XXXV - Parte terza

Gli occhi le scintillavano di curiosità.
Avvicinandosi, esaminò il piccolo baku come cavia da laboratorio, prendendolo con sé tra le braccia.

- È così soffice, come... Com'é che si chiamava? Ah sì, zucchero filato, lo adoro! - e una bavetta iniziò a formarsi all'angolo della sua bocca, Kimberly intuendo che il suo complimento era del tutto culinario, diede uno strattone alla cinghia facendo sobbalzare Maraud.
- Gracel, loro non sono cibo, sono miei... ospiti.- Disse non sapendo come altro definirli.
- Oh... - esclamò quella, crucciandosi nel volto; - l'umana sembrava così deliziosa, non ho mai mangiato un'umana, confinata qua, eppure tutti dicono che abbiano un sapore sublime, anch'io avrei tanto voluto provarlo. Quello strano esserino, mmm... tutto gommosello, sembra così dolce e succoso. Mostrò appena i canini superiori che uscirono dalla bocca.
- Gracel!
Bastò solamente il richiamo del suo nome, accompagnato da un tono paternale, per farle abbassare il capo in segno di supplichevoli scuse.

- Questa è Kimberly, ragazzina assai coraggiosa o assai sciocca, o entrambe le cose - disse presentandola e liberandola al tempo stesso - è venuta fin qui per riprendersi la sua amica, che adesso rappresenta la Tua Sovrana.
- Cosa? - si rigirò l'indice accanto alla tempia suggerendole di esser completamente ammattita e i suoi grossi occhioni si posarono su di lei.
- Sì, vedi... credo che abbia ragione.
- Ma... se lasciamo andare... allora noi... - non fece in tempo a spiegarsi che quello iniziò a parlare. - So cosa stai pensando, Lei è colei che può sciogliere il sigillo e renderci finalmente liberi, ma sono certo che c'è un altro modo per far sì che questo avvenga.
- Parla della Eglerica divinzione. Lei pensa che sia la nuova Lilith, destinata a succedere al trono del Sommo? Io pensavo che, se questo accadesse, spettasse... - e quello le fece segno di tacere senza che Kimberly se ne accorgesse.

- Quindi cosa vuole che faccia?
- Innanzi tutto bisogna fasciarle le ferite.
- Vieni con me, umana - Kimberly si sentii infastidita da quell'appellativo, come se, poiché la sua natura fosse diversa dalla sua, questo faceva di lei una creatura inferiore, i suoi occhi si riempirono di frustrazione ma decise di non dire nulla vista la situazione in cui si trovava, non avrebbe voluto incorrere nell'ira di quella sprezzante Succube, rischiando di passare da ospite a pasto. Così la seguì entrando in un piccolo stanzino, talmente stretto che a fatica riusciva a contenerle entrambe.
- Spogliati, cara, fammi vedere le tue ferite. - Kim esitò qualche istante. - Non essere timida, non voglio mica mangiarti! - rise maleficamente.

Gracel soppesò tutti i suoi graffi, i lividi e le percosse che aveva subito e iniziò in maniera assai intima a toccarle il petto colmo di ferite.
- Mmm... non sei messa affatto bene, alcuni tagli rischiano di essere più profondi di quello che sembrano. Prima di tutto è meglio che ti dia una bella ripulita da tutto questo sangue incrostato.
Prese una pezzuola umida e gli riversò sopra un liquido verdognolo che puzzava di spirito e uovo marcio. Glielo passò sul corpo e al contatto Kimberly rabbrividì, per poi trasalire dal bruciore. - Cosa ti aspettavi? Dobbiamo disinfettare tutto. Avresti bisogno anche di, come li chiamate? Punti di sutura? Ma non sono qualificata per questo, le bende dovranno bastarti.
Muovendosi a stento, impedita nei movimenti per la strettezza del posto: - Uh, com'è intimo qui - disse strusciando il suo seno su quello di Kim, elargendo una smorfia viziosa, le strizzò l'occhio e le fece la linguaccia, perdendosi in risolini isterici. Le sue labbra di poco sfiorarono quelle di Kim, che tirò subito indietro la testa.

