XXII


Passai quell'intero pomeriggio nei preparativi per la serata. Feci un lungo bagno, per cominciare, poi mi rasai la barba, o quel poco che mi cresceva, sistemai la frangia dando una piccola spuntata anche a quella e persi molte ore del mio tempo con i sarti di palazzo per trovare il completo adatto alla serata.

Ne scelsi uno con una giacca dal taglio sartoriale e revers ampi, con una chiusura a due bottoni e tasche a filetto sottili sul davanti. Il gilet coordinato alla giacca, con un taglio classico a V e bottoni in madreperla. La camicia bianca, con colletto a punta e bottoni in madreperla, abbinata a una cravatta in seta argento; i pantaloni slim fit con piega centrale e tasche laterali e a completare il look con scarpe in pelle bianca e un fazzoletto da taschino coordinato per un tocco finale di raffinatezza.

Un damerino, non c'è che dire. Almeno nella sconfinata tristezza della serata che mi spettava, sarei stato a mio agio nell'eleganza del mio abbigliamento.

La sala d'ingresso era adibita a estrema eleganza e gli ospiti iniziavano a riversarsi in massa dentro, anch'essi vestiti di tutto punto. Nessuno, o meglio nessuna, attirava la mia attenzione. Costretto all'entrata a ricevere e stringere la mano a ogni invitato alla serata, stavo in piedi attendendo che quell'interminabile momento passasse.

Una donna, attraversò da sola il porticato e attirò l'attenzione di tutti e la mia. Indossava un ampio vestito rosso, scarlatto come le sue labbra. I suoi grandi occhi trasparivano uno sguardo magnetico e profondo, scuri, come la sua lunga chioma mossa e la sua pelle d'ebano. Non avevo mai visto tanta bellezza in tutta la mia breve vita.

Fu l'ultima a entrare e la prima a uscire nel giardino della nostra dimora. Non appena fui libero dai miei doveri, non seppi resistere dal raggiungerla. Era lì, ferma, a mirare il cielo e ad attendere qualcosa. Non appena mi vide, mi sorrise a mezza bocca e iniziò a sfuggire addentrandosi nei prati. Era me che attendeva? Voleva che la seguissi? Volevo conoscere almeno il suo nome, così le andai dietro. Veloce. Sembrava stesse correndo eppure camminava soltanto. Feci fatica a starle dietro e non perderla di vista. Mi divertiva molto questa caccia alla preda e, credo la cosa fosse reciproca.

La luna quella sera era ridotta a un esile spicchio, per questo la notte risultava intensa e avvolgeva tutto di buio. La visibilità ridotta non mi permetteva di avere una visione chiara su di lei, ma il suo abito mi permetteva di distinguerla bene, finché girando l'angolo, non la vidi più.

Dov'era finita? Non vi erano altre strade, poteva solo tornare indietro verso la mia direzione per andar via, ma non c'era; come sparita nel nulla.

— Ciao, cacciatore. Ti stavo aspettando.

La sua voce profonda e suadente provenne dalle mie spalle, mi girai e la vidi di fronte me.

— Ah sì? Aspettavi me?

— Non sei forse tu il festeggiato della serata? Son venuta con l'intenzione di farti il mio personale augurio di compleanno, Ryan.

— Conosci il mio nome, ma io sconosco il tuo.

— Isobelle.

— Incantevole nome, ma mai quanto la tua bellezza.

Mi sorrise e uno scintillio illuminò il suo sguardo. — Sai? Mi piaci molto anche tu, Ryan. Ma devo dirti che sono alquanto delusa da te.

— Perché mai?

— Credevo ti saresti ricordato di me, ci siamo già incontrati non tanto tempo fa.

Rimasi interdetto da quella frase, non mi sarei mai potuto dimenticare quella donna, ma lei sosteneva il contrario. Si avvicinò, a distanza molto ravvicinata. Mise la sua mano sul mio viso infondendomi calore su tutto il corpo. Le sue labbra si avvicinarono alle mie, mi baciò e la mia bocca prese ad ardere. Mi guardò sorridendomi ancora una volta. Prese la mia testa e la avvicinò violentemente a sé, col naso percorse i lineamenti del mio collo annusandomi. Quella situazione stava smuovendomi non poco.

Un forte dolore lancinante si propagò su tutto il mio petto. Il bianco del mio vestito prese il colore del suo abito. Il mio sangue era dappertutto.

— Cosa hai fatto?

La sua risata incupì anche il chiarore luminoso della luna, mentre il vento agitava i lunghi capelli scuri che le cadevano sulle spalle come un'ombra. I suoi occhi si colorarono del colore del male sottolineando il suo sorriso sinistro mentre tutt'intorno iniziò a riempirsi di un'energia oscura, quasi palpabile. Il mio sangue continuava a riversarsi sul suolo, con la mano mi tenevo stretta la ferita ma ciò faceva ben poco; pian piano il dolore causatomi da quella si faceva sempre più presente, sentivo il mio viso diventare più paonazzo, o meglio, credo lo stesse diventando perché capii che presto sarei svenuto. Tutto bianco, poi nero: silenzio, il nulla.



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