XXXIII
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- Tu, dannato! Hai profanato la tua Regina. Che punizione ti meriti? Ti lascerei a marcire qui dentro saziandoti solo dei tuoi rimpianti. Ma sarebbe troppo gentile da parte mia.
Aeglos giaceva per terra su un suolo reso sporco, fetido e umido dal piscio delle vittime che vi erano state prima di lui, momentaneamente spostate per lasciarlo in isolamento.
- Sarebbe impari lasciarti qui, come il cane rognoso che sei, a poltrire chiuso in una cella. Trovo più adeguato lasciarti subire la stessa sofferenza che hai imposto alla mia Lilith. - Ci pensò un momento: - Ma sì, ti manderò il Popobawa, riceverai la stessa sorte, ogni giorno della tua miserabile esistenza!
A quell'affermazione Aeglos mutò in viso, inorridito dalla sorte che gli sarebbe capitata. Avrebbe voluto morire subito, togliendosi la vita egli stesso se avesse potuto.
Il Popobawa è un essere disgustoso capace di usare il suo corpo liquido per allungarsi e deformarsi generando lunghi filamenti e potenti tentacoli. Possiede una bocca irta di denti affilati e un ampio occhio viscoso, dalla pupilla dilatata a dismisura, velata da una patina opaca giallastra che lo rende ripugnante; inoltre è dotato di un pene enorme, cosa che peraltro non è elemento di poco conto poiché esso è consono immobilizzare una vittima, spingendone il volto contro il pavimento... e sodomizzarla per un'ora e più. Il raggiungimento del suo appagamento non è egualmente piacevole per la sua vittima che ne viene stuprata e violentata con modi orribili e dolorosi, causati dal suo membro di dimensioni enormi irto di aculei acuminati e dai molteplici tentacoli che avrebbero abusato contemporaneamente di ogni apertura della sua vittima. La sua mente sarebbe stata brutalmente resa sempre meno lucida, fino a che, sprofondando nel dolore e nel terrore di quella creatura, di lui non ne sarebbe rimasto altro che un folle inetto.
Congedandosi con una maligna risata, tipica di un essere spregevole, il Sommo lasciò il suo prigioniero nell'obliante terrore della sua sorte, con lo spavento costante di non sapere quando il Popobawa sarebbe giunto per compiere le sue immonde intenzioni.
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Pronta, bellissima nelle mie sontuose vesti, priva di qualsiasi gioiello ornamentale fatta eccezione per qualche fermaglio sulla mia morbida treccia; poiché io stessa nel mio aspetto, ero un gioiello brillante che emanava luce propria raggiandola a tutti quelli che si trovavano a mirarmi. Accompagnata dalla mia minuta ancella e scortata da ulteriori due guardie, fui fatta rientrare nella sala del trono.
- Incantevole, la Vostra presenza abbaglia i miei occhi regali. Siete pronta?
Calai lo sguardo, asserendo.
- Guardami quando ti parlo e rispondimi quando ti porgo una domanda, donna!
Le sue espressioni regali erano così presto mutate al primo sussulto d'ira. Non volevo piegarmi alle sue condizioni, ma fui costretta a chinarmi ugualmente per via di quelle manette che portavo ai polsi come gioielli che, scaricando su di me una potentissima energia elettrica, mi costrinsero a una scelta: obbedire, o sopperire a quel dolore acuto.
- Sono pronta.
- Sono pronta, Mio Signore, questo devi dire quando ti rivolgi a me - un'altra scossa pervase il mio corpo e riluttante corressi la mia risposta: - Sono pronta, Mio Signore.
Venne verso me, mi afferrò il mento e volgendomi prima da un lato e poi dall'altro, esaminò il mio viso.
Mi porse la mano e l'afferrai e con quella sospesa a mezz'aria, sostenuta dalla sua raggrinzita presa, mi condusse fuori le mura di quel palazzo, sul vertice del terrazzo e affacciandoci vidi uno sconfinato esercito di mostri dalle fattezze più strane e inquietanti: a emergere comunque era la presenza degli Incubi e delle Succubi che occupavano tutte le prime file, quelli però erano bellissimi.