Una volta bendata, quella le diede una canotta striminzita verde, che le avrebbe lasciata la pancia scoperta mostrando la fasciatura del busto. - Tieni, la tua maglia imbrattata di sangue; mi sa che ormai è inutilizzabile, peccato, è così carina.
Indossandola, si sentì imbarazzata, quella copriva a stento le sue forme, mettendole in chiara evidenza. Quando uscirono di lì, come temeva, Maraud alla sua vista rimase qualche istante a fissarla, con l'occhio lussurioso di un
uomo che non può evitare di nascondere la sua naturale indole, causandole ancor più imbarazzo.

- Ho fatto quel che potevo, spero basti.
- Grazie, Gracel.
Accavallando leggermente le gambe si sedette sul piccolo divano rosso mettendosi comodo.
- Bene, adesso possiamo discutere del piano. Dobbiamo arrivare a Palazzo con un esercito.
- Credo non sarà così facile trovare tanto coraggio tra il nostro popolo, ma ci proverò.

Gracel, vedendo la stanchezza pesare sul volto di Maraud, lo invitò a riposare, non accettando un no come risposta.
Quindi tornò da Kimberly.
- Ora cosa faccio con te, ragazzina? - Kim, sperò fortemente che ciò non presaggisse niente di brutto.
- Perché l'Alto Maraud tiene tanto a te? - disse più a sé stessa, mentre prese a squadrarla ronzandole attorno.
Kimberly, incuriosita da quell'appellativo, per altro non il primo, si azzardò a chiederle: - Perché Alto? Che cosa rappresenta Lui per te?
Quella spalancò i suoi meravigliosi occhi lilla: - Per me? Per tutti, vorrai dire. Non mi dire che... Non lo sai?
Gli occhi di Kim confermarono la sua totale ignoranza, così quella si sedette con un saltello su uno sgabello e incrociando le gambe prese a raccontare:

- La vita a Kalennorath non era semplice come si può pensare. Ogni creatura, essere vivente, comprese le piante e perfino l'aria stessa se possibile, era sotto il totale controllo del Sommo. Egli è una creatura abietta, intrisa di odio, che sa elargire solo male ed egoismo e ognuno di quelli che vivevano lì, dovevano sottostare a ogni suo singolo ordine e capriccio, subendone tutte le conseguenze; vivevano nel terrore di lui, del suo immenso potere che non poteva essere eguagliato da nessun altro, per questo, subivano vivendo nella prigionia del suo dominio. - Un colpo di tosse la interruppe, poi continuò:

- Molto, moltissimo tempo addietro, non esisteva Kalennorath, ma un unico grande mondo in cui diverse creature vivevano pacificamente. Fino alla comparsa dell'uomo sulla Terra.
L'uomo distrusse ogni cosa.
L'uomo di fatto, nasce come pagina bianca, che poi pian piano viene imbrattata da fatti e avvenimenti che ne raccontano la persona, fin la sua più concreta realizzazione. Esso, oltre la carne, è composto da un animo, che questo sia buono o cattivo non è facile a definirsi. È più semplice pensar che ognuno, individualmente, dettato dalle sue più intime inclinazioni, o semplicemente a causa della vita che conduce, determina la sua volontà.
Non nasce puro ma neppure contaminato, sceglie da solo quale strada intraprendere, dettato da input che lo accompagnano nella sua formazione.

È certo, però, che questo viene partorito con un desiderio, quello di vivere a qualunque costo e per farlo si serve di un grosso, pulsante e sempre presente, unico piacere: quello di soddisfare i propri desideri e le proprie passioni, limitandosi ad ascoltare, forse, la parte più irrazionale della propria anima o ciò a cui è destinato essere, dettato dal suo DNA.

