I

Madre.

Carol era lì, immobile come tutto il popolo di Kalennorath ad attendere la decisione della nuova Rovhtàri.

Mi aveva appena cinto tra le sue braccia, mai avevo avvertito tanto amore tutto in una volta, meno che tra le labbra della femmina di cui mi sono innamorato.

Non so dire cosa provai con esatezza.
Volevo odiarla per avermi rinchiuso in questo posto maligno per tutta la mia esistenza, e non era poco.
Al suo tocco, quando la mano gentile s'era posata su di me, sentii che mi si chiedesse di perdonare ogni cosa. Capii la sua tristezza e la sua gioia nell'avermi rivisto.
La nostra voleva essere una ricongiunzione, ma nonostante quel tocco carico di sensazioni positive, io non riuscivo a dimenticare mezza eternità di abbandono.

Carol.
Il suo nome risuonava dentro il mio cuore che ne faceva da cassa armonica.
Nonostante a sentenziare il suo nome era sempre stato il Sommo che lo invocava con disprezzo.

La sua pelle brillava di luce divina, i capelli erano di un biondo irreale che ricadevano come manto di neve sul suo generoso petto.
Solo gli occhi spezzavano quel monocromatico candore.
Violacei con sfumature di blu.
Così come li avevo sempre ricordati.
Mantenevano tutta la dolcezza di cui avevo memoria e, sorridenti, guardavano i miei, color del ghiaccio, che si scaldarono non appena incrociarono i suoi.

Gli abitanti di Kalennorath stavano fermi ad aspettare la sentenza dell'altra creatura femminile che primeggiava tra le presenti: scissa nelle sue due forme, le rappresentava entrambe.
Bellissima come una dea, incarnava però sia il bene che il male, in egual misura, rappresentata fisicamente da elementi contrastanti.

Ella irradiava una luce forte, genuina, pura. Nonostante un velo di nero le stava addosso come un leggero mantello.
I suoi capelli cinabri le ricadevano sulle spalle, morbidi e setosi, risaltando in quella pelle candida e bianca fuori ogni regola.

I suoi occhi, uno color della vita, uno color della notte, ne valorizzavano il viso e, nonostante la netta eterocromia, le donavano un aspetto bello oltre ogni dire. Ciascun lineamento era fine, minuto ed equilibrato.
Occhi carichi di espressività, grossi come se appartenessero a una bambola di porcellana; un naso piccolo che non distoglieva l'attenzione dalle sue rosee e carnose labbra.

Una grossa gemma ovale brillava fortemente, all'interno di questa l'anima del Sommo si divincolava energicamente poiché non si dava pace della nuova forma di prigionia.
Ella la teneva ferma, non con la presa delle mani, ma con la potenza della sua voce: il kotodama.

— Elen síla lúmenn' omentielvo.
U-'osto. Auta i lóme, aurë entuluva! [1]

La sua voce, melodia celeste, recitò l'antica lingua facendosi udire da tutta la platea.

— Anírach i tulu nín. [2]

La folla iniziò ad asserire col capo in attesa della sua decisione.

— Come posso io abbandonare il mio popolo?
Come posso io rinchiuderlo privandolo della sua libertà?

Le Succubi e gli Incubi rimasero un secondo in silenzio prima di capire che quelle parole andassero in loro favore, poi un urlo di gioia si sollevò in coro.

Kimberly, alla destra di lei, la guardò con sguardo spaventato, implorando un suo ripensamento.
Come può condannare l'intera umanità, come può rinnegare le sue origini, come può disfarsi di tutti i miei sacrifici? Di quello di Fabien, morto per salvarla.

Non lo aveva detto, ma i suoi occhi parlavano per lei.

La Rovhtàri strinse la dolce mano di Kimberly e riprese parola.
— Come mi si può chiedere di condannare l'intero genere umano per liberare un popolo? — Stavolta fui io a fissarla. — È questo che mi si chiede?  Non posso. — Riprese con fermezza.

