XXXVIII - Seconda Parte
In una posizione sinuosa delle gambe che, accavallate, mostravano l’inguine per via dello spacco profondo della mia veste nera, diedi l’ordine di spalancare le porte. Non aveva senso tenerle chiuse come simbolo di timore nei loro confronti, non dovevamo difenderci, dovevamo accogliere i disertori come ottimi padroni di casa, invitarli a entrare come ospiti, ai quali avremmo reciso la testa.
Bella, come un felino aggraziato nelle mie movenze sinuose, sedevo sul mio trono osservando con l’immobilità del mio sguardo, che suggeriva sfida e invitava loro a entrare. Tutta la loro foga si arrestò improvvisamente non appena, messo piede oltre la soglia delle porte, Maraud mi vide, bloccandosi.
I miei, si posarono sui suoi occhi di ghiaccio, i suoi, rimasero impietriti nel vedermi nelle vesti del demone.
Splendida come la luce raggiante dell’alba riflessa sul mare, nel mio corpo di diamante grezzo, mi alzai e mi inchinai al cospetto del mio nemico.
– La mia dimora è lieta di ricevervi come miei graditi ospiti. Devo dire che mi trovate sorpresa nel vedere un così ragguardevole numero di visitatori oggi – un sorriso malvagio contornò le mie labbra. Bella, come la notte che affascina ogni giorno il cielo con la sua scura tela, mi apprestai a scendere i gradini che separavano il mio trono da loro. Un passo felpato dopo l’altro, sicuro, elegante e sinuoso, mi accompagnò nella discesa, trovandomi corpo a corpo col misterioso Maraud.
– Hel.. Cosa?
Una risata malvagia suonò per tutta la stanza.
– Non chiamarmi con quello sporco nome umano. Non siete certo venuto per offendere la vostra Regina. Chiamatemi Lilith, regina degli inferi, sovrana di Kalennorath.
L’esercito alle sue spalle si mise in posa d’attacco.
– NO! Fermi. Lei… non ragiona. Non è lei il vostro nemico.
–Oh – sorrisi – giuste parole, mio alato angelo nero. Io non sono il nemico, voi lo siete, che venite qui a inveire contro di me, in casa mia!
– Non siamo qui contro di voi. Lui dov’è?
– Ti disturba avere me al suo posto? Così mi offendete, non sono abbastanza per voi? – la bellezza concessa dalla mia trasformazione in Succube era disarmante, nell’abito di un demone, le mie sembianze erano quelle di una dea dalle carnose labbra rosse e i lunghi, morbidi boccoli infuocati che incorniciavano uno sguardo suadente su un viso spigoloso e avvenente.
– Fatevi da parte, non siamo qui per parlare con voi, ma per distruggere Lui.
– Come osi! Ni’m cin Tàr. Cin hallen or, raica! – e i miei occhi divennero dello stesso colore delle mie labbra, trasmettendo subito un sussulto nel cuore del mio avversario – come osi, tu, mancarmi di rispetto in questo modo? – il tono si infervorò e accrebbe sempre più, mutandosi in un urlo.
Il mio corpo perse la sua veste nera, scoprendosi nudo nelle sue curve di donna statuaria; due ali crebbero dalle mie spalle crepando il mio corpo vitreo e spalancandosi in due appendici argentee che s’estesero voluminosamente.
Mi innalzai irradiando, attraverso il mio corpo trasparente, una forte luce che accecò chiunque stesse guardandomi. La stanza iniziò a vibrare, le pareti a oscillare e il suolo a tremare.
– Entri in casa mia, minacci mio marito, la mia podestà, mi chiedi di farmi da parte come se non sussistessi alcuna minaccia per te, per tutti voi. Vi ho aperto le porte e voi che fate? Mi attaccate? Che popolo ingrato! Mi disgustate.
– Mia Lilith, mia bellissima diavolessa, devo chiederti di calmarti. – Il Sommo entrò in quell’istante all’interno della sala reale, e io rinchiusi le mie ali poggiandomi rapace in un’impennata accanto alla sua figura e un bacio appassionato scaturì dalle le nostre labbra, lasciando Maraud inebetito.
– La situazione non esige la tua ira, non vale la pena incupire il vostro animo per un nonnulla.
I pugni di Maraud si strinsero a forza.
Compiaciuta delle sue parole, fissai lo sgomento di Lui che mi stava dinanzi e che non comprendeva come, e soprattutto quando, fosse avvenuto quel cambiamento in me. Sapeva di essere arrivato tardi, l’Heloise che conosceva non esisteva più, la donna in cui aveva fortemente creduto e nella quale aveva riposto ogni speranza per risanare un mondo corrotto, la donna di cui si era perdutamente innamorato, non c’era più. Si sentì mancare le forze, i pugni si dissolsero, le ali scomparvero, il suo aspetto tornò quello più normale. Reso vulnerabile da quello a cui assistette, il Sommo lo colpì violentemente facendolo volare via, contro la parete di fronte, sotto gli occhi di tutti che, a quel punto, unite le loro voci in un sonoro urlo, corsero in attacco.
