Capitolo terzo

"Perché non cresce l'erba?" chiese James a Isaac mentre si sedevano per terra, uno di fronte all'altro. James osservava il terreno spoglio con curiosità e un pizzico di preoccupazione. Isaac, invece, abbassò lo sguardo, fissando il suolo arido e incrociando lentamente le gambe, come se stesse cercando le parole giuste.

"L'erba cresce" rispose Isaac dopo un momento di silenzio, la sua voce calma e riflessiva. "Ma marcisce subito e si decompone" aggiunse con uno sbuffo, come se il pensiero stesso lo infastidisse.

James lo guardò, e annuì lentamente, cercando di comprendere appieno le sue parole. "E la terra non diventa nociva?" chiese, la sua voce tradiva una leggera ansia.

Isaac gli rivolse uno sguardo torvo, scuotendo la testa con un'espressione di disapprovazione. "Ti avrei fatto sedere qui se il terreno avesse potuto ucciderti?" chiese retoricamente, lasciandosi sfuggire una piccola risata mentre parlava, cercando di alleggerire l'atmosfera.

"Forse sei un pazzo," disse James stringendosi nelle spalle, un sorriso incerto sulle labbra. "Non so nulla su di te, quindi... chi potrebbe dirlo" aggiunse, e le sue labbra si incurvarono verso l'alto in un sorriso ironico.

"Hai ragione" rispose il ragazzo biondo, alzando lo sguardo su James con un'espressione seria. "È di questo che parleremo oggi allora."

James corrugò la fronte e socchiuse leggermente gli occhi, cercando di capire se Isaac fosse serio o meno. "Non conosci nessuno, giusto? Benissimo. Ti racconterò di chiunque tu voglia sapere" disse Isaac con una voce che lasciava intendere che si aspettasse un nome. James, però, non conosceva molte persone, così scosse semplicemente la testa, sentendosi un po' imbarazzato.

"Okay, va bene, partiamo dalle basi: Enid, hai presente Enid?" chiese Isaac, con un tono che cercava di essere rassicurante.

Il ragazzo bruno rilassò i muscoli del viso e rispose: "Sì, la ragazza che prima sembrava volermi uccidere."

Isaac annuì, abbassando nuovamente gli occhi e giocherellando con la terra. "Proprio lei. È il capo delle ragazze, la più tosta di tutti. È arrivata qui insieme al suo fratello gemello, ma lui ha preso il virus ipocrita il primo giorno e al quarto era già andato. La notte gridava come un matto."

James sgranò gli occhi, incredulo. "Andato? In che senso andato? Come ha fatto ad ammalarsi? Perché sono arrivati insieme?" domandò in modo frettoloso, la voce tremante per l'ansia.

Isaac ghignò, posando le sue pupille sul ragazzo dai capelli scuri. "Per quanto riguarda l'essere arrivati insieme, ho solo qualche ipotesi" disse con un tono enigmatico. James raddrizzò la schiena, facendo produrre alle sue ossa qualche rumore quasi impercettibile, come un lieve scricchiolio.

"Credo che sia perché arriviamo tutti qui il giorno del compimento del nostro sedicesimo compleanno" continuò Isaac, "quindi loro, essendo gemelli, non potevano evitare di star qui insieme." Mentre parlava, il suo sguardo si dissolse dal viso dell'altro ragazzo, abbassandosi e perdendosi in un punto nel terreno.

"Invece, riguardo alla malattia... beh, non conosco i dettagli" ammise Isaac, il suo tono diventando più serio. "Diciamo che a quei tempi il capo non era Jonathan, perché non era ancora arrivato. Erano Aldrich e, ogni tanto, Gabriel, ma di quei due non ci si può fidare" concluse con un mezzo sorriso che non raggiunse i suoi occhi.

"Perché non eri tu a comandare?" chiese James, la curiosità evidente nella sua voce. "Ho visto prima Aldrich, tu sembri essere più grande."

"Sono più grande di Aldrich" rispose Isaac, "ma qui, diciamo, le persone non mi adorano."

"In che senso?" insistette James, il suo interesse sempre più acceso, gli occhi spalancati e il respiro leggermente affannato.

Isaac serrò la mascella, i muscoli del viso tesi. Per qualche secondo i suoi occhi si immobilizzarono su un punto indeterminato, come se stesse cercando le parole giuste. Poi, con uno sbuffo, tutta quella tensione parve scomparire, come un pallone che si sgonfia lentamente. "Hai presente tutte le istruzioni che hai dovuto leggere prima di arrivare qui? La regola e tutto il resto?" chiese, il suo tono ora risultava più rilassato.

James annuì, lo sguardo fisso sul volto del ragazzo, cercando di cogliere ogni sfumatura delle sue espressioni.
"A me non hanno detto nulla" confessò Isaac, la sua voce carica di un'amarezza sottile.

Il ragazzo bruno corrugò la fronte, le sopracciglia che si avvicinavano in un'espressione di confusione totale. Non sapeva cosa dire. Non aveva neanche capito cosa significasse.

