XI
Dopo quel profondo colloquio il volto che sembrava essersi sagomato sulla luna svanì, ed essa tornò alla normalità di sempre.
Mi ritrovai a camminare, arrivando fino al vicolo dove tutto aveva preso inizio.
In quella notte, avvolta nelle tenebre, tutto per me risultava essere confuso.
Avevo la sensazione di essere seguita, sentivo passi lenti, passi veloci, costanti, da ogni angolo. Mi resi conto che appartenevano ai passanti, seppur ben distanti da me, li sentivo vicini.
Un cane in lontananza abbaiò, me lo sentii addosso, pronto a buttarmi a terra, ne fui terribilmente spaventata. Da piccola, dato che mia mamma aveva e ha tutt'ora paura dei cani, quando ne vedeva uno si irrigidiva e istintivamente sentiva la voglia di scappare, allora mi prendeva la manina e la teneva stretta, stretta, per proteggere me e per infondersi coraggio e adesso quando vedo o sento un cane randagio, provo anch'io un po' di quella paura, irrigidendomi.
A questo punto era sciocco provarne per un cane, dopo quanto mi fosse successo, eppure fu così ugualmente. In realtà tutto ciò che mi circonda mi spaventa, tanto che il mio respiro sarebbe potuto scoppiare se fosse una bolla, e fragile, caddi.
Come una foglia autunnale volge il suo saluto all'inverno, arrendendosi alla vita trascorsa, volteggia leggiadra, librandosi piano, rendendosi esule alla vita; anch'io.
La strada era poco illuminata, eppure ci vedevo benissimo.
Provai ansia, incertezza e ancora tanta paura... il cuore prese a battere forte, vibrava e impazziva.
Piena di rabbia, la mente suggeriva di riversare su tutti quel sentimento, sentendo una forte fiamma tentare di uscire fuori, nervosa, ribelle al mondo intero; la voglia di esplodere, provocare una rissa, di sfogare a pugni la mia ira.
Un forte odore interruppe per un attimo quella sensazione di rabbia, per poi aumentare a dismisura.
Un'incontrollabile e irrefrenabile voglia di uccidere quel ragazzo seduto lì in fondo, su di una panchina più avanti... col suo odore fisso, immobile, pungente, che scava, perfora, attira e chiama.
In un solo istante il tempo si fermò, non esistette alcuna distanza tra noi. Sentii bruciare l'anima a contatto coi suoi occhi e gli fui subito addosso, sentendone il respiro tiepido lambirmi le labbra; le mie mani gli sfiorarono il petto.
Un battito di ciglia e gli fui con la bocca sul collo, con una voglia tremenda di saggiarlo. Tutto ciò doveva allarmarmi e ripugnarmi, invece mi attirava, quasi fosse un giochino erotico.
Quella ragazza che aveva puntato e assalito quel ragazzo non potevo essere io.
Io sempre timida e apatica, la prima a sparire quando le strade si facevano affollate, che non prendeva mai parte a conversazioni di gruppo ed evitavo ogni rapporto, a eccezione di Kim. Giudicata sempre come quella strana, quella snob, per via del mio comportamento... pensavano mi sentissi superiore a loro, preferendo evitarli piuttosto che abbassarmi al loro livello. A me non interessava la loro opinione, anzi, provando sempre un costante imbarazzo a vedermi puntati gli occhi altrui addosso, pronti a scrutare ogni mio più piccolo dettaglio, starmene sola per me era meglio. Era sempre stato così.
Fin da piccola la mamma veniva fermata quando ero a passeggio con lei dalla gente che mi fissava e mi giudicava bella. Dovunque andassi ero sempre circondata da sguardi e commenti, a volte espliciti e sfrontati, altre nascosti e non detti, ma ugualmente palesi. Così a scuola, la litania continuò. C'era sempre qualche ragazzo che mi squadrava dalla testa ai piedi per poi commentarmi con l'amico accanto. Una situazione oltremodo pesante, essere giudicata mi aveva dunque resa sfuggevole - da preferire la solitudine, l'isolamento - , insicura cercavo in ogni modo di essere invisibile.
