XV
Veloce, indolore, preciso.
Non avrei corso il rischio di far sì che la mia natura prendesse nuovamente il sopravvento.
Deboli raggi solari si spingevano a forza tra le nuvole grigie che sormontavano quel pomeridiano cielo, mentre il suono di passi affrettati abbandonavano la vecchia struttura che li aveva accolti per tutta la durata di quella mattina. L'ufficio di Benedict chiudeva le sue imposte alle 14.30 ed è lì che mi fermai ad aspettare. Vestiti tutti della stessa triste divisa, i dipendenti lasciavano il posto lavorativo per raggiungere la propria vettura e tornare al restante delle loro faccende giornaliere. Con aria stanca, marcata dalle borse sotto gli occhi, il padre di Heloise varcò la porta. Dovevo agire in fretta, in modo che nessun altro mi vedesse, e sorprenderlo così che la sua paura risultasse flebile e non mi tentasse come per sua moglie. La sua mano afferrò la porta e rimase poggiata mentre il suo corpo stava lì, fermo, tra l'entrata e l'uscita; e io lì, immobile, aspettando l'istante esatto per scattare.
Una maleodorante bottiglia di birra poggiava sul suolo accanto un cestino dell'immondizia, la scaraventai sul suolo rompendola.
Quel suo temporeggiare mi concesse il vantaggio di rimanere solo nell'attesa del suo arrivo, il parcheggio si era del tutto svuotato: lo scenario perfetto.
Con il laptop sulla mano destra, Benedict uscì dall'ufficio dirigendosi nella mia stessa direzione. Mi precipitai, sfruttando i piccoli vantaggi di essere un Incubo, verso di lui trovandomici di fronte. L'uomo sussultò, ma sfruttai istantaneamente il suo sguardo per calmarlo e suggerirgli tutto quello che avrebbe dovuto fare.
— Non farti prendere dal panico. Calmo. — Dissi sottovoce ponendogli un frammento di vetro appuntito sulla mano – Stringi in pugno, forte.
Benedict mi guardò perplesso con gli occhi sgranati. – Adesso! – gli intimai con un tono fermo. Un rivolo di sangue prese a fluire su tutto il dorso della sua mano, convergendo sulle dita e imbrattando, goccia dopo goccia, il suolo che s'imbeveva di quella lenta pioggia di liquido rosso.
Presi la boccetta giusta, la misi al di sotto della sua mano e raccolsi la caduta di quel fluido viscoso. Mi feci "restituire" il vetro - prelevandoglielo a forza dalla mano - e al suo posto vi lasciai la bottiglia frantumata.
— Non ricorderai niente, non mi hai mai visto. Sparii dalla sua vista e il poveretto, ripresosi da quel malaugurato incontro, si trovò smarrito e ferito a metà strada dal suo ufficio e la sua auto. Lo vidi, ormai distante, guardarsi la mano insanguinata con in mano la bottiglia tagliente rotta, con lo sguardo di chi non riusciva a spiegarsi come quell'oggetto fosse capitato in suo pugno e come avesse fatto a tagliarsi in quella maniera. Sorrisi sentendolo imprecare per diversi minuti di seguito non appena si accorse di aver imbrattato il portatile e la giacca del suo completo.
Prese dalla tasca un fazzoletto di stoffa e, dopo essersi ripulito, si fasciò con quello la ferita, abbandonò nel cestino la bottiglia e tirò fuori il cellulare, componendo un numero. Un altro cellulare prese a squillare quasi istantaneamente, coincidenza fin troppo marcata; un ragazzo alto, ben impostato e dai capelli scuri, sulla quindicina, si diresse nella direzione di Benedict agitando una mano.
Matthew.
"Dannazione! Da quanto tempo era lì ad aspettare il padre?", quel ragazzo era il fratello di Heloise, un po' più cresciuto, un po' più uomo di quanto ricordassi, a quest'età si cresce in fretta e, dopo tutto, a Kal il tempo passa un po' diversamente. Sperai vivamente che non avesse assistito all'intera scena, ma di questo mi sarei occupato a tempo debito, più tardi, quando sarebbe toccato a lui il prelievo. Mi defilai e lasciai che tornassero a casa.
***
— Cosa ti è passato per la testa? — incalzò Matt accortosi della ferita della madre — tagliarti in quel modo il braccio. Con aria preoccupata, la madre guardava il suo braccio e poi il figlio non sapendo bene cosa dire: — Oh cielo, ma tu sei tutto sporco di sangue! — Beatrice, fissò suo marito entrare in casa imbrattato com'era e con la sua fasciatura d'emergenza alla mano. — Cos'hai fatto lì? — disse prendendo delicatamente il braccio al marito tirandolo a sé esaminando la ferita.
Nessuno dei due seppe dare una risposta esaudiente a spiegare come si fossero procurati quelle ferite, i loro occhi sembravano vuoti, inespressivi.
— Qui c'è qualcosa che non quadra! Non può essere una coincidenza. Prima quel tipo che si è avvicinato a te, porgendoti la bottiglia rotta, ora la mamma, con questa ferita da taglio.
— Chi ti ha dato la bottiglia, caro? — intervenne prontamente Beatrice.