"La regola non vale per me, James," disse Isaac, rispondendo ad una domanda che non era stata pronunciata, scrollando le spalle, come se volesse minimizzare l'importanza delle sue parola. "Io posso dire quello che voglio e non mi succederà mai nulla. E gli altri lo trovano ingiusto. Ma loro non conoscono tutta la storia." Dopo aver pronunciato l'ultima frase, il biondo alzò gli occhi e fu in quel momento che incontrò quelli di James.

E fu in quel momento che lui ebbe di nuovo quella sensazione, il corpo gli si riempì di mille brividi, come se un'onda di freddo gli attraversasse la spina dorsale. Era come se James stesse guardando qualcosa che non era davvero lì: come uno spirito. C'era qualcosa di inquietante in quel ragazzo biondo, qualcosa che non riusciva a decifrare. Il silenzio tra loro si fece pesante, carico di tensione non detta, come se l'aria stessa fosse diventata più densa.

"Che cosa intendi con 'non conoscono tutta la storia'?" chiese James, cercando di mantenere la voce ferma nonostante il cuore gli battesse forte nel petto, ogni battito un tamburo che risuonava nelle sue orecchie.

Isaac sospirò, abbassando lo sguardo, come se stesse cercando di trovare il coraggio di continuare. "Ci sono cose che è meglio non sapere, James. Cose che potrebbero cambiare il modo in cui vedi questo posto, le persone che ci vivono e... te stesso."

"Ma io voglio sapere," insistette James, la determinazione nella sua voce che cresceva con ogni parola. "Non posso vivere qui senza capire cosa sta succedendo."

Isaac lo guardò per un lungo momento, come se stesse valutando se fidarsi o meno. Alla fine, annuì lentamente, come se avesse preso una decisione difficile. "Va bene," disse con un tono grave, quasi solenne. "Ma non ora. Sono l'unico che può raccontarti certe cose, ma tu sei appena arrivato e non vorrei farti venire un infarto il primo giorno."

James sentì un nodo allo stomaco, ma non distolse lo sguardo da Isaac. "Quando allora?" chiese, cercando di mantenere la calma. "Quando mi racconterai tutto?"

Isaac si posò sui gomiti, il naso rivolto al cielo, come se volesse posticipare il momento di rispondere a quella domanda. "Presto" disse, ma il tono della sua voce non era del tutto convincente. "Devi solo avere un po' di pazienza."

James annuì, anche se dentro di sé sentiva un'irrequietezza crescente. "Va bene" disse, cercando di mascherare la sua frustrazione.

"Dovresti tornare dagli altri" disse Isaac "Non vorrai per caso che ti identificassero come l'amico del privilegiato, no?" Chiese alzando un sopracciglio in tono scherzoso.

James gli sorrise, poi si alzò lentamente, scrollandosi la terra dai pantaloni. "Va bene, tornerò dagli altri" disse, cercando di nascondere la delusione nella sua voce. "Ma non dimenticare la tua promessa, Isaac."

Isaac annuì, un sorriso enigmatico sulle labbra. "Non preoccuparti, James. Non dimentico mai una promessa."

Mentre James si allontanava, sentiva gli occhi di Isaac fissi sulla sua schiena, come se il ragazzo biondo stesse valutando ogni suo passo. Si strinse nelle spalle accelerando gradualmente, sentendosi a disagio.

Si diresse verso il capannone che gli aveva mostrato prima Jonathan, intento a chiedere maggiori informazioni a qualcun'altro; ma, una volta arrivato vide un'onda di ragazzi uscire frettolosamente dall'edificio. Ognuno con un grande sorriso stampato in faccia.

Mentre cercava di capire cosa stesse succedendo qualcuno gli toccò una spalla facendolo sussultare.

"Dove sei stato?" chiese una voce che non gli era familiare ma che riconobbe comunque. Era Enid che lo fissava con uno sguardo che avrebbe potuto uccidere

"Ero con Isaac" rispose James, cercando di mantenere un tono casuale. "Lì dentro la situazione era diventata troppo stressante"

Enid alzò un sopracciglio, il suo sguardo penetrante. "Da domani cerca di passare meno tempo possibile con Isaac" disse con un tono duro

James annuì, sentendo un brivido lungo la schiena. "Si, okay. Ci penserò su"

Enid rilassò i muscoli del suo viso e la sua voce divenne,  improvvisamente, meno aggressiva. "Hai qualche domanda da farmi? Qualcosa che Isaac non ti ha detto?"

James la guardò negli occhi, cercando di capire se quella ragazza gli piacesse oppure no. "Voglio sapere di più sul virus ipocrita" chiese, la sua voce appena un sussurro.

Enid sospirò, il suo sguardo si intristì immediatamente "È una malattia terribile. Colpisce rapidamente e senza preavviso. Molti di noi hanno perso persone care a causa sua."

"E c'è una cura?"

