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☽𓆩♛𓆪☾



23 maggio 1555


Un anno, solo un anno di relativa pace era trascorso. Eppure, i ricordi non volevano lasciare respirare la mia testa che ripercorreva ciclicamente immagini che avrei voluto scollegare dalla mia mente.

Hastings era ormai un nome innocuo, ammansito dalle circostanze. Ma continuava a ricorrere tra i discorsi mattinieri di casa. Il suo nome ridondava importante tra le mura di Windsor, prendendo quasi più valore della cerimonia che avrebbe dato luogo a un abbondante banchetto cerimonioso in onore di uno dei figli minori di casa che quel giorno compiva il suo ventesimo compleanno, ovvero me.

Ma ormai le questioni politiche erano state risolte, mio padre aveva trovato la sua serenità e non vedeva l'ora di far emergere la sua nuova posizione davanti tutta la gente "che conta", il mio compleanno era la sua occasione. 

― Togliti dai piedi ― uno strattone accompagnò quella voce acida che mi investì in pieno; tra me ed Henry, mio fratello, nonché il maggiore tra tutti, non correva più un bel rapporto da quando...

― Non puoi mostrare un poco di rispetto neppure oggi che compie gli anni? ― lo ammonì Anne, l'unica sorella di tre fratelli, il più piccolo, Thomas, dormiva ancora quella fresca mattina di maggio.

― Non m'interessa che giorno sia oggi, il pivello non deve starmi tra i piedi.

Anne alzò lo sguardo al cielo ed entrò in cucina, uscendo con delle calde e profumate fritters accompagnate da quattro bicchieri di syllabub, una bevanda a base di latte, vino, zucchero e spezie. La colazione fu dunque servita e ognuno di noi sedette al tavolo, attendendo l'arrivo di nostro padre.

Entrò come una furia, sedendo a capotavola, sbatté i gomiti sul tavolo: ― La famiglia Mountague ha deciso di farci l'onore di presenziare stasera. Gentilmente hanno confermato la loro presenza solo questa mattina, che razza di ineducati! A ogni modo li accoglieremo, da veri gentiluomini quali siamo e non mancheremo di decoro e di ospitalità. I Clifford, gli Howard, i Fitzoy, gli Henver sono già stati assegnati ai loro tavoli... ― una serie di altri nomi furono elencati ma distolsi l'attenzione quando dalla finestra principale intravidi un'ombra passare velocemente da una parte all'altra. ― Ovviamente tu dovrai accogliere ognuno di loro porgendo ossequi a ogni capostipite e sorridere e deliziare le loro mogli, solo entrando nelle grazie delle loro famiglie potrai sperare di ingraziarti le loro figlie e magari trovare moglie... mi stai ascoltando, Ryan?  ― tornai a incrociare il suo sguardo annuendo appena. Quell'ombra. Forse me lo ero solo immaginato, ormai la mia mente non era più serena da quel maledetto giorno.

― Stai di nuovo pensando alla mamma?  ― Anne si avvicinò al mio orecchio guardandomi con preoccupazione.  ― Non so più come dirtelo, smettila di fartene una colpa. Come potevi fare qualcosa Rya, come?

― Tu... mi credi?

― Certo che ti credo, solo un abominio poteva rendere il suo corpo...  ― la interruppi, non volevo che ricordasse come il cadavere di mia mamma fosse stato scempiato. Le poggiai una mano sulla sua esile spalla e le sussurrai la mia gratitudine. Chiesi il permesso di defilarmi dalla tavola facendo leva sulle tante preparazioni che mi aspettavano per rendermi presentabile al meglio all'evento di quella sera, anche se non avevo completamente voglia di festeggiare alcunché. Nessuno in realtà voleva omaggiarmi degli auguri, era solo l'ennesimo pretesto per vantare la nostra casata Kingsley e per sistemare anche me a nozze. Che cosa ridicola. Non avrei mai potuto avere interesse per una di quelle donne altolocate. Ciò comunque bastò a farmi allontanare da quella colazione tediosa; così mi precipitai all'esterno, percorsi il perimetro della casa ma non vidi nulla.

― Idiota. Cosa fai qui fuori? Non dovevi prepararti? A ogni modo ti cerca Thommy, si è svegliato.

Henry aveva dato a me la colpa di tutto quello ch'era successo alla mamma e da allora, un anno ormai, non aveva più alcun interesse a trattarmi come un fratello. Mentre Thommy si era morbosamente legato a me, cercando in me, e in Anne,  quell'affetto che solo la sua mamma era in grado di dargli.

― FRATELLONE! Auguri.

Mi corse incontro avvinghiandosi come una scimmietta. La sua piccola manina cercò la mia:  ― Vieni, vieni. Seguimi, devo farti vedere una cosa. Mi trascinò con sé nel ripostiglio che stava proprio di fronte la sua cameretta. Saltellò per abbassare la maniglia troppo alta per lui e spinse in avanti la porta, accese la luce. La stanza era tappezzata di disegnini: perlopiù eravamo raffigurati, nella maniera più stilizzata e semplice possibile nel perfetto stile di un piccolo bambino, io e lui intenti a giocare, ad abbracciarci. Lo si capiva dal parruccone biondo che mi aveva raffigurato e dello stesso biondo chiaro della figura più esile che vi stava accanto ch'eravamo noi. In qualcuno erano presenti anche Anne, Henry e nostro padre. Uno, però, attirò la mia attenzione e mi straziò il cuore: i lunghi capelli ramati della donna abbracciavano il bambino, ma la donna, nel suo abito bianco, era completamente insanguinata. Nostra madre. Tutta la sua sofferenza. Lo presi in braccio e lo strinsi forte a me.  ― Ti piace?

― Certo che mi piace, è il più mega fantastico regalo che potessi mai ricevere. Sei proprio un artista, Thommy!  ― gli girai il pugno sulla sua testolina scompigliandogli i capelli che, ancora con la piega del letto, erano già scompigliati di loro e gli sorrisi caldamente.

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