XIX


L'aria era come quella respirata dentro un sacco di tela spesso, consumata, faticosa da respirare, con un odore inclassificabile che però ti dà subito l'idea di stantio. Tutto intorno, un silenzio irreale, come quando finita la playlist del proprio I-pod resta solo il ronzio delle cuffie che non riproducono più alcun suono.

L'aria di tempesta, tutto qui dentro era pronto a divampare in una catastrofica sciagura rovinosa.
L'oscurità di quel posto invadeva la qualsiasi come una pressa che, da un lato e dall'altro opposto, cercava di comprimerti l'anima eclissando ogni astro di luce.

Mettendo con difficoltà un piede dopo l'altro, avanzavo, pur non vedendo nulla; sentivo solo la loro presenza che mai mi era stata tanto di conforto come ora. Inciampando su qualcosa, mantenni l'equilibrio o almeno lo credetti. Tutto di questo posto mi confondeva: indifferentemente il suolo che calpestavo ch'era sia al di sotto e contemporaneamente al di sopra di me e io ignara continuavo a camminarvi sopra e sotto, senza comprenderne la forza di gravità. Scagliai qualcosa col piede, qualcosa di leggero, come un barattolo vuoto verso... verso cosa? L'eco di quell'oggetto si perse nel buio.

D'un tratto, però, un brusio iniziato soffuso cominciò a rendersi sempre più tangibile. Scricchiolii, scoppiettii - causati dai passi irrequieti di creature ch'erano celati dal buio e, infine, sussurri fattisi sempre più forti, seppur incomprensibili - si udivano insopportabili attorno a noi; voci inespresse da troppo tempo impazienti di manifestarsi elargendo commenti sulla nuova arrivata: io.

Soffocata da quell'atmosfera, avrei voluto urlare per dimostrare a me stessa di respirare ancora, per sentire qualcosa che mi fosse familiare, per allontanare quell'angoscia che si era palesata fin dal primo istante al mio arrivo.

- Che... -"che posto è questo?" avrei voluto dire, non feci in tempo a concludere la frase che Aeglos mi fece segno di tacere.

Continuammo a camminare per minuti che parvero ore. Lui mi era alle spalle e Aeglos stava davanti a far strada in quel nero interminabile, alla cieca, nell'oscurità; con la costante paura che qualcosa fosse lì pronta ad aggredirmi e io incapace di difendermi.

Finalmente quello che era stato un lungo corridoio ombroso stava terminando e un piccolo varco di luce si presentava in lontananza. Quando la mia vista si riabituò alla luce, quello che vidi fu straordinariamente irreale. Quasi non vi era alcun suolo da calpestare, solo una lastra trasparente e opaca separava noi e il sottosuolo. I nostri passi non emettevano più alcun suono, come se il nostro peso fosse nullo, come se il suono non trovasse alcuna barriera sulla quale infrangersi.
Di fatto, eravamo circondati da un evanescente quarto stato della materia: un gas ionizzato che permeava tutto, che, perfino, costituiva tutto.

Era come se fosse regolato da forze elettriche che definissero quell'ambiente; sfumature violacee tendenti al blu elettrico si manifestavano muovendosi in bande luminose mutevoli nel tempo e nello spazio, similmente tutto sembrava essere circondato da aurore polari.
Un campo visivo notevolmente bello per un posto che emetteva e trasmetteva terrore.
Questo impalpabile e colorato nulla denso che ci circondava, in lontananza, acquisiva forma: enormi montagne s'innalzavano tutt'intorno, scoscese e ripide simili a cascate immobili.

Alti edifici si mischiavano ed elevavano tutt'uno con questi monti che li avvolgevano e al contempo sostenevano: avevano forme che parevano torri di castelli, alte, sterili, assottigliate, si innalzavano in alto e si perdevano in nuvole d'incorporee nebbie. Portali, che parevano marmorei, fluttuavano qua e là nel bel mezzo del niente, circondati talvolta da tubolari vortici trasparenti che parevano comparire da quel suolo inesistente e venivano attraversati da scie luminose simili a cariche elettriche in continuo movimento, come fossero lampade al plasma. Questi suggestivi e sottili filamenti di scariche elettriche luminose comparivano a intermittenza simili a sottili archi voltaici, mai nello stesso posto.

