvere e la terra secca dalla schiena.
La taglia di quella giacca certo non aiutava. Anzi, mi sentivo ancora più in difficoltà nei movimenti, soprattutto le maniche troppo corte, che tiravano.
In quel momento sentii lo sguardo di Gideon addosso.
Da quando si era risvegliato era la prima volta che mi fissava così a lungo.
Spostai lentamente il mio sguardo nel suo.
Lo abbassò all'istante.
In quel momento, mi faceva solo pena.
Poi ricordai il modo in cui mi aveva presa, sbattuta contro un albero, baciata e quasi spogliata e non potei non rabbrividire.
Mi portai inconsciamente una mano sul petto, come in un tentativo di proteggermi, di coprirmi.
Guardavo ancora Gideon, mentre lui sembrava particolarmente interessato a un grumo di terra ai suoi piedi.
Poi improvvisamente scattò sull'attenti, avvicinandosi pericolosamente allo strapiombo.
«Mamma!» E il suo volto si dipinse di gioia. «Stanno per salire.»
Con quell'ultima frase tornò in posizione e iniziò a tirare.
«Saliranno uno per volta.» Disse, improvvisamente carico di energie. «Prima mia madre.»
La sicurezza con cui disse quelle parole e il modo in cui aveva reagito ad un richiamo silenzioso, mi fece immaginare che i due avessero usato la telepatia tipica dei Kelpie per comunicare.
Così, ancora una volta, ripresi a tirare, ma questa volta quasi insensibile al dolore, tanto non vedevo l'ora che entrambi fossero salvi.
E proprio in quel momento spuntò una chioma albina oltre le gambe di Gideon.
Da quella posizione non riuscivo a vederlo in volto, ma il modo in cui gli si gonfiarono le spalle fu sufficiente a capire il suo stato d'animo.
Così felice, però, venne preso alla sprovvista quando uno strattone appesantì nuovamente la fune.
«Merda!» Disse graffiando la terra con i talloni ed avvicinandosi di qualche passo al dirupo.
«Gideon!»
Aerin, vedendo il figlio così vicino allo strapiombo, afferrò con una mano la corda subito dietro di lui, strattonandola nella direzione opposta.
La fune divenne improvvisamente così leggera che mi sbilanciai all'indietro, battendo malamente la schiena al suolo.
Sentendo l'impatto Dollarus si voltò indietro a verificare le mie condizioni.
Mi bastò un lieve cenno del capo per rassicurarlo, poi fui di nuovo in piedi.
Ma non servì più tirare, poiché Rubyo era riapparso sul bordo dello strapiombo.
Ora che finalmente eravamo tutti sani e salvi, scendemmo dalla cima lungo la strada che avevamo percorso all'andata, decidendo di accamparci per un po' lungo la costa, a riposare, prima di ritornare alla nave di Dollarus che si trovava dal lato opposto dell'Isola.
Emisi un mugugno di dolore quando, i miei piedi, sprofondarono nella sabbia, che mi entrò nei tagli.
Nonostante quel suolo fosse decisamente più morbido della roccia, ad ogni passo mi sembrava di camminare su degli spilli.
Strinsi i denti e corsi fino alla riva nella speranza di accorciare la durata della sofferenza.
Anche Rubyo ebbe la mia stessa idea, ed entrambi ci sedemmo in riva, con i piedi a mollo nell'acqua salata del mare.
Pizzicava, ma disinfettava.
Nel mentre Aerin e Gideon se la vedevano bene dall'avvicinarsi al mare, che li avrebbe indeboliti ulteriormente.
Dollarus, invece, sembrava una statua: stoico e instancabile era il più energico di tutti, e aveva ancora la forza di stare in piedi.
«Perché non ti siedi anche tu?» Lo invitai, girandomi nella sua direzione ma stando ben attenta di non toccare la sabbia asciutta con i piedi bagnati.
Vidi una smorfia comparirgli sul volto. «Non amo particolarmente la... polvere.»
Sorrisi, un po' imbarazzata.
«Mi dispiace per prima. La tua giacca, intendo.»
Quella fu la prima volta che vidi Dollarus arrossire. «No, no. È solo colpa mia. Non avrei mai dovuto dire una cosa del genere ad una Principessa.»
«La pulirò come si deve prima di restituirtela.» Dissi, sinceramente intenzionata a farlo.
«N-non ce ne è bisogno ma, a tal proposito, ho degli abiti di scorta sulla nave. Sia per me, che per i miei uomini.» Con l'ultima frase, spostò lo sguardo su Rubyo.
Con la sua corporatura sarebbe stato impossibile indossare gli abiti di Dollarus ma, magari, quelli dei suoi uomini si.
Annuii. «Grazie.»
In quel momento di silenzio mi guardai attorno.
In quel momento di silenzio, con le ferite che mi pizzicavano e i muscoli indolenziti, osservai ognuno di loro.
Dollarus, che borbottava tra sé e sé ancora imbarazzato.
Aerin, che riposava la testa sulla spalla del figlio.
Gideon, che, sorridendo, socchiudeva gli occhi, inclinando il capo verso la madre.
Rubyo, che mi guardava con i suoi occhi verde smeraldo, cercando di capire a cosa stessi pensando.
Da quando ero scappata da palazzo, la prima volta, avevo fatto veramente tanta strada.
E ora, arrivata a questo punto, quasi stentavo a crederci.
Eppure era così.
E le pietre erano recuperate.
E la daga era attivata.
Ma mai come adesso mi sentivo persa.
Avevo tutto ciò per cui avevo combattuto, eppure mi sentivo insicura.
C'era solo un'altra cosa, l'ultima cosa, che mi separava veramente dalla fine della missione.
Ingoiai la saliva.
«Aerin.» La chiamai, e la donna aprì gli occhi congelandomi con il suo sguardo cristallino. «Cosa sai di questa spada?»
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