La battaglia ebbe dunque inizio.
Per impedire loro di avvicinarsi, mi alzai in volo e sbattendo energicamente le mie ali li feci sbalzare via e caddero come birilli, suscitando la risata del mio Sovrano. A quel punto l’esercito degli incubi soldati, nostri alleati, attaccarono con ogni mezzo gli avversari. Man mano che combattevano, vite di entrambi gli schieramenti venivano meno.
I nostri sembravano avere la peggio. Così che furono mandati a combattere anche i Decatonchiri e man mano tutte le creature evocate subentrarono allo scontro. Io e il Sommo, dall’alto, assistevamo a quel disfacimento di vite con nostro sollazzo.
Teste erano recise, sangue volava al cielo e cadeva come pioggia scrosciante, molti morivano.
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Maraud, ch’era rimasto incosciente fino a quel momento, si svegliò per vedere quello scenario di morte.
I suoi stavano sopperendo.
Il suo sguardo cercò immediatamente Gracel, che fiera e ancora in ottima forma combatteva animatamente e senza sosta.
Kimberly, dov’era finita?
I suoi occhi si riempirono di panico. Scrutando ogni angolo, ogni duello, ogni scontro, non la includevano. Poi, oltre tutta la folla assassina, vide una sfera di luce. Al suo interno Kimberly avanzava con accanto il Baku che produceva quella bolla che, come scudo, la proteggeva da ogni attacco e la vide avanzare verso ciò che era palesemente chiaro: Heloise.
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La vidi. Il mio sguardo si posò su di lei e su quello strano esserino che aveva accanto. – Chi sei? E cosa ti porti dietro?
Kimberly si sentì trafiggere dentro, non era stata riconosciuta, lei, la sua migliore amica, non l’aveva riconosciuta. – Heloise. Ascoltami, ti prego.
– Ti sto già ascoltando, ragazza. Non vedi?
– È un’umana. Una debole, patetica umana. Che ci fai nel mio regno? Come sei arrivata fin qui? – il Sommo sembrò stranito e divertito da quella fanciulla.
– Sono Kimberly. Una volta ero la migliore amica di Heloise. Ero la TUA migliore amica e tu nemmeno te ne ricordi.
– Non so cosa tu stia farneticando. – Risposi mostrandole un piccolo ghigno.
– È chiaro. Tu non sei più… tu. Hel, prova a ricordare. Eri umana. Eri una ragazza dolcissima, che amava e che era amata a sua volta. Non ricordi? La tua dolce mamma, il tuo papà, eri il loro cucciolo! E Matt? Non ricordi nemmeno lui?
A quelle ultime parole qualcosa guizzò dentro me. I miei occhi spensero il suo rossore e tornarono quelli smeraldi di una volta. Motivata da quel cambiamento, Kimberly continuò a parlare. Raccontando di aneddoti, di cose che riguardavano la mia vita da umana cercando di farsi spazio in quell’involucro demoniaco e ritrovare la sua amica. Sentiva che non era tutto perso, ero lì da qualche parte, bisognava solamente trovare il modo di raggiungermi.
Dentro di me, la piccola parte finora annegata dal sangue che la me Succube aveva riempito, cominciò a dibbattersi energicamente.
Kim.
Una lacrima nera discese sul mio volto; come se quel demone ch'ero fosse stato espulso dal mio sguardo che riconosceva finalmente la donna che aveva davanti. Credevo di non rivederti mai più. L'infinità di quel "mai" aveva perso la sua durata.
– Stupida mocciosa! Ti faccio passare la voglia di parlare! – Il Sommo si buttò contro quella bolla luminosa e con gli artigli di una sua manata, la distrusse.
Trasalì. – Un Tàribor, scagnozzo della Luna. Come è possibile? Carol! Ci sei tu dietro tutto questo? – Era irato e la sua aurea si infittì intensamente mirando il piccolo baku.
Una necrosi colliquativa sembrò avviluppare ogni mio tessuto. Il dolore di quell'immagine lesionò ogni mio sentimento, lasciandomi il corpo come contenitore vuoto.
La vista di Kimberly scempiata mi lasciò vuoto il respiro.
Si muore una volta sola, eppure, per me la morte continuava a violentarmi in modi sempre nuovi. Le manette ai miei polsi diedero uno scossone che mi piegò in due dal dolore.
I miei occhi si riempirono di nuovo del colore del sangue. Se non altro, non soffrivo più.
Maraud, assistendo alla scena, fece ricomparire dalle sue spalle le ali piumate color dell’ebano e volò immediatamente verso Kimberly. Ma non fece in tempo che il Sommo l’aggredì e le squarciò il corpo in tre profondi tagli; ella cadde sul suolo e inerme chiuse gli occhi.
–No!