Perdendosi in questa smania irrazionale ed egoistica, determina avvenimenti che possono condizionare la vita di altri suoi simili e di tutte le creature che dividono con lui il pianeta. Se l'uomo perde la sua integrità, e inizia a comportarsi seguendo quel suo primario desiderio, non scindendolo, non calibrandolo nel bene collettivo, succede che perde di vista quello che realmente conta, la vita. Non comprende neppure, stupidamente, che se distrugge tutto ciò che tocca, primo o poi distrugge anche sé stesso, irreparabilmente. - Il baku, a quel punto, cominciò a spazientirsi di stare lì fermo, legato e iniziò a fare dei versetti lamentosi. Kim lo prese tra le sue braccia e iniziò a coccolarlo. - Ti prego, continua. - Disse poi, ansiosa di conoscere il resto della storia.

- Molto, moltissimo tempo addietro, quando l'essere umano comprese che forze più grandi coesistevano assieme a lui, divenne geloso e dettato solo da un insaziato senso di appropriazione di ciò che gli mancava, scoprì che esisteva un modo per cambiare la sua natura, a suo avviso più debole, e mutarla in qualcosa di magnifico e potente che avrebbe vissuto in eterno, non curandosi del male che ne avrebbe scaturito.
Così nacque il primo Incubo.
Il Sommo.

Malik era un ragazzo ambizioso e sicuro di sé, intelligente, coraggioso e introspettivo, figlio di Rea, cognata di Luana de Villis, duchessa di York, che si atteggiava a gran donna poiché la sorella di suo marito aveva avuto la fortuna di sposare un duca. Il padre Ashton R. de Villis, nato da umili origini, con la fortuna acquisita transitoriamente dalla figlia, riuscì ad affermarsi in una buona posizione politica.

Malik, tutto sommato, godeva di una decente ricchezza. Da ragazzo, conobbe una splendida fanciulla, Carol, la cui bellezza era indiscutibile: meravigliosi capelli color dell'ebano, pelle candida come la neve, un viso che deliziava per via dei suoi lineamenti perfetti e un'aura naturale che pareva la facesse risplendere irradiando tutto il suo splendore, facendola apparire celestiale quasi fosse una Dea.

Durante una fredda notte invernale, mentre fioccavano morbidi petali di ghiaccio e il vento era carezzevole sulle loro pelli, i due, ritrovandosi assieme per una consona passeggiata alla bianca luce della Luna, lasciarono che il loro amore si compisse pienamente: si regalarono, l'uno nelle braccia dell'altro, un magico e significativo ardore dal quale si sarebbe generato il frutto del loro amore, la fanciulla rimase gravida.

Ella, scoprendolo, fu invasa da un trepidante fervore e desiderava solamente correre dal suo amato a dargli la bella notizia.
Il sole aveva ormai adombrato i suoi raggi luminosi e la sera stava già primeggiando sul cielo.
Carol, avvolta nella sua stola argentata, per ripararsi dal freddo pungente, si diresse verso casa di Malik.

Sul sentiero, attraversato il ponticello che legava una sponda all'altra benché divisa da un rivoletto d'acqua che per la stagione invernale era divenuto una lastra gelata, sentì dei lamenti. Preoccupata, adagio, si fece guidare da quei suoni per giungere dinanzi allo sfortunato emittente, quando raggiunse tale fonte, lo trovò ormai silente poiché privo di vita.

Quello a cui assistette la lasciò inorridita: il biancore della neve era imbrattato dal rosso scarlatto del sangue di un povero contadino che veniva dilaniato da una creatura a lei sconosciuta: nera come la morte, ricurva sulla sua carcassa, quella dilaniava le carni dell'uomo deceduto versandosi il suo sangue addosso. Quand'egli si girò, l'unica cosa che vide e di cui avrebbe avuto memoria finché vita avesse in corpo, furono i suoi occhi, unici, freddi come il ghiaccio e azzurri come l'oceano, che potevano appartenere solo a una persona a lei ben nota e di cui non poteva avere il neanche minimo dubbio: Malik.

