V

«Atterrita da ciò che avevo dinnanzi, mi fermai e attesi, anche se sapevo che più avanti qualcosa aspettasse me per svelarsi.
Sentivo, non volendo, grida e tormento sussurrarsi al mio orecchio e il cuore tremarne. Avvertivo una presenza che non si rivelava, acquattata e speranzosa, ansiosa di agire e prepotentemente afferrare quello che tanto brama.
Tutto era confuso e fatiscente, eppure la paura reale.
Mi muovevo lentamente col passo di chi faceva del vino la sua acqua e dondolante traballa da un lato e l'altro di una strada non definita, una strada al quale mancava un margine, un delineamento, una destinazione.
Il silenzio, così irreale, inondò tutto come una tempesta improvvisa rendendomi fradicia e zuppa di quel sordo suono che incalzava sempre più la mia ansia, lasciandomi sola con la mia mente, unica amica con cui poter parlare in quell'istante.
Più tentavo di combatterlo, più mi faceva impazzire, ma quel luogo impreciso era infetto da qualcosa che valicava la paura, la esasperava fino a far desiderare la morte.

Ero ormai consapevole, non so dire chiaramente perché - come quando capita di sapere qualcosa inspiegabilmente e sai solamente che sta lì sopita in te da molto tempo - che questo, pur sperando che fosse un brutto sogno dal quale non potevo destarmi, era invece la realtà alla quale ero destinata ad andar incontro senza controllo alcuno.
I miei piedi continuavano a muoversi e spingermi avanti, anche se energicamente cercavo di arrestarli e, sentendo le gambe affaticate, pur sapendo che la scelta migliore sarebbe stata quella di fermarsi, tornare indietro a ritroso al punto di partenza; proseguivo: verso quello che tanto mi spaventava.

Finalmente qualcosa prese forma in quell'immenso nulla che era stato finora: gli alberi spogli e rinsecchiti, l'inferriata verde prima della piazza. Tutto sembrava più tetro per via dei colori scuri del buio di quella notte, dalla desolazione nelle strade, per via della tarda ora. Nulla, sedetti in una delle tante panchine presenti e aspettai. Passò del tempo e ancora non successe niente, così ripresi a camminare, ma la direzione che presi si scelse da sola, trovandomi così dinnanzi la fontana.

Trasalii.

Eretto nelle lastre opache della fontana un uomo ciondolava, anch'esso attaccato dai polsi, dalle barre centrali d'acciaio. Zuppo di sangue, che fluiva dalle braccia ricurve della fontana fino a liquefarsi tutt'intorno.

Poi la vidi, un'ascia conficcata sulla sua schiena. Una gigantesca, efferata mano incorporea vi si aggrovigliò, risucchiando vorticosamente quello che parea la sua anima.

Mi svegliai investita da conati di vomito ».

☽𓆩♛𓆪☾

La sensazione di acido pervase la mia bocca per tutta la mattina.
Dopo una dormita poco rinvigorente dovuta tanto al dipinto che Kim mi aveva mostrato a casa sua qualche ora prima, che a quell'incubo così nitido che aveva reso il mio sonno irrequieto.

A scuola fu una di quelle giornate in cui uno studente tiene a fatica eretta la propria testa e a bada la propria bocca, evitando che questa prendesse a sbadigliare continuamente. Ognuno degli studenti faceva sì con la testa ogni qualvolta venisse interrogato dallo sguardo del professore, poi ritornava ai propri pensieri e occupazioni. Annabel era intenta a imbiancare il suo banco con il resto delle unghie che ostentava a limarsi da più di mezz'ora, così come la sua amica, perfetto fedele segugio, faceva con lo smalto. Benjamin guardava disinteressato dalla finestra, mentre Stephan il pavimento. Io cercavo di non rivivere le immagini di un altro corpo morto distraendomi a guardare gli altri, poi vidi Kim, presissima a scrivere qualcosa con tale foga che pareva essere caduta in trance: non poteva trattarsi di appunti presi inerenti alla lezione di letteratura più noiosa della storia; fui così curiosa che cominciai nervosamente a controllare l'orologio, appeso alla parete, con molta insistenza, aspettando finalmente che giungesse  l'ora che segnava l'intervallo per chiederle di cosa si trattasse.

Il tempo sembrava non volesse saperne di scorrere velocemente e anch'io, come Stephan, mi ritrovai a guardare il pavimento e contare e ricontare le mattonelle che lo componevano: marroni, impolverate e quasi infinite.

– Quindi mi aspetto da voi una relazione ben elaborata sull'argomento odierno per venerdì prossimo, ulteriori approfondimenti potete trovarli a pagina 249 del vostro libro.

Finalmente suonò la campanella.

