CAPITOLO 24
«Cosa credi di fare? »
Ero riconoscente a Gideon per avermi salvato la vita, tuttavia con quel suo modo di approcciarsi non sarebbe stato di aiuto.
«Non mi sembrava avessi idee migliori. »Gideon sollevò un sopracciglio, stringendo le braccia al petto con fare saccente. Su questo non potevo contraddirlo.
«Credi davvero che degli uomini mezzi nudi passeranno inosservati? Per non parlare di come li hai minacciati. Nessun umano avrebbe usato quelle parole. »
Ero in ansia e, anche sforzandomi, non riuscivo a mantenere la calma. Questo era l'effetto che mi faceva il Regno Imperiale. Mai avrei pensato che mi sarei trovata più a mio agio in un ghetto come Kohl, piuttosto che nella capitale più fiorente di tutto il regno.
«Sentivo la loro puzza di alcool ancora prima di mettere zocc- piede sulla sabbia. »
Cercai di spegnere una risata strozzata.
«Intendo... »Disse Gideon alzando la voce per riportarmi all'attenzione. «... che quei due ubriaconi sono troppo poco sobri per essere creduti, e chiunque li vedrà penserà subito che debbano aver perso i vestiti in una scommessa. »
Sollevai entrambe le sopracciglia con stupore. «Astuto il mio Kelpie. »
La reazione di Gideon fu esattamente quella che non mi sarei mai aspettata. Spalancò gli occhi e la sua carnagione pallida tradì l'alone d'imbarazzo sulle sue guance. Notando il mio sguardo fisso sul suo volto si schiarì la voce e provò a fare buon viso a cattivo gioco.
«Credi di essere solo tu quella saggia? »
Presi quella domanda più seriamente di come avrei dovuto, pur capendo, dal tono di Gideon, che si trattasse di una battuta. «Mi stupisco solo della rapidità con cui ti sei adattato a questo stile di vita, procurandoci anche dei travestimenti. »Dissi con una punta di fierezza, additando i vestiti degli uomini gettati sulla sabbia.
Ma gli occhi di Gideon divennero improvvisamente cupi e il suo sguardo si fermò sui suoi piedi.
«È un'abilità che ho imparato a sviluppare. Ne andava della mia vita. »
Provai empatia e, prima di rendermene conto, gli avevo stretto la mano.
«Ma fa parte del passato. Adesso sei con noi. »Quelle erano le parole che mi sarei voluta sentir dire in passato, poco dopo essere scappata dal palazzo.
In quello stesso attimo, Gideon, visibilmente toccato, allungò la mano libera verso il mio volto, raccogliendo la mia guancia nel suo palmo. Spostò lentamente il suo sguardo nel mio e in quei suoi cristallini occhi azzurri, riuscii a vedere me stessa come fosse un riflesso sull'acqua. Rimanemmo così per qualche secondo, poi lo sentii far scivolare le dita dietro al mio orecchio, spostandomi una ciocca di capelli. Quel gesto mi provocò un brivido non appena i suoi polpastrelli mi sfiorarono il collo. Da quella posizione lasciò che la sua mano ricadesse sulla nuca, mentre usò l'altra, ancora stretta nella mia, per tirarmi a sé. Appoggiò delicatamente la fronte sulla mia, strofinandola più volte. Mentre chiudeva gli occhi, il suo respiro si fece più irregolare. Pareva che stesse soffrendo e le sopracciglia corrugate non facevano altro che enfatizzare questa mia tesi.
Sentii il suo respiro, tremante, solleticarmi le labbra. Ma io rimasi immobile, incapace di qualsiasi azione, improvvisamente troppo debole anche per parlare. I piedi risultarono improvvisamente ancorati alla sabbia e le gambe divennero rigide. Le braccia intorpidite e la gola secca.
Tuttavia Gideon non sembrava esitare.
E ancora, vidi la sua testa piegarsi di lato e sentii la mano dietro la nuca stringersi come in un pugno, afferrando i miei capelli, senza farmi male. Ora sua la smorfia di dolore in volto era ancora più evidente.
«Vorrei che tu mi perdonassi, ma il mio peccato è troppo grande anche soltanto per sperare. »
Quella frase, piena di sofferenza, sussurrata all'orecchio, stuzzicato da ogni sospiro, mi fece mancare il fiato ed incupire contemporaneamente.
«Gideon. »La mia voce era a malapena udibile. «Cosa stai dicendo? »
Rafforzai leggermente la stretta attorno alla mano, come in un tentativo di conforto. Gideon allora tornò ad incollare la sua fronte alla mia, lasciandomi percepire ogni ruga espressiva sulla sua pelle.
«Tu mi hai dato tante cose che credevo di aver perso: la speranza, la fiducia, la gioia, la compassione, l'affetto... l'amore. »
Com'era strano che proprio io, privata di tutte quelle cose fin da piccola, fossi stata capace di insegnarle a qualcun altro, ancor prima di comprenderle appieno.
«Eppure io in cambio non posso darti nulla. »
«Non è vero! »Questa volta fu il mio turno di accigliarmi, alzando improvvisamente la voce e facendo sobbalzare Gideon, che si allontanò di un passo, turbato ma allo stesso tempo incuriosito. «Grazie a te sto imparando cosa vuol dire avere un amico. »
Una risata gutturale ruppe il silenzio del Kelpie. «Amico, mh. »
Si allontanò ancora di più, improvvisamente freddo, mentre con un gesto nervoso si spostò i capelli all'indietro, liberando la fronte ancora aggrottata.
«E allora Rubyo? »Il suo tono adesso era più sprezzante.
«Cosa c'entra adesso? »Notai con dispiacere di essermi alterata più di quanto mi aspettassi.
«Cosa provi per lui? »
«Provare? Cosa intendi? Lui è la mia famiglia! »
Una breve, ma isterica risata si fece largo tra i denti del Kelpie. «E questo lui lo sa? »
Esitai. Sentivo che lui fosse più importante di un amico per me e prima dell'amicizia c'è la famiglia, giusto?
«Si. Lo so. »
Leggermente zoppicante per il dolore e con una mano sullo stomaco, Rubyo stava venendo dalla nostra parte.
I miei occhi si illuminarono non appena lo vidi e gli corsi in contro come fosse un fratello perso e poi ritrovato. Mi gettai tra le sue braccia come avrebbe fatto una bambina, felice di vederlo in condizioni migliori, e mi scusai con lui un'infinità di volte per il mio comportamento immaturo, per lo schiaffo e per essermi allontanata, fino a quando non fui certa che mi avesse perdonata.
«Ora andiamo. La Capitale è vicina. »Concluse.
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