Quel luogo che pareva desolato, pullulava invece di creature che fin ora erano rimaste nascoste, ma in agguato; ben presto avrei avuto il piacere, o meglio il dispiacere, d'incontrare.

- Benvenuta a Dùrost! - esibendosi in un ampio sorriso, Aeglos interruppe il silenzio che aveva lui stesso imposto prima, per poi proseguire: - il primo luogo che compone il nostro mondo: Kalennorath.

Un agghiacciante urlo riempì quel momento di vana quiete che mi ero riuscita a creare, accompagnato da una serie di tonfi sordi provenienti da sotto i miei piedi che iniziarono a tremare debolmente poiché qualcosa sbatteva energicamente sotto il suolo opaco. Delle mani raggrinzite, alcune ridotte all'osso, insanguinate o mancanti di dita, battevano ossesse in quella lastra come a volerlo rompere per agguantarti e trascinarti di sotto con loro.

Un brivido terrificante percosse tutto il mio corpo e le loro urla disperate e distorte, perché ovattate in quella cella trasparente che li custodiva sotto la lastra vitrea che ci faceva da pavimento, amplificavano lo sgomento.

Più avanti, a pochi metri di distanza, scorrevano, susseguendosi senza sosta quasi fosse un condotto d'acqua, quelle che parevano essere anime intrappolate in un moto senza fine e di quel fiume di evanescenti corpi putrefatti, dolore e disperazione, erano tangibili.

Anime incattivite dall'atmosfera nella quale erano costrette a rimanere prigioniere, senza riposo; molte di queste apparentemente sembravano umane, ne avevano la forma incorporea, ma apparivano sbrindellate e putrefatte, come un cadavere costretto a galleggiare per anni nell'acqua, cianotico e melmoso, con parti molli e mancanti, dalle quali si vedevano ossa e organi marciti, bulbi oculari, vuoti e decomposti.

Quando vi fummo veramente vicino conati di vomito mi furono provocati non appena assistetti a ciò che Aeglos si apprestò a fare. Si avvicinò a quella corrente e puntuti artigli gli affiorarono in lunghezza dalle dita, il suo bell'aspetto angelico perse ogni sua bellezza per lasciar posto a una creatura ripugnante dagli occhi color del fuoco; anche la pelle mutò, prendendo il colore sporco del fumo e i capelli persero la loro lucentezza dorata scurendosi, le braccia si fecero più possenti, le mani più grosse, il corpo più voluminoso, niente di ciò ch'era rimase: un mostro ne occupò il posto.

Spalancò la bocca, contrassegnata da una fila di aguzzi denti, risucchiando quel flusso disgustoso di eterei, decomposti corpi.
Urla di donne, uomini, pianti di bambini, angosce e lamenti di creature indefinite, risuonarono fortissimi, colmi di puro terrore, talmente forti da far venire voglia di fuggire da quell'agonizzante afflizione che si annidava dentro te stesso, paralizzandoti.
La sua espressione, mentre risucchiava quelle cose dentro di sé, era di pura goduria, appagandosi di quel supplizio le sue labbra si tesero in un sorriso pazzoide.

Terminato il suo pasto si pulì la bocca col braccio come se fosse grondante del loro sangue. - Dovresti fare uno spuntino anche tu, potrebbero venirti a mancare le forze se continui a digiunare - il mio viso si contrasse in una smorfia di disgusto.

Il suo aspetto tornò normale, riprese le sembianze di Aeglos, l'essere che finora mi aveva rincuorato ma che adesso, dopo ciò che aveva fatto, mi si era palesato anch'egli come un mostro tanto quanto lo era Lui.
- Devi pur mangiare Bambolina. Non guardarmi così, noi Incubi ci cibiamo della paura e della sofferenza, dovresti averlo capito ormai - annuii lentamente, ma non avevo ugualmente voglia di nutrirmi come intendeva lui.

- Cos'erano? Cos'è che hai risucchiato?
- A te cosa sembra?
- Anime. Anime perdute.
- Bravissima Bambolina, sono le paure più recondite, le angosce più profonde di tutte le creature che catturiamo, una volta che vengono terrorizzate e perseguitate da noi finiscono qui per essere riutilizzate in eterno.

Tremendo, pensai.