Non guizzai subito verso Kim allegramente come gli altri giorni, non ne ero dell'umore, volli aspettare che fosse lei a farlo, ma quando mi voltai la vidi ancora lì intenta nel suo scritto, muovendo energicamente la matita con moltissima foga.

– Kim.

Quando alzò lo sguardo restai col fiato spezzato in gola. Le sue pupille erano dilatate e bianche: prive di vita, abbandonate a un vuoto profondo. Sbattei le palpebre incredula, tornarono normali. Me lo sarò sicuramente immaginato, ormai, dati i continui incubi legati al trauma che avevo subito, non c'era da stupirsene.

– Bella lezione, non credi? – sorrise come se nulla fosse Kim.
–  Non direi... e se tu fossi stata attenta, lo sapresti. Una delle più noiose della storia.

Si alzò dal posto e piegò il foglio al quale lavorava mettendolo dentro la tasca della sua gonna.

– Che vorresti dire? – notai i suoi polsi tutti imbrattati di grigio, le polveri lasciate dalla matita.
–  Non mi sei sembrata molto concentrata sulla lezione e poi mi sei sembrata...
–  Sì?
–  Giuro di averti vista... presa da qualcos'altro – non dissi niente riguardo i suoi occhi, forse sto impazzendo. – Te l'ho detto, mi è sembrata una bella lezione, infatti ho preso parecchi appunti.
– Perfetto! Allora potresti passarmeli perché io invece non ho seguito granché e per venerdì non so proprio come possa riuscire a consegnare un elaborata relazione. Quindi se non ti spiace... – protesi il braccio verso di lei per farmi consegnare il foglietto, ma lei tirò avanti e si diresse fuori dall'aula.

– Hel, non hai un bell'aspetto oggi. Stai per svenire di nuovo?
– No, non ho dormito bene.
–  Oh, come mai? – mi disse afferrando il suo toast dall'altra tasca della gonna. –  Capita – mi limitai a dirle con fare seccato.

– Se non vuoi parlarne non ti costringe nessuno, mi preoccupo solamente per te.
– Mettiamola così allora, se mi dici che cosa c'è realmente in quel foglietto, ti dirò perché ho passato la seconda notte peggiore della mia vita.

– Ma te l'ho detto, sono solo appunti.
– Perfetto. Comunque  sia, non mi entusiasma parlare di stanotte.

Continuammo a camminare lungo il corridoio.

Fabien ci venne incontro dall'altro lato del corridoio e ci salutò alzando la mano, ma Kim non sembrò prestagli attenzione, questa era la prova che qualcosa seriamente la turbava.

Se non voleva parlarmene non mi sentii di chiederglielo più, anche se quel rifiuto, a essere onesta, mi fece rimanere male. C'eravamo sempre dette tutto, nessun segreto tra noi, mai. Almeno questo era quello che avevo sempre creduto.

Il resto della giornata scolastica proseguì più velocemente e al suono dell'ultima campanella ognuno di noi raggiunse il proprio genitore senza proferire parola.

– Che è successo con Kim? – la domanda sorse sicuramente spontanea alla mamma poiché io e Kim, quasi tutte le volte prima di infilarci in auto, ci scambiavamo un abbraccio e un cenno di intesa che stava a significare "telefonami subito appena puoi" o restavamo a parlare e dovevano chiamarci più volte per separarci e avviare l'auto verso casa.

Oggi i nostri capi erano chini. Se fossimo state in un anime giapponese avremmo avuto quel segnetto simile alla forma di cancelletto rovesciato vicino le nostre teste, che simboleggia uno stato d'animo arrabbiato.

– Giornata pesante – risposi.

A casa continuava il silenzio, parola d'ordine di questa giornata.

Matt era andato a casa di un suo compagno, papà era ancora a lavoro, per cui eravamo sole io e la mamma, che avendo intuito che qualcosa era andato storto durante quella mattina, si impegnava a rispettare il mio cattivo umore e a non parlarmi più di tanto.

Accesi la televisione, almeno qualcosa che spezzasse il silenzio.

"Ancora paura e sgomento. Un altro omicidio è stato commesso questa notte, le autorità non hanno ancora confermato l'identità della vittima. Di circa trenta, trentacinque anni, l'uomo è stato trovato morto a causa di un forte colpo alla schiena, l'arma del delitto, non rinvenuta, potrebbe essere un'ascia o un utensile simile; lasciato dinnanzi la piazza delle Madonie, attaccato dai polsi alla fontana che sono stati recisi, e il corpo trovato in terra. Lo Squarciatore ha colpito ancora. Per ora non...", il volume del televisore continuò a scemare dentro la mia testa fino a ridursi a un brusio distante. Brividi mi attraversarono il corpo che cominciò a formicolare e tremare, finché non svenni.