- Mio devoto Popolo di Kalennoeath, il Vostro Sovrano e Padrone gioisce di questo giorno e lo fa insieme a voi! - un grido si sollevò dalla folla adorante. - Quest'oggi finalmente i nostri desideri più reconditi verranno realizzati, dopo secoli di sventurata sorte e suppliziabile prigionia, con Lei, tutto terminerà e noi sconfineremo nuovamente il nostro dominio - quella frase mi fece sussultare e sbarrare gli occhi, il sigillo, io avrei rotto il sigillo, in quelle condizioni avrei promulgato la loro libertà.
- Acclamate la vostra Lilith, Sovrana delle Succubi sue serve, e di tutto il Popolo di Kalennorath, presto Mia Regina.
Lilith... il malvagio demone Signora di tutto il male, moglie del Diavolo, il Sommo, lui era come il diavolo.
Incoronandomi con un diadema prezioso color dell'argento più vivo, imbellito da un grosso zaffiro centrale, fui acclamata da un forte ruggito provenire da quell'innumerevole folla. Tra di loro, né Aeglos né tanto meno Maraud erano presenti. Dov'erano? Che sorte aveva destinato loro? Se Aeglos era stato fatto prigioniero in una cella delle segrete... Perché Lui non c'era?
Il mio cuore lo cercava, lo voleva, a sostegno di tutta quella situazione che mi lasciava inerme e basita. Stava accadendo, dovevo far qualcosa, impedirlo, dovevo escogitare la qualsiasi. Lasciandomi quell'elogianti urla alle spalle, fui condotta in una sala da pranzo lussuosa ed egli si avvicinò a me e, a seguito di un suo battito di mani, entrarono due Incubi che reggevano una creatura che si dimenava come un'ossessa.
Una piccola donna, nel suo corpo nudo, piangeva disperatamente avendo così il volto rosso e gli occhi solcati dalle lacrime. La sua pelle più pallida della neve, la rendeva complessivamente candida, quasi pura, agli occhi di chi l'osservava. Dai lunghi capelli turchini e gli occhi altrettanto chiari, che paralizzavano come il freddo guardandoli, disperata con la sua vocina esile implorava pietà.
- Il Vostro pasto, mia Sovrana - dissero le due guardie portandomela di fronte.
- Non fare complimenti, mia bella Lilith, divora le sue carni, serviti della sua anima, beati della sua sofferenza, che ti ho già reso smisuratamente forte, dicendole che sarebbe stata usata per graziare i vostri diletti. Che fato stupendo, fare da sostentamento per la propria Regina.
Come potevo cibarmi di quella donna che mi stava dinanzi dall'aspetto tanto umano e fragile, la quale paura era quasi palpabile talmente fosse persistente. Perché mi veniva fatta questa richiesta?
Ero combattuta, nuovamente, tra la me Heloise e la me Succube. Trovavo molto invitante quella fanciulla così sventurata, volevo affondare i miei denti nelle sue carni, volevo saggiare ogni componente di quel suo involucro e spaziare i suoi interni, imbevendomi infine di tutto il suo supplizio. Ma sentivo un blocco che mi ostacolava, che mi suggeriva di non cedere a quella malvagità insita in me.
- Cosa c'è? Non la trovate di vostro gusto? - cingendomi dalle spalle mi spostò i capelli lasciandomi scoperta la parte destra del mio collo e annusandolo tastò il mio seno e sentii la sua eccitazione accorrere a quel gesto. - So di cosa sei capace mia bellissima divoratrice, ti ho sempre osservata, lasciati andare, per te stessa, per me... - mi sussurrò con voce suadente all'orecchio.
- Come dono per voi, mia splendida Regina, da queste piume dorate, genererò una spada, che sarà in grado di pungolare le peggiori sofferenze di chiunque si trovi a doverla saggiare.
Lo disse esibendo quelle stesse piume che avevo raccolto lungo il mio viaggio verso il Palazzo.