— Non puoi esimerti da una scelta. Hai la responsabilità di una corona sopra il tuo capo non-
— Non ho intenzione di esonerarmi dalla scelta — interruppe quella paternale moralistica che la precedente Rovhtàri stava per propinare; poi continuò: — ho intenzione di dispensare una terza opzione.
— Tu non puoi. — Intervenne Carol, nuovamente zittita sul nascere delle sue parole.
— Posso eccome! Sono io la nuova Sovrana, io adesso regno e per di più, come hai precedentemente fatto notare, ho una condizione unica e nuova che mi avvantaggia rispetto tutte le altre Sovrane.

Aeglos, coi suoi splendidi occhi verde muschio, la guardò con ammirazione, regalandole uno dei suoi consoni sorrisetti beffardi. Il suo labiale fu chiaro: "Ben detto, Bambolina".

— Regnerò su entrambi i popoli. — Gli occhi di tutti si illuminarono a quelle parole.

— Non puoi. — Furono le parole  ferme dell'ex sovrana che poi intonò:  — poiché fisicamente non puoi essere in due posti diversi contemporaneamente e ciò non ti è consentito.

Vidi la mia dolce Heloise riempirsi di delusione. Per una volta, da quando era stata tramutata in Succube, aveva l'onere di prendere da sola una propria decisione. Questo, si vide chiaramente, le riempì il cuore di tristezza. Le accarezzai la mano, che saldamente tenevo ancora legata alla sua.
Lei mi guardò afflitta e muovendo le labbra in silenzio mi chiese scusa.

Sollevando il braccio della mia mano sinistra tenuta saldamente a sé, la  mia Rovhtàri disse con un sorrisino smagliante: — Lui è il vostro Principe, nato dall'unione della donna qui presente — e dicendolo indicò Carol — e il mostro che adesso è rinchiuso in questo prezioso ovale perlescente, che finora è stato considerato come Vostro Sovrano.
A rigor di logica, Maraud è meritevole e fortemente designato a succedere al governo di Kalennorath.

Strabuzzai gli occhi sorpreso da quella affermazione. Mi sentii strozzato da quelle parole, che strette si avvinghiarono a me come sentenza inammissibile.
La folla iniziò a urlare il mio nome e applaudire ferocemente.
Aeglos sorrise, fiero di quelle parole, fiero della sua decisione, fiero di Lei.

— Io... — interruppe quei festosi schiamazzi riducendoli in un istantaneo silenzio dimostrando la sua solennità — non tornerò a governare sulla Terra.
— Cosa? Perché no? Perché non... — fu fermata Kimberly in preda a una crisi di disperazione.
Sottovoce le disse: — ti spiegherò tutto più tardi. Cingendole la mano con fermezza.
— Governerò su Ithilmera e contestualmente su Kalennorath, dove Maraud farà le mie veci nei momenti di mia assenza — un tonante applauso risuonò per tutta l'area.
— Tuttavia... — e così ricatturò l'attenzione di tutti — verranno stabilite nuove leggi che veicoleranno il vostro passaggio sulla Terra. E nulla vieta che potrei cambiare la mia sentenza se non collaborerete al mio volere.
Un solo passo falso da parte vostra e vi sigillerò eternamente qua. Questa è la mia scelta.

☽𓆩♛𓆪☾

Note:

[1]
" Una stella brilla sull'ora del nostro incontro.
Non abbiate paura. La notte sta per finire, il giorno risorgerà!

[2]
"Vi serve il mio aiuto."

Due chiacchere con Moon:

*nelle puntate precedenti: *
(chissà con quale voce queste parole sono state  lette, eheh; quale serie tv vi ho riportato alla mente?)
C'eravamo lasciati con la nostra nuova reggente: Heloise Rovhtàri; che doveva scegliere se essere" l'angelo custode " degli esseri umani - una volta suoi simili - e voltare le spalle al suo nuovo popolo: quello di Kalennorath, ripristinando il Sigillo per tutti, non solo per il Sommo e le creature peggiori di questo mondo, o se liberare tutti loro e condannare gli esseri umani.
Per la prima volta è lei a scegliere la sua sorte e quella di tutti.  Avrà preso la scelta migliore?

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