CAPITOLO 119
Gideon's POV
Correvo. Correvo come se la mia vita ne dipendesse.
Sentivo le fiamme graffiarmi il manto, il calore seccarmi la gola, il fumo annebbiarmi la vista.
Ma non riuscivo a smettere di correre. Ero consumato da un altro incendio. Più grande. Più caldo. Inestinguibile.
La gelosia.
Da quando la foresta era andata in fiamme, avevo cercato Lyra ovunque, consumato dalla preoccupazione.
E quando finalmente l'avevo trovata, lì, vicino a quel lago...
Al solo pensiero l'incendio dentro di me avvampò, mentre i muscoli mi bruciavano per la corsa sempre più disperata.
Ma per quanto avrei potuto correre, quell'immagine, quella sensazione, non sarebbero mai sparite.
Come i suoi occhi lo avevano osservato spogliarsi, come le sue mani avevano indugiato sul suo corpo, come i loro volti si erano avvicinati... come lei aveva desiderato quel bacio.
Ero geloso ed invidioso di come lui potesse toccarla, di come lei si lasciasse toccare, di quel rapporto che si era ricreato così velocemente, nonostante la perdita dei ricordi.
Frenai di colpo, graffiando il terreno con gli zoccoli. Feci appena in tempo a schivare un ramo in fiamme caduto.
Chi si credeva di essere per guardarmi in quel modo?
Quella disinvoltura fiera ed arrogante, al lago, con cui si muoveva, credendo di avere in pugno la situazione, credendo di aver finalmente lui la meglio.
Chi si credeva di essere?
La soddisfazione che doveva aver provato nel momento in cui mi sono umiliato, lasciando che mi salisse in groppa.
Gridai, in preda alla frustrazione, ma ne uscì solo un nitrito.
Non ero mai stato così vicino prima d'ora dal perdere il controllo di me stesso.
Altro che soddisfazione, avrei provato puro godimento ed eccitazione nel sentire le sue costole rompersi sotto alla potenza dei miei calci, la sua carne strapparsi sotto alla forza dei miei morsi ed il suo sangue dissetarmi la gola. Ecco, forse solo il suo sangue avrebbe estinto l'incendio che mi corrodeva l'anima, nera già da molto tempo.
Ma se lo avessi fatto, non avrei mai più avuto il coraggio di guardarla in faccia. Non ne avrei avuto più il diritto.
Mi avrebbe odiato, più di quanto già non facesse.
Il suo cuore. Così fragile da chiudermi fuori dopo il tradimento, eppure così grande da accettare una persona che, per lei ora, altro non era che uno sconosciuto.
Cos'ha lui che io non ho?!
Dovetti fermarmi a riprendere fiato. Il caldo era diventato asfissiante.
In quel momento, la terra tremò, portando con sé una vampata rovente.
Mi sentii mancare l'aria.
Poi, in quel momento, un'ombra.
Immensa, come un cumolo di nubi nere cariche di pioggia, oscurò il cielo.
Così alta, da non vederne la cima.
Una fiamma viva, tenuta insieme da magma e rocce: un titano di lava.
Non doveva trovarsi qui. Quest'isola era deserta e raggiungerla in mare... no, i titani di lava sarebbero periti.
C'era solo una spiegazione, e non mi piaceva per niente: quello era Dollarus.
Un ruggito fece tremare l'aria.
La conseguenza ne fu una fiammata che carbonizzò le chiome degli alberi, diffondendo nell'aria della cenere grigia.
Sentii il corpo bruciare come fosse divorato dal fuoco.
Merda.
Ora che mi trovavo davanti la fonte di quell'incendio, il calore era ustionante.
Ero come una goccia d'acqua sotto al sole del deserto: destinata ad evaporare.
Ed è proprio quello che accadde quando, la mia forma da Kelpie, scoppiò in una bolla di vapore davanti a Dollarus.
Ora, per lui, ero come una formica. Ed io mi sentivo tale.
Guardai alle mie spalle. Stava andando nella direzione di Lyra, nella direzione del fiore.
Era lento, ma i passi lunghi ed il suo raggio d'azione ampio. Dovevo allontanarlo il prima possibile.
«Ehi, bastardo!» Sentii il mio grido graffiarmi la gola secca.
Iniziai ad agitare le mani e poco ci volle prima di riuscire ad attirare la sua attenzione.
«Sono qua!»
Iniziai a muovermi in cerchio, guidandolo verso il lato da cui era venuto. Se non fossi stato in grado di riportarlo di nuovo in sé, almeno avrei dovuto provare a guadagnare tempo in attesa di rinforzi.
Guardai il Ghrysus: era l'unica possibilità.
Conoscevo bene quel frutto per le sue caratteristiche velenose. Ma mai avrei pensato che sarebbe potuto servire a qualcuno come antidoto.
Aumentai il passo, allontanandomi ma rimanendo comunque nel suo raggio d'azione per essere sicuro che mi vedesse e che mi seguisse.
Approfittai di quel terreno guadagnato per aprire il Ghrysus.
Lo gettai al suolo, iniziando a prendere a pugni la superficie.
Il guscio era duro come una roccia, ma la forza da Kelpie lo avrebbe aperto comunque.
Lo colpii con un pugno, ma non si aprì.
Merda.
L'incendio mi stava prosciugando da ogni forza.
Iniziai a battere sul guscio ripetutamente, con entrambe le mani, mentre delle preziose gocce di sudore mi scivolavano dal volto.
Finalmente si schiuse, rivelando un liquido giallastro e denso dall'odore zuccheroso.
Ma così preso nel rompere il guscio di quel maledetto frutto, non mi accorsi di quanto Dollarus si fosse avvicinato.
Un suo passo, troppo vicino, mi sollevò da terra, sbalzandomi in ciò che rimaneva di un cespuglio di rovi.
Trattenni il fiato quando sentii migliaia di piccole spine graffiarmi la schiena.
Mi sollevai velocemente, mentre una smorfia di dolore mi accartocciava il viso.
Per un attimo sentii la terra mancarmi da sotto i piedi e credetti di essere stato nuovamente sbalzato via, ma pochi istanti dopo mi accorsi invece di come fosse stato solo un giramento di testa.
Non mi ero reso conto di star annaspando.
Ero sul punto di svenire.
Strizzai gli occhi, cercando di recuperare la focalizzazione e, barcollante, riuscii a recuperare una metà del frutto.
Un altro passo, e fui sbalzato nuovamente in aria.
Questa volta però, era esattamente ciò che volevo: con la forza rimanente lanciai il Ghrysus più in alto possibile, riuscendo a malapena a raggiungere l'altezza dell'addome del titano.
A mezz'aria, mentre avevo iniziato la discesa, vidi il magma inglobare il frutto senza scioglierlo, come fosse una roccia, rilasciando delle bolle.
Caddi malamente a suolo, su di un fianco.
Il peggio era passato. Era solo questione di secondi prima che le proprietà velenose iniziassero a fare effetto.
Ora dovevo solo resistere.
Rimasi a terra, steso a pancia in su, con gli occhi socchiusi e arrossati.
Poi, improvvisamente, uno spasmo fece tremare il mio corpo.
Mi sollevai di scatto, in preda alle vertigini.
Un conato di mercurio si raggrumò sul terreno bruciato.
Mercurio?!
Rabbrividii.
Lyra!
Poi svenni.
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