L'unica cui mi mostravo è sempre stata Kimberly: bellissima, occhi nocciola e luminosi, lunghi capelli scuri e fisico asciutto e slanciato, con un carattere solare e spontaneo, riusciva a far emergere la parte che tenevo chiusa a chiave dentro me.
L'avevo trattata malissimo, ignorandola, beffeggiandola.
Non ero più stata in me.
Come una persona del tutto opposta a prima. Ribelle, sicura, fiera e sfrontata... tutto ciò che avevo tenuto a debita distanza, lo desideravo; tutto ciò che non volevo essere, lo ero diventata, cercando di attirare tutta l'attenzione su di me.
Un cambiamento radicale, eppure per me fu di una naturalezza e normalità tale da non farmici neppure soffermare a pensare.
Tranne in quel momento.
Sentivo le mie due io scisse. Ma una prevalse.
Sopra il corpo dell'impotente ragazzo, fui lenta a una progressiva stimolazione. Così fu per lui, un invito al piacere, che gli faceva perder la testa, lo sentivo, lo vedevo; vedevo la sua espressione compiacersi mentre lo graffiavo e mordevo. Poi, quando i miei morsi e le mie unghie stavano a infilzarsi sempre più affondo dentro le sue carni, trascinandogli via la pelle e lasciando scoperto i suoi tessuti, quando il sangue cominciò a sgorgare e la mia bocca lì ad allietarsene, il giovane ragazzo iniziò ad abbandonare il piacere e sprigionare sempre più paura.
Quella paura mi penetrava dentro e mi inebriava.
Più si faceva male, più palesemente mi piaceva.
L'altra me si destò: capii che quello era il momento di smettere, lo avrei ucciso se avessi continuato a giocherellare con lui, ma mi era dannatamente difficile. Era tutto un momento in cui il desiderio si era esposto troppo, in ogni mia mossa si sarebbe manifestata la promessa di un indescrivibile piacere.
Il suo sapore era come droga.
Lì capii.
Colsi il suo sguardo, come doveva essere stato il mio qualche ora prima.
La mia morale umana stava a osservarmi, come mi aveva comunicato quella strana entità lunare, lì ad occuparmi la mente, così riuscii a fermarmi.
Stavo allontanandomi dal suo copro quando qualcos'altro entrò nella mia mente, una voce, la mia voce, ma più suadente e autoritaria: "La tua storia rischia di logorarti dentro se non saprai gestirla. Uccidilo, sciocca. Uccidilo. Macchiati del suo sangue, sii colpevole della sua morte, ingurgitala dentro. Non fermarti...uccidilo...non fermarti, uccidilo. Uccidilo!"
- BASTA! - gridai allontanandomi con una mossa inaspettatamente veloce. Lo guardai, visibilmente debilitato, accasciato sulla panchina e incline al mio volere. Ancora vivo, questo doveva bastarmi.
Così capii che difficilmente si riesce a gestire qualcosa che è doppiamente piacevole, tutto è e non può essere, meno che ragione e raziocinio.
So, adesso lo so.
È difficile e ho paura.
Mi sono fermata ma resto un mostro.
Non c'è salvezza per me.
Cosa si cela in me? Quale creatura immonda c'è dentro la mia testa? La mente è sottomessa al suo atroce giudizio. È come uno spettro, anima fredda, inquieta e trasparente; cosa si cela nella mia mente?
Il desiderio sprezzante di mordere, ferire, lacerare e spezzare, di giocare, di uccidere... domina il mio essere.
Per qualche motivo ero stata richiamata a un compito troppo grave per me, un compito che non sarei riuscita a compiere e che adesso nemmeno riuscivo a comprendere.
Una cosa era chiara.
Non esisteva nessun Squarciatore. Solo mostri.
Anch'io, adesso, facevo parte di quei mostri.
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