VIII

L'ora di pranzo giunse stranamente rapida quel giorno, nonostante le due ore di matematica con la pancia vuota e gorgogliante. Quando l'ultima campanella suonò, tutte le ragazzine lasciarono rumorosamente i loro posti e, in un cicaleccio vivace ed eccitato, circondarono Hazel Anderson. 

Ruth si defilò, silenziosa. Si diresse da sola verso il refettorio, per recuperare il proprio cestino del pranzo. La maggior parte delle bambine dell'istituto si affidavano alle sue cuoche, ma Ruth preferiva la cucina della signora Tansy, che con tanto amore le faceva trovare ogni mattina il cestino di vimini pieno. Quando una delle domestiche delle cucine glielo diede, si diresse verso il portone che dava sul parco del Santa Barbara. Durante l'inverno sarebbe stata costretta a mangiare con tutte le altre, ma il tempo era ancora sufficientemente bello per approfittare del sole e della natura. Si accomodò sul suo muretto preferito, a fianco di un maestoso platano che stava ormai perdendo tutte le foglie. Gli stivaletti di Ruth scricchiolarono sul letto croccante. Diede un calcio e le foglie si alzarono in volo come un piccolo stormo di allodole. 

Anche con lei era successo ciò che ora accadeva ad Hazel. Anche lei era stata circondata da tutte quelle scimmiette curiose, neanche due mesi prima. Avevano saputo, chissà come, che i signori Eglantine avevano adottato una ragazzina della loro età. Ruth pensava che volessero fare amicizia con lei, ma si era semplicemente trovata annegata in un mare di domande sul perché avessero scelto lei, sul suo passato e sul perché fosse un'orfana. Quando lei non aveva risposto - non lo sapeva, non se lo ricordava - loro si erano stancate o infastidite. Da quel momento avevano iniziato ad ignorarla o, come faceva Mary Rose, ricordarle che era solo per puro caso che feccia come lei fosse capitata al Santa Barbara. Per questo, Ruth preferiva pranzare sola. Hazel aveva un aspetto simpatico, certo, ma lei ben sapeva che esistevano classi sociali ben precise e la figlia bastarda di una fattucchiera non avrebbe mai potuto sedere a fianco della figlia del nuovo reverendo del paese. 

Fattucchiera.

Per un momento, mentre apriva il cestino, si sentì in colpa per aver ripetuto nella sua testa quella parola. Donne dalla lingua avvelenata, che avevano chiamato lei bastarda, avevano definito così sua madre. Perché lei avrebbe dovuto crederci? Cosa le aveva fatto di male Elysia? Lei ed Ezrel le avevano dato una casa, una famiglia e cercavano di farla sentire al sicuro. Le avevano permesso di studiare e la trattavano come una figlia vera e propria. Se quella era una fattucchiera, allora nessun cittadino di St. Paul by-the-river si sarebbe salvato dall'inferno. 

Però Elysia era così strana. C'erano così tanti segreti che la circondavano, così tante cose diverse dalle altre donne del villaggio. Come era arrivata lì? Come aveva conosciuto Ezrel? Perché la gente sembrava cercare il suo aiuto e il suo consiglio?

Nella sua testa non riusciva a dimenticare l'immagine della tromba degli angeli e del colore delle sue foglie. Era stato uno scherzo della luce, in quella giornata grigia, o era successo qualcosa per davvero?

C'erano così tante domande. Così tanta paura e incertezza. I suoi incubi non le davano tregua, i suoi pensieri nemmeno. Quando diede il primo morso al pasticcio di carne che la signora Tansy aveva preparato quella mattina, affinché arrivasse a scuola ancora tiepido, quasi non si rese conto di quanto fosse buono. 

"Ciao".

Ruth trasalì così bruscamente che il pasticcio le andò di traverso. Si mise a tossire e briciole volarono in ogni dove. Al suo fianco, Hazel scoppiò a ridere, mentre si sedeva sul muretto. 

"Non volevo ucciderti".

Ruth tentò di darsi un contegno, anche se sentiva di essere arrossita fino alla punta dei capelli. 

"Scusa" mugugnò, cercando di masticare e deglutire la pasta il più velocemente possibile. "Non ti ho sentito avvicinarti".

"Sì, eri abbastanza pensierosa" concordò la ragazzina, divertita. Anche lei aveva un cestino come il suo. Ne tirò fuori una fetta di pasticcio simile a quella di Ruth, ma con un aspetto scialbo e grigiastro. Hazel fece una smorfia annusandolo. 

"Oh no, di nuovo fegatini di pollo. Mia sorella non ha nemmeno un po' di fantasia!" esclamò contrariata, iniziando a mangiare. Storse ancora di più il naso, aggiungendo a bocca piena: "Freddo e senza sapore. Nessuno se la sposa per questo!"

Ruth sbocconcellò il suo pranzo per qualche secondo, chiedendosi perché Hazel fosse venuta a cercarla e stesse tentando di fare conversazione con lei. Poi, rendendosi conto di sembrare maleducata, domandò: "Hai una sorella maggiore?"

"Ho tanti fratelli. Abigail è la maggiore, però poi ci sono Robert e Charles. E dopo di me ci sono Polly, Darius e Sheila".

"Oh".

"Sì, siamo troppi. Ed Abigail cucina per tutti! Pensa che fortuna! Spero che mio padre trovi presto una nuova governante, perché altrimenti moriremo di fame!"

Ruth sorrise appena. "Noi abbiamo una brava governante".

"Si vede, il tuo pasticcio non è grigio come il mio" commentò Hazel, con una faccia così imbronciata da essere buffa. Ruth cercò di non ridere.

"Avresti potuto pranzare nel refettorio. Tutte le altre compagne sono lì".

"Piuttosto che stare con quelle matte, mi mangio questo maledetto pasticcio".

"Matte?"

Era sinceramente stupita da quel commento. Si chiese se Mary Rose avesse fatto uno dei suoi tipici commenti fuori luogo. 

"Ma sì... ci conosciamo da cinque minuti e pretendono di sapere tutto della mia vita! Dove andavo a scuola, perché mio padre è stato scelto per venire qui... a loro cosa importa? Tipiche pettegole di paese, ecco cosa sono!"

Ruth non commentò, anche se dentro di sé trovò quel commento quanto mai azzeccato. Sussultò quando Hazel aggiunse: "Scommetto che successe anche con te".

"Che mi interrogassero? Sì".

"Mi hanno fatto sapere con molta solerzia che sei adottata".

Ruth strinse le labbra, anche se cercò di non darlo a vedere. 

"Sì".

"Non è mica un'offesa. Anzi, devi essere una ragazzina eccezionale per essere stata scelta. I genitori non se li scelgono i figli e quando possono, sicuramente scelgono i migliori. Non credi?"

Hazel si aprì in un sorriso che le illuminò il viso. A Ruth ricordò un acero dalle foglie rosse colpito improvvisamente dai raggi del sole autunnale. Rispose al sorriso, anche se deglutì a fatica quelle parole. 

"Da quando vivi con loro?"

"Da... maggio".

"Ti trattano bene?"

Ruth pensò al salotto privato, alle risate di Elysia, al suo tocco gentile sulla fronte prima di andare a dormire. Pensò alla mano di Ezrel attorno alla sua, al pelo morbido del signor Sandy, al giardino e alla signora Tansy. 

Annuì. Poi aggiunse: "Mi amano, credo".

"L'unica cosa che conta, no?"

Ruth tentò di ripeterselo. L'unica cosa che conta

All'improvviso scoprì che pranzare in compagnia non era così male. 

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