CAPITOLO 120

Lyra's POV

Silenzio.

Una fresca brezza mi solleticava la pelle.

Strizzai gli occhi quando un raggio di sole mi accarezzò la curva delle ciglia.

Inclinai la testa di lato, non ancora certa di volermi svegliare.
Lo zigomo toccò il cuscino in raso.

Emisi un lamento quando qualcosa mi solleticò il naso.

Senza mai sollevare le palpebre schiaffeggiai l'aria davanti a me.

Una volta.

Due volte.

Spalancai gli occhi, accigliata ed infastidita.

«Il sole è già alto!» Un ragazzino dal ciuffo moro spostò le pesanti tende in ciniglia che coprivano le ampie vetrate, lasciando entrare tutta la luce.

Mi nascosi sotto le coperte.

«È l'alba!» Mugugnai, la voce ovattata dal tessuto.

«Si... ma l'alba di un giorno speciale.»

Scattai a sedere sul letto, improvvisamente priva di tutta quella stanchezza mattutina.

«Auguri, Pr-» Guardai la guardia di traverso. «Auguri, Lyra.»

Questo, dopo avermi depositato una corona di fiori bianchi sul capo, mi posò un delicato bacio sulla guancia.

Sorrisi, mostrando i denti. «Grazie Rubyo.»

«Dai, venite.» Disse improvvisamente questo, tirandomi a forza giù dal letto. «C'è un'altra sorpresa.»

«Va bene, ma solo se la smetti di darmi del Voi.» Lo vidi sorridere.

Rabbrividii quando i miei piedi toccarono il marmo freddo.

Con la mano di Rubyo stretta nella mia, venni trascinata, tra risate sommesse e sghignazzi sottovoce, per i corridoi del palazzo, evitando tutte le zone più sorvegliate.

Ma, quando capii il luogo in cui mi stesse portando, mi arrestai bruscamente, liberando l'arto dalla sua presa.

Mi si spense il sorriso sul volto.

«Perché siamo qui?» Dissi, fissando l'immensa porta chiusa davanti a me.

«Non posso entrare... non voglio entrare.» Mi strinsi nelle spalle. «Poi se Markus lo scoprisse...»

Lo sguardo mi si legò al pavimento.

«Lyra...» Improvvisamente, tra me ed il marmo freddo, si intromise Rubyo, ora inginocchiato a terra. «Ti fidi di me?»

Mi porse la mano.

Alzai lo sguardo, fissando i suoi occhi.

«Mi fido.» Dissi accettando il gesto, mentre sul volto della giovane guardia di mio fratello ricompariva il sorriso.

L'attimo dopo eravamo dentro.

La camera di papà era esattamente come l'ultima volta che l'avevo vista, due anni fa.

Riuscivo ancora a sentire il suo odore nell'aria.

Mi mancò il respiro quando, appeso al muro, vidi il quadro che lo rappresentava: alto, con gli occhi chiari ed i capelli scuri, con un filo di barba sul volto e con una posa artificiale da uomo fiero. L'esatto opposto di mamma, che gli stava accanto quasi schiva, con i capelli rossi raccolti in un'acconciatura alta per mettere in mostra i gioielli.

Ma mentre io indugiavo nei miei passi, guardandomi intorno, Rubyo aveva già raggiunto il grosso letto, piegandosi in due per raccogliere qualcosa sotto di esso.

Quando si rialzò, stringeva tra le mani una scatola in legno.

Prima di porgermela, la ripulì dalla polvere, soffiandoci sopra e strofinando una manica.

Gli andai in contro lentamente.

Era più pesante di quanto mi aspettassi.

Lessi l'incisione: «Buon compleanno, bambina mia.»

Improvvisamente gli occhi presero a pizzicare ed il cuore a tremare.

Ma iniziai a singhiozzare solo dopo che Rubyo mi strinse a sé.

«È la polvere.» Dissi, cercando di trattenere le lacrime.

«Lo so, lo so.» Rispose lui, strofinandomi dolcemente la schiena.

«Voleva che te la dessi per il tuo dodicesimo compleanno. Aprila.» Aggiunse poco dopo, liberandomi dall'abbraccio.

Tirai su con il naso, trovando il coraggio.

Conteneva una lettera, ed un pugnale.

Rimasi qualche istante ad osservare il contenuto, senza toccarlo.

Il foglio di carta era scolorito dal tempo e sembrava particolarmente fragile da maneggiare.
L'arma, invece, aveva resistito decisamente meglio allo scorrere degli anni, tuttavia presentava delle incavature, come se delle parti se ne fossero staccate.

Sfiorai la lama con i polpastrelli, solleticandoli, risalendo fino all'elsa.

L'afferrai.

Ma non appena estrassi la daga dalla scatola in legno, nel pavimento si aprì un varco nero sotto i miei piedi.

Così come il mio corpo sprofondava nel pavimento, anche il mio cuore affondava nello stomaco, mentre mi allungavo, invano, verso Rubyo che, immobile, sembrava ghiacciato nel tempo.

Gridai il suo nome, ma dalla mia gola non uscì alcun suono.