— Matt sostiene che un giovane ragazzo si sia avvicinato e mi abbia dato una bottiglia di birra spezzata e poi se ne sia andato via, ma— , il giovane lo interruppe quasi urlando: — Ma non lo ricorda! Giuro! Io l'ho visto.
— Cosa hai visto, esattamente? — Beatrice iniziò ad allarmarsi, non potendo ignorare i fatti di quella mattinata, inspiegabilmente si era trovata in cucina con un coltello sporco del suo stesso sangue e dei tagli sul braccio e ora suo marito, in maniera similare, aveva avuto la stessa esperienza. — Ero distante, stavo... stavo andando incontro a papà quando ho notato un giovane ragazzo, ch'era fermo davanti a lui, porgergli una bottiglia rotta. Poi l'ho visto andarsene e papà era insanguinato, quando... — fu interrotto dal padre che continuò la frase per lui, — Ho preso il cellulare per chiamarlo e capire dove fosse.
—Tu non hai visto nessuno in casa nostra?
— No, nessuno. Beatrice aveva il viso sconvolto.
— Maledizione! — imprecai nascosto dietro il tendaggio della finestra principale della casa di Heloise spiando tutta la scena.
— Come hai fatto a non accorgerti del ragazzino? — mi chiese con disappunto Aeglos.
Non risposi, imbarazzato per ciò ch'era successo. Avevo agito troppo impulsivamente per la smania di sbrigarmi, di togliermi il pensiero, di non ricadere in tentazione, ma mi ero fatto sfuggire il ragazzino.
— Sistemerò tutto non appena toccherà a lui.
— Forse è meglio se lo faccio io, stavolta. — Aeglos non aveva tutti i torti, Matt non avrebbe sospettato di lui, ma il suo autocontrollo era ben più debole del mio e non potevo correre il rischio che venisse fatto del male proprio al fratello di Hel; non se lo sarebbe perdonato neppure lui. — No, ci penso io.
Aeglos non obbiettò. La famiglia era troppo sull'attenti al momento per intervenire repentinamente, la cosa migliore da fare era quella di attendere che loro si calmassero e poi entrare in azione.
***
Nella penombra della sua stanza, Matt era seduto di fronte al computer, occhi fissi sullo schermo illuminato dalla debole luce del monitor. La tastiera sotto le sue dita emetteva un leggero clic mentre navigava attraverso le pagine del web alla ricerca di informazioni cruciali. Avvertivo il suo stato d'allerta, i suoi sensi erano acuti, ogni rumore lo faceva scattare come una molla pronta a liberarsi. Le ombre del tendaggio oscillavano, danzando in maniera sinistra sulla parete, caricando tutta la sua tensione. Sul tavolo accanto a lui, una tazza di caffè ormai freddo testimoniava ore di concentrazione e il display del computer rifletteva la lotta di Matt contro il tempo e l'incertezza, mentre era intento, ne sono sicuro, a sforzarsi di connettere i punti e svelare la verità di questa giornata. Con lui non potevo lasciare nulla al caso, dovevo intervenire in modo da non lasciare traccia alcuna, in modo che tutto fluisse senza problemi.
Era ormai notte, avevo atteso che le ombre volgessero a mio favore, avevo atteso che la famiglia andasse a dormire sperando che anche il ragazzo li raggiungesse presto.
Rimasto varie ore in attesa che Matt dormisse profondamente, mi materializzai con grazia spettrale ai piedi del letto, fissandolo intensamente. Mi concentrai cercando di connettermi a lui mentalmente anche se quel ragazzo, devo ammettere, fosse ben tosto da agganciare, era come se avesse posto davanti a sé uno scudo protettivo. Il mio pensiero iniziò a defluire nell'atmosfera e come sussurro seducente avvolse la stanza in una nebbia corposa. Il mio respiro, appena udibile, accarezzava la pelle di quel giovane addormentato. Le mie labbra s'incurvarono spontaneamente in un sorriso malevolo mentre iniziai a intrecciare le fili sottili dell'ipnosi, che lo avvolsero in un abbraccio etereo mentre cercavo di penetrare il suo stato di sonno. Lottavo in tutti i modi per piegare la sua mente al mio volere. Finché il mondo dei sogni si dipanò come un caleidoscopio di immagini sfocate, mentre l'ipnosi s'insinuava sempre più profondamente nella psiche del giovane.
"Dormi, giovane Matt, quando sarai sveglio penserai che tutto quello che è successo oggi sia attribuibile a soli incidenti casuali. Tua mamma si è tagliata casualmente in cucina, tuo padre ha raccolto una bottiglia vuota per riporla nel cestino, tu hai incidentalmente rotto la cornice sul tuo comodino nel sonno, tagliandoti il dito. Io non sono mai esistito".
Forai il dito del ragazzo con il mio artiglio affilato; una piega sul suo volto si manifestò a causa del dolore per la puntura subita. Fortunatamente continuò a dormire. Riempii l'ultima ampolla del suo sangue, poi presi la cornice sul suo comodino e ne ruppi il vetro: vi era una foto, lui ed Hel insieme abbracciati e sorridenti, Matt era solo un bambino ed Hel era molto piccola. Posizionai la mano di Matt sull'oggetto rotto e lo imbrattai con un poco del suo sangue.
Dovrebbe bastare.
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