XXV


La cena fu molto apprezzata da Fabien che non solo chiese una seconda porzione, bensì anche la terza. La mamma di Kimberly, trovandosi inaspettatamente ospiti per cena, decise di preparare crepes salate, ripiene di funghi, panna, patate e pancetta.
Dopo aver mangiato, i due si alzarono dalla tavola e chiesero educatamente il permesso per andare nella camera di Kim, sua madre glielo concesse e rivolese uno sguardo d’intesa alla figlia, raccomandandola velatamente di stare attenta a ciò che combinava. Kimberly le sorrise per tutta risposta, rassicurandola.

Non era il suo ragazzo, avrebbe voluto dirle, ma quanto le sarebbe piaciuto… quel pensiero la fece arrossire e vergognare; non era il momento più adatto di fantasticare, ora doveva capire il significato di quella lettera trovata in maniera del tutto fortuita.
A Fabien sembravano piacere le tele appese sul muro e a Kimberly guizzavano felici sussultorie emozioni nel cuore vedendogli apprezzare la sua arte. Tuttavia, non disse che era lei l’autrice di quei dipinti, non volendo incorrere ad atteggiamenti di vanto.

– Sentiti libero di sedere dove preferisci, scusa il disordine.  Quando sono uscita, questo pomeriggio, non pensavo di dover ospitare qualcuno – lo disse per cortesia, in realtà la stanza era in un ordine maniacale, come sempre. Fabien scelse il pouf bianco, tra il letto e la toeletta, per sedersi e Kim non poté fare a meno di pensare alla sua amica, che ne aveva occupato per ultima il posto, l'ultima volta ch'era stata lì. Sembrava passata un’eternità.

–  Cosa pensi che volesse dire? Quelle parole… sono assai strane –  chiese Fabien, riferendosi alla lettera trovata.
–  Non lo so, tutta questa situazione è strana. Lei era cambiata radicalmente, di sicuro qualcosa che non andava, non so, qualcosa la turbava molto e quindi ha reagito in un qualche modo, per far capire agli altri il suo stato di allerta. Solo che noi non lo abbiamo capito, almeno non in tempo.

–  Sì, era diventata una bomba – tossì schiarendosi la gola accortosi di aver dato voce a quel pensiero – Cioè voglio dire, vestiva e appariva in maniera più provocante e anche il suo modo di comportarsi era cambiato. Timida, riservata… poi l’esplosione. Indomabile, ribelle e persino popolare.

Kim cercò di non soffermarsi troppo su quelle parole, ma tanto lo sapeva, lui era attratto dalla sua amica e cambiamento o meno, ne aveva tutte le motivazioni. Continuò a camminare avanti e indietro per la stanza, cercando un ricordo, un appiglio; sentiva che le sfuggiva qualcosa, ma non sapeva cosa.
–  Di certo non possiamo informare la sua famiglia di questa lettera. È pesante, li turberebbe solamente di più, dando loro forse una speranza, una motivazione che li spingerebbe a cercarla magari per tutta la vita, invano. Conosco quella sensazione, Fabien. È meglio che la credano morta, come effettivamente è apparsa a tutti noi. Non possiamo far finta non sia accaduto, l’abbiamo vista morta!

–  Tutto questo  non ha senso –  disse sventolando tra le mani quel foglio sgualcito,
– Non ha minimante senso, forse ci stiamo solamente aggrappando a qualcosa che non esiste, solo perché è più facile sperare in qualsiasi cosa anziché accettare la sua morte –  scoppiò a piangere.
Fabien congiunse le sue mani al viso e rimase fermo in quella posizione per alcuni minuti, raccogliendo i suoi pensieri.
Poi alzandosi, andò da lei, le mise le mani sulle spalle, la voltò e la strinse forte a sé.
–  Kim, noi non abbiamo visto Heloise morta. Abbiamo visto un corpo carbonizzato, o quel che ne rimaneva. Quali prove abbiamo che appartenesse realmente a lei? La scientifica non è riuscita a risalire al suo DNA perché il corpo era troppo danneggiato o, meglio, non voleva spendere tempo ed energie a verificare ciò che appariva ovvio.
–  Aveva i suoi vestiti Fabien, persino il suo braccialetto era lì vicino.
–  E se avessero inscenato tutto?
–  Chi?
–  I suoi rapitori, qualcuno la costringeva a fare quello che non voleva. Pensaci, Kim. Leggi tu stessa: “Sono viva, in un certo senso esisto ancora, ma non esiste più la bambina che avete cresciuto”, e ancora “sappiate che non ho avuto scelta”, “credermi morta, è la cosa migliore”. Quadra tutto, così ha un senso.
–  Ma allora perché non ha dato a nessuno questa lettera? L’ha appallottolata e buttata via.
–  Pensaci, ha meno senso scrivere cose del genere senza averne motivo, che non consegnarci questo messaggio. Probabilmente glielo hanno impedito. Chiunque ci sia dietro questa storia… dobbiamo indagare. Non possiamo lasciar stare, è una pista, forse, come sostieni, inutile, ma vogliamo vivere con la consapevolezza di avere una piccola percentuale di possibilità di far chiarezza a questa morte avvenuta così, senza senso, senza oltretutto aver individuato il colpevole? Magari potremmo risalire almeno a lui e sarebbe comunque una piccola vittoria, no? O vogliamo ignorare tutto quanto?
–  Hai ragione… ma da dove cominciamo?