Quando mi risvegliai trovai i miei seduti accanto a me e Kimberly che mi stava di fronte in lacrime, era venuta a casa mia per scusarsi del suo comportamento, non sopportando di essere risentita con me.

– Heloise, bambina mia, stai bene?
– Credo di sì.
Quando si furono tutti un po' tranquillizzati, mamma e papà si allontanarono nell'altra stanza:
– È normale, dopo ciò che ha vissuto, reagire così. Ha sentito un'altra notizia legata a un omicidio simile a quello cui si è trovata spettatrice, sta bene non vedi? – la voce di papà che cercava di rassicurare mia mamma si allontanò con loro.

Kimberly aveva gli occhi rossissimi, si alzò e venne ad abbracciarmi, poi sfoderò dalla tasca un foglietto e me lo mostrò.
Raffigurava un albero spoglio, come quello dei miei sogni, un lago di sangue e un uomo in terra morto per un colpo d'ascia. Mi dovetti risedere per evitare un'altra volta un mancamento.

Piangendo cercò di spiegarmi: – Non è la prima volta, ma stavolta è stato diverso – restai concentrata su di lei stringendole la mano – Improvvisamente sento il desiderio irrefrenabile di disegnare e la mia mano scrive fuori dal mio controllo, non posso fermarla, così che ciò che vedo in maniera confusa nella mia mente, diventa sempre più chiaro sul foglio, tranne se qualcuno non mi interrompe.

– Ecco spiegate le pupille bianche oggi.
– Le pupille bianche?
– Sì, non te l'ho detto perché pensavo di essermelo immaginato, ultimamente non so più cosa è reale o cosa non lo è, ma Kim, sembravi posseduta, in una specie di trance, mi hai davvero spaventata. Ecco perché oggi insistevo tanto sul fatto di voler detto cosa stessi facendo durante l'ora di letteratura.

–  Il morto. Giuro non ne sapevo nulla fin quando non ho sentito il notiziario pocanzi.
– Ti credo.

Ecco perché si trovava in casa mia, aveva sentito anche lei il telegiornale. 
Mi strinse forte e fece un lieve sorriso, o quello che poteva essere definito tale in una situazione di forte perplessità e sgomento come quella.

– Stanotte ho sognato la Piazza.
Lo sguardo di Kimberly si paralizzò. Le spiegai tutto, ogni dettaglio, cercando di essere il più concisa possibile.

Era come se fossimo complici di quella morte, non perché fossimo state noi a compierla, ma perché lo avevamo visto e non avevamo fatto nulla per impedirlo.

Impallidite.

–  Pensi che sia successo perché abbiamo denunciato lo scorso omicidio e adesso vogliano farcela pagare?
– Farcela pagare? Chi? Come potrebbe?
– Lo so, non ha senso. Ma nemmeno vedere un omicidio prima ancora che esso accada ha senso, Hel.
–  Forse è colpa sua, del ragazzo intendo... Lui era là, sa che noi lo abbiamo visto e vuole intimidirci.
– Seria? Come potrebbe indurci a sognare o a disegnare? Non è possibile. Kim, calmati, ragiona.
– Se capitasse di nuovo... dovremmo correre dalle autorità, cercare di fermarlo, fare qualcosa.

Kimberly aveva ragione, ciò che era successo, per quanto straordinariamente sorprendente e insensato fosse, poteva essere d'aiuto, molto d'aiuto. Per quanto mi augurassi che ciò non succedesse più, per non rivivere quel calvario e sentire quasi mio il loro dolore, dovevo pensare meno egoisticamente e accettare il fatto che non poteva essere solamente una coincidenza quello che ci era accaduto, era qualcosa di surreale.

– La mano che dici di aver visto, quella che afferrava l'ascia, sapresti descriverla meglio di così?
– No, penso che abbia visto il momento esatto in cui ha esalato l'ultimo respiro. Come fosse l'iconografia della morte che venisse a prenderlo.
– Dovremmo... dire qualcosa?
– Sì, ma non possiamo. Non ha senso, ci prenderebbero per due ragazzine impaurite che vogliono solo essere attenzionate. Non abbiamo niente, se non un disegno e un sogno, ci prenderebbero per delle fanatiche.
– Hai ragione.

☽𓆩♛𓆪☾

Due chiacchere con Moon:

Capitolo più lunghetto, stavolta vi ho fatto penare un po'. 

Occhi bianchi, possessioni?
Cosa mai potrebbe essere successo alla dolce Kim?
Perché le fanciulle si ritrovano a sapere in anticipo delle prossime mosse di questo fantomatico Squarciatore?

A voi le ipotesi.

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