- Le ricordi mia Diletta? Queste appartengono al mio Jinwu - e un rapace simile a una cicogna, tenente tre zampe anziché una, dalle meravigliose sfumature brillanti che ricordava tanto il fiammeggiante calore del sole, volò posandosi sulla sua spalla. - Vi ha sorvegliata e lasciata una di queste a ogni vostra sfida qui su Kalennorath, volevo vedere di cosa foste capace, le continue prove a cui vi ho sottoposta le avete tutte superate, a volte stupendomi piacevolmente, siete la Regina adatta a questo regno, mirandovi ho compreso che ne siete degna.
Con un gesto lesto delle sue mani, dal quale venne generato un mellifluo gassoso vapore nero, generò una spada degna della bellezza della leggendaria Excalibur, tutta d'oro, incisa di demoniaci simboli e ornata da un'elsa finalmente decorata, da quelli che sembravano irti raggi che si irradiavano verso l'esterno, e che si intersecavano verso l'interno trattenendo una piccola sfera azzurra, la cui lama affilata pareva quasi essere vitrea, terminava in una punta smussata e sembrava contenere dentro sé un tubulare contenitore appena visibile.
- Usatela, se lo desiderate, per recidere la vostra Empusa qui davanti. Fatemi partecipe dei vostri impulsi più dannati.
Quelle maledette manette pulsavano sempre più concitatamente a ogni mio indugio, il dolore era insopportabile.
Presi a sudare, tremare. La testa girava, il respiro si fece sempre più corto.
Non resistetti più, spinta dall'obbedienza impostami da quei due supplizi da polso e dalla mia forza maligna che prese man mano il sopravvento, mi lasciai condizionare da essa, segnando così la fine di ogni mia logica umana.
Empusa, solamente più tardi scoprii la natura abbietta di quella creatura. Si presentava come una fanciulla dalle minute fattezze, debole e sofferente, ingannando, con questa sua finta innocenza, la propria vittima per poi mangiarne carni e sangue, non lasciando nient'altro che le sue ossa.
La strappai dalle loro braccia e la sbattei con irruenza sul tavolo spoglio, sul quale balzai con grazia felina. I miei occhi si tinsero a fuoco, e i miei artigli si svilupparono istantaneamente dalle mani. Quella urlava, piangeva, si dibatteva.
Le lunghe vesti nere che mi cingevano il corpo, mi erano di impedimento, e le strappai dall'orlo, creando un vertiginoso spacco che favoriva i miei movimenti.
Il suono dei suoi piagnucolii mi davano la nausea, volli porvi fine e tirandole a forza fuori la lingua gliela recisi in un sol colpo di unghia e lentamente me la calai pendente entro la mia bocca. Deliziatomi di quell'aperitivo appena iniziato, leccai le labbra e inizia a baciarle per saggiare il sangue che dal mio taglio le avevo causato. Quella continuava a versare le sue lacrime e la sua agonia accresceva mandandomi in visibilio. Volevo giocare con lei e così presi a solcare forte tutto il suo corpo provocandogli profondi tagli netti su tutto il corpo, beandomi di quel suo dolore che secerneva sangue. Leccai il suo corpo nudo e reciso, e palpandolo, mi fermai sul suo sterno, che con violenza immane ruppi, forandolo. Fu allora che presi il mio Regale dono, usai la spada per scindere in due il suo fisico e iniziai a divorarne l'interno come una bestia famelica, a morsi. Il sangue schizzava per ogni dove, i miei capelli per la furia si sciolsero e si imbevettero di tutto quel liquido, rendendoli ancor più rossi. Quella morente, era in uno stato d'incommensurabile patimento. Fu allora che risucchia via la sua anima terrorizzata riempiendomi di forza e piacere, finché mettendo un fermo alla sua morte, non essendomi abbastanza dilettata, ancora viva staccai il suo cuore pulsante e me lo spremetti i bocca prima di divorarlo. Con occhi famelici mi voltai e dissi: - Ancora.
Così diedi inizio al supplizio di moltissime altre vittime, una di seguito all'altra, e quella bramosia sembrò non aver più fine.
Il mostro si era dunque svegliato veramente.
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