Maraud riprese il suo cammino. Pareva camminare sul nulla, salendo sempre più in alto, seguendo curve che non esistevano, come se fluttuasse nell'aria. Tuttavia, se si prestava ben attenzione, sotto ogni suo passo s'intravedeva alzarsi un polverone blu che per una frazione di secondo faceva intravedere un percorso che altrimenti non poteva essere visto. Così, con la paura di cadere nel vuoto, m'incamminai anch'io e man mano che proseguivamo, risalendo verso l'alto, ci lasciavamo quella cascata spettrale alle spalle, che ormai stava sul fondo, mentre noi ci ritrovavamo su un invisibile piano più alto.

La sensazione provocata da quello strano percorso era di camminare nel nulla, e ogni passo era come salire un gradino sempre più in alto nel vuoto, come se fluttuassimo. Se, infatti, guardavo sotto i miei piedi, un grande senso di vuoto mi riempiva dentro, lasciandomi vedere perfettamente la superfice opaca che avevamo prima calpestato nella quale, adesso più che mai, sembrava scorrere un fiume in piena.

- Mi mancheranno gli umani - disse Aeglos che continuava ad avanzare senza mostrare il minimo sforzo, io invece iniziavo a sentire la fatica dello sforzo per quella salita, che, seppur non si vedesse, era sicuramente ben ripida. - Quelle paure sono così flebili - riferendosi a quelle che aveva pocanzi ingurgitato - nulla a che vedere con quelle che puoi ricavare dal terrore che tu stesso puoi causare, stuzzicando, inseguendo, tormentando la tua vittima umana. E i loro organi vitali, mmm... il loro cuore. Così succulenti, sono un piacevolissimo dessert. Non è vero? - ma Lui non rispose, rimase ancora una volta inespressivo e in silenzio, mentre io, d'altro canto, non avevo nulla da dire in quanto ero sdegnata da tutto ciò che aveva appena detto.

La mia condizione umana era molto forte ancora, la ritenevo una fortuna, non volevo che il mostro che ero diventata prendesse il sopravvento su tutta me stessa, anche se forse prima o poi sarebbe stato inevitabile e allora tutto sarebbe stato perduto. Dovevo tener duro. Dovevo resistere a quello stato che mi era stato imposto ed elevarmi a qualcosa di migliore, come mi era stato suggerito dalla Regina.

☽𓆩♛𓆪☾

Sulla Terra, un nuovo giorno era iniziato e tutti si prepararono ad affrontarlo. Per la famiglia di Heloise quella giornata fu molto dura. Riuniti a tavola, i due genitori e il figlio minore non poterono non notare il posto di Heloise che era rimasto occupato dal niente e da quel giorno in poi lo sarebbe stato per sempre. Matt scoppiò in lacrime, fissando il vuoto lasciato dalla sorella, ed entrambi i genitori con le lacrime agli occhi misero una mano sulla spalla dell'unico figlio rimasto, incapaci di consolarlo in altro modo.

Il silenzio colmava la stanza, interrotto solo dai singhiozzi del ragazzo addolorato per ciò che era successo. Giurò dentro di sé che, forse non nell'immediato futuro, ma un giorno, l'avrebbe fatta pagare cara a quello spregevole essere che aveva portato lui via la sorella, augurandosi che fosse identificato presto e giustizia fosse fatta, per tutte le vittime a cui aveva strappato brutalmente la vita e soprattutto per sua sorella.

La rabbia dentro di sé verso quell'assassino era feroce, sarebbe andato anche in carcere se necessario, per vendicarsi, per prenderlo violentemente a bastonate, infliggergli dolore così come lui aveva fatto con sua sorella. Bruciata viva. Resa irriconoscibile. Pensare all'agonia che la sua Hel avesse dovuto provare lo portava sul punto di svenire. Si augurava che almeno avesse avuto la decenza di ucciderla prima che la mettesse lì ad arrostire tra le fiamme, prima che le venisse asportato via il cuore. Quale depravata mente malata poteva fare collezione di organi? La polizia avrebbe fatto bene a perderci il sonno e, se necessario, rintracciare quel folle omicida, rifletteva.