Potei solo continuare a cadere.
In silenzio.
Nel buio.
Con gli occhi chiusi.

Li riaprii annaspando.

Mi guardai in torno.

Ero ancora a palazzo.

Ero fuori.

Era notte.

Scalza e con un pomposo vestito in raso, tulle e seta, tra le mani stringevo ancora il pugnale.

Lasciai cadere improvvisamente l'arma quando, dalla lama, vidi gocciolare del sangue, che mi aveva impregnato il palmo.

Urlai.

Ancora con la bocca dischiusa e le labbra tremanti, seguii con lo sguardo il pugnale cadere, fino a sbattere con un rumore ferroso nella pozza di sangue ai miei piedi.

Gridai ancora più forte, cadendo all'indietro e nascondendo il viso tra le mani, ma non abbastanza velocemente da non incrociare lo sguardo con gli occhi aperti, ma privi di vita, del cadavere ai miei piedi.

Ero stata io?
Lo avevo ucciso io?

Non riuscivo a pensare ad altro mentre vedevo la macchia vermiglia espandersi sul marmo.

«Lyra!»

Vidi Rubyo correre nella mia direzione. Arrivava da un altra ala del palazzo ed era anche lui ricoperto da ferite e graffi.

«Andiamocene da qui. Ora.» Mi prese per mano. «Markus non ti toccherà mai più.»

Le lacrime mi scendevano copiose, mentre un improvviso affanno mi consumava l'ossigeno.

Raccolse il pugnale da terra, imbrattandosi le mani di sangue fresco.

«Tienilo stretto e non perderlo mai» Disse obbligando le mie dita ad avvolgersi attorno l'elsa. «Hai letto la lettera: è la tua garanzia di ritorno.»

In quel momento un gruppo di guardie imperiali fece capolino da dietro l'angolo.

«Merda!» Sentii Rubyo imprecare, mentre questi ci venivano in contro.

«Vai!» Mi urlò poi, indicandomi la direzione in cui correre senza mai distogliere lo sguardo dagli avversari.

Ma le gambe erano immobilizzate. «Ti raggiungerò subito.» Mi guardò per un attimo, accennando un sorriso. «Ti ho mai mentita?»

Deglutii, scuotendo la testa, poi i miei piedi iniziarono a muoversi da soli.

Tremanti, inciampai nei miei stessi passi.

Mi preparai all'impatto con il suolo, irrigidendo i muscoli, ma il mio cuore saltò un battito quando mi sentii nuovamente sprofondare nel buio.

Atterrai a gattoni in una pozza d'acqua.

Sopra di me la pioggia cadeva scrosciante.

Avevo i capelli impregnati d'acqua incollati sul volto ed i vestiti di pelle e camoscio sporchi di terra bagnata.

Mi rigirai attorno.

Ero sola.

In un bosco.

Di notte.

Ma non ero spaventata.

Con un gesto automatico allungai la mano sul fianco, ritrovando l'elsa del pugnale.

Scattai in piedi quando sentii un rumore di rami spezzarsi.

Feci per estrarre l'arma ma qualcosa mi avvolse, per poi farmi rotolare dietro il tronco di un albero.

Non fu necessario vedere il volto. Mi bastarono le braccia muscolose che mi avvolgevano ed il ritmo del respiro affannoso che faceva sollevare il suo sterno contro la mia schiena per riconoscere Rubyo.

Allentò la presa solo quando si convinse di essere fuori pericolo.

«Ho trovato un posto.» Disse poi, aiutandomi a sollevarmi prima che lo facesse lui stesso.

«È una vecchia torre di avvistamento in pietra fatta costruire da tuo padre, ma rimasta incompiuta. É oltre questo bosco.»

Si spostò dal viso il ciuffo corto, che la pioggia gli aveva incollato alla fronte.

«Vivremo in pace, almeno per un po'.»

Dopo quelle parole si sciolse il mantello, poggiandomelo poi sulle spalle.

«Sei fradicia.» Disse sollevando il cappuccio e strofinandolo contro i miei capelli.

«Anche tu.»

Lo fissavo negli occhi mentre lui, con dedizione, era concentrato sulla mia testa.

«Ho una costituzione migliore della tua.»

Mi accigliai a quella scusa.

Si bloccò, con una smorfia di dolore, guardandomi finalmente negli occhi, solo quando gli toccai il fianco.

«Sono sicura che questa non c'era prima.»

Mi strappai un pezzo di stoffa dalla maglia, bendando la ferita di Rubyo.

«Non ce ne era bisogno.» Disse lui, allontanandosi e iniziando a fare strada.

«Hai ragione.» Dissi accelerando il passo per raggiungerlo. «Ma mi andava.» Sentendolo tacere una risata, sorrisi.

Era in momenti come questi che mi sentivo di nuovo a casa.

Casa era dove c'era Rubyo.

Rubyo...

Rubyo...

Sentii la sua voce chiamarmi in lontananza.

«Lyra! Sono qui.»

In quel momento, ancora con gli occhi chiusi, sentii il bisogno di piangere.

Mi era mancato così tanto.

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