In preda alla disperazione e allo spavento, scappò via e da quel momento in poi cercò di allontanarsi, seppur col cuore straziato, da quello che, da amato, era divenuto un mostro. Malik fece tutto quello che poté per riconquistare l'amore della sua donna, ma invano.
Ella era talmente innamorata del suo bellissimo Malik, che avrebbe donato anche la vita se solo glielo si fosse chiesto, ma lui teneva più a sé stesso e alla sua posizione di potere che alla giovane innamorata e decidendo di mutare in quella bestia sanguinaria che si nutriva di esseri umani, solo per vivere una vita infinita e colma di potere, aveva preferito quello all'amore e quando gli fu chiaro che, quella stessa donna che aveva immensamente amato non lo avrebbe mai più ricambiato, impazzì e si abbandonò totalmente a quella bestia che gli era in corpo, seminando morte ovunque andasse, incurante di tutto.

Trasformò molti altri umani in creature come lui, uomini e donne, che si riprodussero e col tempo si moltiplicarono, segnando quasi la fine degli umani e delle altre creature terrestri. Come esisteva quel male che si era insidiato dentro Malik come forza distruttrice, esisteva anche una forza contrastante, del tutto benefica. La dicotomia del bene e del male era intrisa in quel mondo, ed è parte dell'universo stesso.

Quello di cui Malik, Carol e ogni umano erano ignari, era che esistessero, appunto, altre creature insolite, occultate alla loro percezione, poiché esse non erano di questo mondo, altrettanto diaboliche e altrettanto angeliche, tutte guidate da forze supreme che ben presto scoprirono esser denominate Thalion. Queste vivevano tutte confinate a Tàrimèna.

Un giorno, quando quelle ribelli scapparono insidiandosi negli umani, trovando rifugio in Malik come primo esponente e facendone il mezzo per poter impossessarsi del pianeta in cui viveva con l'intenzione di dominarlo e renderlo la loro dimora, le Forze Supreme, ovvero le Thalion, decisero, quando il potere di quelle fuggite era sconfinato in terribili conseguenze che avrebbero causato l'estinzione della vita sulla Terra, di intervenire e racchiudere i soppressori in un carcere che venne poi denominato Kalennorath.

Per far ciò, apposero un sigillo alle porte di quell'infernale mondo, generando così la prima RovhTàri terrestre.

La bontà di quella fanciulla dal cuore spezzato, che non poté più amare una creatura che si era imbevuta di tutto quel male, si distinse immediatamente agli occhi delle Thalion che la scelsero come Sovrana della Luna, sovrana di Tàrimèna, sigillo di Kalennorath.
Ma, poiché ella portava nel ventre il frutto macchiato dal seme di un essere ignobile, alla nascita, le fu portato via il figlio. Le fu concesso un solo sguardo alla nascita, che bastò ad imprimerle sul cuore un ricordo indelebile della sua creatura che aveva già così tanto amato in quei nove mesi che aveva potuto tenerlo dentro di sé e che avrebbe amato per tutta la vita anche se separata da lui.

Così le Thalion costrinsero la disgraziata Carol a un patimento maggiore di quello che aveva dovuto provare perdendo la prima persona amata e di questo dolore, che altrimenti le avrebbe massacrato l'animo, ella ne fece la sua forza, divenendo potentissima. Nonostante tutte le angherie e i soprusi che dovette sopportare nella sua vita, rimase la personificazione della bontà, poiché questa era la sua predisposizione, il suo animo, il suo acido desossiribonucleico. Al figlio dannato venne dato il secondo nome del nonno, Maraud e, per una colpa da lui non commessa, fu confinato a Kalennorath ed ella non lo vide mai più.

- Perché mi racconti tutto questo? - chiese Kimberly che pendeva dalle labbra di quell'abile narratrice.

- Non ti è ancora chiaro? Maraud... è Lui, il legittimo figlio del Sommo, che detesta con tutto sé stesso, poiché come sua prole, si sente legato al male che questo elargisce; ed è prole anche di quella donna disgraziata che ci confinò qui tutti e che odia con ogni sua fibra. - Gracel indicò Maraud che stava riposando all'interno della sua dimora.

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