A sole poche strade più in là, in una casa non illuminata, resa ancora più buia dalle tende chiuse apportate alle finestre, l'umore di Kimberly non era diverso.
La ragazza non sarebbe andata neppure a scuola se non fosse stato che nell'intero istituto quel giorno si sarebbe celebrato un elogio funebre dedicato a una studentessa brillante qual era la sua Hel.
Tutto quel giorno era privo di colore: dal cielo rannuvolato che non lasciava trapelare un solo raggio di sole, ma che anzi annunciava pioggia imminente, all'interno delle abitazioni e perfino dell'istituto scolastico. Gli alunni indossavano tutti colori scuri e le loro espressioni erano molto tristi, nei loro occhi si leggeva un grosso senso di dolore che nascondeva appena quello della paura.
Quanto tempo sarebbe passato prima che un'altra vittima sarebbe stata fatta? A chi sarebbe toccata una simile sorte?
Fabien, che vide Kimberly entrare dal portone principale, le fu subito accanto, la prese e la cinse stretta a sé in un amorevole e lungo abbraccio. Quel gesto che avrebbe dovuto inondarla di felicità, fu a mala pena sentito, la perdita della sua migliore amica occupava tutta la sua attenzione. - Mi dispiace Kim. Io... se posso fare qualcosa... - si limitò a dire il ragazzo.

Chissà pure lui come si sentiva. Qualche giorno prima era a una festa a confessare i suoi sentimenti per Heloise e adesso era defunta improvvisamente e non aveva avuto la possibilità di dirle apertamente cosa provava per lei.
Per Kim la sua presenza non era per nulla d'aiuto. La vicinanza di Fabien era tutt'altro che rincuorante, in quel momento le faceva pensare a quanto ingiusti fossero stati i suoi pensieri nei confronti dell'amica, accecata dalla sua gelosia, da sentimenti carichi di rabbia e rancore nei suoi confronti che l'avevano lasciata sola.
Lei moriva, da sola.
La collera e i sensi di colpa riempivano quello che era il suo fragile cuore.

Kimberly avrebbe dovuto sapere di chi si trattasse, lei era l'unica ad aver visto, che qualcosa, qualcuno, era entrato nella vita della sua amica: qualcuno di assai misterioso che non le aveva mai trasmesso alcuna sensazione positiva, anzi, non le era mai piaciuto, e nonostante ciò aveva dato poca importanza a quella faccenda.
Purtroppo però, non sapeva che quel ricordo lo avesse perduto.

Quando si scrollò di dosso la seccatura di dover quelle spiegazioni che Heloise pretese in un momento di rabbia, lasciando che fosse Aeglos ad assumersi quella rogna, Maraud si allontanò dicendo che avesse delle faccende da sbrigare, lasciando intendere che sarebbe andato a sfamarsi, invece si presentò alla porta della dolce Kim. Fu allora che cancellò dalla sua memoria ogni traccia di sé e, sogghignando in apprezzamento alla vista del dipinto che lo ritraeva, si portò via l'arte di Kim, distruggendo quella prova e tutte quelle che lo imputavano come colpevole.

Kim, ignara di tutto, si continuava solamente a rimproverare: avrebbe dovuto essere più presente per la sua amica invece di pensare egoisticamente come aveva fatto e forse tutto questo non sarebbe successo.
Non avrebbe mai potuto rimediare a quest'errore e avrebbe dovuto vivere con questo peso per tutta la vita, sarebbe stata la giusta punizione per il suo egocentrismo.

Mentre tutti erano riuniti a ricordare la compagna scomparsa e i professori erano lì a cercare di contenere il loro dolore, Kim se ne stava in un angolo, col volto inespressivo, rammaricandosi di tutto e addossandosi colpe.
Promise a sé stessa che avrebbe fatto qualcosa, qualunque cosa, pur non sapendo da dove iniziare.

☽𓆩♛𓆪☾

Due chiacchere con Moon:

Anime belle, questo capitolo inizia ridondandovi in testa... Non è così?
Si tratta della parte citata nel Prologo (per questo motivo il capitolo vi sarà sembrato più lungo del solito ma, d'altro canto, potevate "schippare" la parte iniziale che descrivere Duròst, l'entrata a Kalennorath).
Heloise è arrivata nel mondo di questi demoni e creature maligne, adesso sarà portata dal Sommo.

Finalmente!
Sono contenta di avervi portato fin qua, nella parte che più mi piace; dove finalmete entro nel vivo del mio fantasy, non vi risparmierò scene creepy o di violenza.

Siete pronti?

Ps. Chicca per voi:

Kalennorath
Significa: "Attraverso lo splendore delle terre mediane"

Kal: splendore - ennor: terre di mezzo ath: attraverso

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top