☽𓆩♛𓆪☾

Continuammo a camminare, probabilmente alla ricerca di un’uscita che non sembrava essere vicina. Il buio ci circondava, nessuna fonte di luce era presente tra quelle sudice mura.

Qualcosa non andava, pensai tra me e me. Quel luogo custodiva qualcosa di tremendamente malvagio. A ogni passo, avvertivo l’oppressione stringermi sempre di più, mi sentii prendere dal terrore con la sola, costante voglia, di mettermi a correre nella direzione che pensavo portasse all’uscita.

Sotto un asse di legno, uno strano essere, visibile solamente poiché mi trovavo a un centimetro da lui, sedeva con la testa reclinata sul petto. Pochi passi più avanti ne seguiva un altro. In quel luogo dominava solamente la morte. Che cosa poteva esserci di buono in un posto come questo? Doveva essere il covo di un essere immondo che portava lì i suoi banchetti e noi potevamo essere i prossimi, che gentilmente eravamo andati lui incontro, risparmiandogli la fatica di cacciare.

Continuai nervosamente a guardarmi attorno, cercando qualcosa che non volevo assolutamente incontrare, trattenendo le mille e una domanda che avrei voluto porgli, invece dovetti mantenere il silenzio che mi era stato chiesto. Probabilmente anche loro agivano in silenzio, tanto che si muovevano cautamente non emettendo un fiato, incerti se il padrone di quella dimora fosse in casa. 

Morti giacevano isolati e in cumuli, quelli che ancora mantenevano la pelle, apparivano smagriti come se fossero stati prosciugati dall’interno, altri erano laceri, di loro rimaneva solo olezzo e ossa.
D’un tratto non vidi completamente più nulla, come se avessi del tutto perso la vista, il nulla più nero. Maraud, Aeglos, dove siete? Fermatevi, non posso raggiungervi, non vi vedo, non vi sento.
Qualcosa di viscido strisciò attorno al mio braccio, poi strinse anche il mio bacino: urlai a squarciagola, tremando per lo spavento e la sensazione di disgusto, scuotendomi per riuscire a scappare da quella presa maleodorante che mi lasciava il corpo ricolmo di bava, senza riuscirvi.

Sentii i miei compagni agitarsi, cercarmi disperatamente senza successo. Troppo tardi, ero stata presa. Il viscido braccio di quella creatura si cinse attorno alla mia bocca, impedendomi di gridare e facendo sì che loro  non potessero arrivare a me seguendo il suono della mia voce; stringendo così forte fino alla completa perdita del respiro.


Quando ripresi conoscenza, mi ritrovai su un grosso masso liscio, inginocchiata, con le vesti strappate e logore. Mentre delle catene di ferro rugginose mi tenevano saldamente attaccata a un'asse dalle braccia.

Fu in quel momento che li vidi, i miei aggressori. Orripilanti creature, dalla pelle grinzosa, col corpo umanoide ricoperto da lunghe vesti nere di pelle. Avevano un alto colletto che cingeva i loro colli rugosi e la loro testa era mostruosa, simile a quella di una seppia.

Una di quelle mostruosità mi tenne la testa con le sue vischiose mani dalle dita uncinate e si posizionò alle mie spalle, allungando i suoi tentacoli appiccicosi attorno alla mia faccia. Sentii le innumerevoli ventose di quei tentacoli mettere sottovuoto la mia pelle aderendovi con fermezza, attorcigliarsi su tutta la superficie del mio viso, regalandomi un senso sgradevole di repulsione.

Immobilizzata nelle braccia e adesso anche nella testa, cercai di far affidamento sulle mie gambe, che piegate sulle ginocchia, potevano però ancora muoversi. Divincolandomi piano, mi accorsi che quella stessa catena legata ad ambedue i polsi, trovavano congiunzione dietro la mia schiena, impedendomi di sollevarmi. Quella posizione, sempre più scomoda a ogni minuto che passava, mi stava facendo perdere la sensibilità in tutto il corpo.

A quell’immonda creatura ch'era avviluppata sulla mia faccia, se ne aggiunsero altre due, una per ogni lato delle mie braccia. Strinsero su di esse i loro tentacoli e tutte insieme cominciarono a serrare la presa fortemente. Cominciò a dolermi tutto, il sangue a fluire meno, intorpidendo il mio corpo. Prima che perdessi del tutto la sensibilità, avvertii pungenti aculei infilzarsi all’interno delle mie carni, a intermittenza, entravano e uscivano risucchiando via tutte le mie forze. Debole, smorta, sentivo la vita abbandonare pian piano il mio corpo, presto sarei stata privata di ogni mio contenuto e ridotta a un mucchio di ossa e pelle.

Ebbi la forza di schiudere gli occhi leggermente e cercai Aeglos e Maraud, ma di loro non vi era nessuna traccia. Questa volta non c’era nessuno che potesse salvarmi.

Il terrore invase ogni centimetro del mio corpo che si stava svuotando, e in quell’istante, cominciò a trasformarsi in quello di una Succube, irrobustendosi e cristallizzandosi come una lucente pietra preziosa. Questo impedì loro di continuare a risucchiare il mio corpo, poiché non riuscivano a penetrare la sua nuova forma dura. Confusi da questo repentino cambiamento, allentarono e dissolsero la presa. Senza avere il controllo della mia voce, una sorta di litania fu pronunciata dalle mie labbra: “Mástëtudo i heina iyëum veèrna melinyarat, na erinorrae er hosdorë tiyë melinabant! ”.  (1)






Note:
(1) " La forza di queste miei parole facciano tremare le terre e soccombere i nemici!"

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