Troppo tardi, Maraud arrivò a gesto compiuto, prese la ragazza tra le sue braccia e la strinse a sé, imbrattandosi del suo sangue. – Prendila con te, non lasciarla morire sola. – Si rivolse al Baku, che fece delle sue parole la sua missione primaria. Avvolse il corpo di quella di candida luce ed elevandola per aria la portò via con sé, sparendo tra la folla.
–Sciocco! Cosa pensi di fare? Hai tradito il tuo stesso padre e ora ne paghi le conseguenze, tu e tutti i tuoi stupidi seguaci. Voltati, guarda. Stanno morendo, e per cosa?
Ai soldati, ai Decatonchiri, si erano aggiunte altre tremende creature che inveivano contro tutti loro. La situazione era a loro svantaggio, il Sommo aveva ragione, stavano morendo. Lottavano, ormai non potevano far nient’altro che questo, la resa non li avrebbe risparmiati da una punizione oltremodo peggiore della morte. Cadere in battaglia restando fedeli all’appello di libertà era ormai l’unica cosa che restava da fare. Lei era persa, e con lei ogni speranza di liberare il suo popolo.
Faccia a faccia con suo padre, Maraud era pronto a combattere fino allo stremo delle sue forze, le speranze finora accumulate erano ormai svanite, se non altro valeva la pena tentare di concedersi una piccola vittoria uccidendo almeno suo padre, anche se questo non lo avrebbe portato all’obbiettivo prefissato, la libertà sua e del suo popolo.
Tirò fuori gli artigli, procurò alle sue stesse braccia profondi e vasti tagli dal quale colò parecchio sangue, il suo, conferendogli una forte energia, che raccolse in sfere che lanciò contro di Egli.
Le schivò tutte. – Tutto qui? Ti ho allenato meglio di così – provocò il Sommo.
La sua rabbia tramutò anche lui in una bestia, mutando gli occhi in petrolio e il suo corpo in un demoniaco aspetto, dal color del fumo.
Iniziò tra i due una lotta inverosimile, sempre più cruenta, più incalzante, più estenuante. Sembravano eguagliarsi in forza.
L’uno colpiva, l’altro parava.
Colpi di una potenza sovrumana affondavano sui loro corpi marmorei, infierendosi forti lesioni.
Stremato, Maraud perdeva velocità e prontezza.
– Mi deludi, figlio.
– Sta' zitto e combatti, padre.
Il Sommo, infastidito da quel suo tono irrispettoso, mutò in una creatura ancora più riprovevole. Il suo corpo si riempi di acuminati aculei sul dorso, divenendo tutto squamoso, chino e scheletrico. Il volto allungato come quello di una fiera dei boschi, gli occhi color del sole e le dimensioni di un titano.
Con una mano di porzioni abissali, lo strinse in una morsa come se tenesse un patetico moscerino. Con la voce gutturale di un demone, se la rideva nel vedere Maraud venire meno. Qualcosa di dorato e luminoso, fulmineo, recise quella zampa, che cadde sul suolo aprendosi di scatto e lasciando libero da quella presa Maraud, giusto in tempo.
Con mezzo fiato che gli era rimasto in gola dopo esser quasi soffocato, egli esclamò: – Aeglos!
– Tu, microbo! Come sei uscito dalla tua cella, lurida puttanella?
– Ho avuto il mio aiutino.
– Babbeo. Ora morira! È questo che vuoi? E io che pensavo che essere penetrato nel culo ti piacesse come una sgualdrinella.
Maraud capì subito a cosa si riferisse, a quale insulsa bestia il suo amico era stato affidato per essere ripetutamente violentato. Si sentì mancare l’aria, ancora più forte.
– Maraud! Presto, va da Lei. A te darà ascolto, falla rinvenire, il Sigillo… è pronto, c’è ancora speranza per tutti noi. – Gridò Aeglos mentre fronteggiava la bestia ch’era diventata il Sommo; dire quelle parole lo costrinse in una pesante rassegnazione all’ammissione che, ancora una volta, Maraud fosse superiore a lui, che la donna di cui si era innamorato, fosse invece adatta a Lui e ancora una volta, avrebbe dovuto tacere e farsi da parte.
Lui? Cosa poteva fare Lui? Che mezzi aveva per far rinvenire Heloise?
Intanto le parole di Aeglos, che nonostante quello che aveva subito a causa sua era lì a salvargli la pelle, lo avevano guidato e istintivamente spiegò le ali e volò verso di Lei, che afferrò e strinse forte a sé.
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Due chiacchere con Moon:
...che oggi si riducono a due potenti sberle per Moon.
Kimberly.
Lo so, è il vostro personaggio preferito, ha compiuto l'impossibile: è arrivata a Heloise.
Le è arrivata proprio dentro, svegliandola dalla Succube perversa e priva di senno. A un passo da nuovamente insieme... Divise. Per sempre.
Non dico nient'altro. Subisco in silenzio la vostra ira.
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