Enid scosse la testa. "Non ancora. Ma stiamo lavorando per trovarla. È per questo che siamo qui."

James rimase in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Se dovevano scoprire qualcosa di importante a cosa serviva mettere una limitazione fatale come lo era la regola? Era forse qualcosa creato per limitare le interazioni sociali e ottimizzare il lavoro? Nessuna ipotesi aveva abbastanza senso. Se proprio dovevano fargli analizzare piante marce potevano farglielo fare anche semplicemente a casa sua. Come se fosse il suo lavoro.

"Quindi a cosa serve la regola?" Chiese allora, convinto che non avesse senso.

Enid sbatté un paio di volte le palpebre, come se, invece, secondo lei la risposta era più chr ovvia. "Ovviamente, è perché un cervello sotto pressione lavora meglio, l'ansia incrementa i risultati"

"Ed è vero che se riveli qualcosa muori?"

Enid annuì "Abbiamo perso più persone così che a causa del virus" gli rispose. Poi sussurrò qualcosa di impercettibile a denti stretti. Qualcosa che James non osò chiederle di ripetere.

Rimase poi in silenzio, cercando di processare tutto ciò che Enid gli aveva appena rivelato. La gravità della situazione lo colpì come un pugno nello stomaco. Si sentiva sopraffatto, ma allo stesso tempo determinato a fare qualcosa per aiutare.

"Come posso essere utile?" chiese infine, la sua voce ferma nonostante il tumulto interiore.

Enid lo guardò con un misto di sospetto e sorpresa. "Per ora, non devi preoccuparti di nulla" disse con un tono rassicurante. "Inizierai a lavorare domani. Questa sera, cerca di riposarti e di rilassarti un po'."

James annuì, sentendo un leggero sollievo. "Va bene" rispose, cercando di nascondere il nervosismo che ancora lo attanagliava.

Enid gli fece un cenno con la testa. "Vieni, andiamo a cenare. Jonathan ti avrà detto qualcosa riguardo le cucine, giusto?"

James annuì, anche se non era completamente vero. Non voleva nuove informazioni quando ancora non era riuscito a processare quelle vecchie.

Enid si voltò e, a passo svelto, andò nella stessa direzione in cui si erano diretti anche tutti gli altri ragazzi. James la seguì un po' intimorito, facendo passi lunghi per poterle stare dietro.

Arrivarono all'edificio in meno di un minuto e senza dargli neanche il tempo di guardarsi intorno Enid guidò James sul retro dove trovò tantissimi ragazzi e ragazze seduti su tavoli da Pic nic di legno. Ognuno con un panino in mano.

Enid gli lanciò uno sguardo poi si avvicinò ad un tavolo lasciando James lì impalato. La ragazza si sedette accanto a Jonathan e Aldrich ma il suo tavolo conteneva altri ragazzi di cui James non sapeva i nomi.

Istintivamente James pensò di andare lì, sperando di non dover più presentarsi a molte persone. Quindi con passo incerto si avvicinò a loro. I suoi occhi, nel frattempo, osservavano gli altri tavoli. Erano tutti pieni di ragazzi, i posti liberi scarseggiavano.

Poi il suo sguardo si posò su un tavolo, era leggermente malandato, gli mancava  addirittura qualche asse. Non vide chi ci fosse seduto perché un paio di ragazzi, sui 17 anni gli ostruivano la vista. Si erano fermati proprio lì davanti e stavano parlando, avevano uno strano comportamento.

Uno dei due si abbassò e con la mano che non teneva il panino prese un pugno di terra e, facendo ridere il suo compagno, lo scaraventò addosso a chiunque fosse seduto al tavolo.

Fatto ciò i due si allontanarono andando a sedersi ad un tavolo poco distante.
Fu in quel momento che James vide chi era il ragazzo seduto a quel tavolo.

E chi poteva essere se non Isaac?

Il ragazzo aveva il volto sporco di terra e il dito medio alzato in direzione dei due ragazzi. James si bloccò a guardarlo mentre abbassava lo sguardo e si puliva il più possibile la faccia. Sul tavolo posato davanti a lui c'era un foglio: il panino, invece, era ancora completamente incartato e posato un po' più lontano.

James lo fissò per cinque lunghi secondi poi si decise e, tentennante. Si avvicinò al suo tavolo

"È libero questo posto?" Gli chiese, gli occhi completamente immersi in uno sguardo dolce e sulla bocca un sorriso scherzoso.

Isaac alzò la testa e con un espressione di totale disapprovazione scosse la testa "Non dovresti sederti qui, la gente vede tutto e ricorda tutto" disse

James si sedette di fronte a lui, il legno scricchiolò sotto il suo peso. "Ci farò l'abitudine" rispose scrollando le spalle.

Isaac gli sorrise poi abbassò di nuovo lo sguardo sul foglio. Era un disegno, un bellissimo disegno, completamente ricoperto di terra. Doveva essere un paesaggio ma James non lo riconobbe. Dove viveva quando era ancora Steven non vedeva mai grandi paesaggi

"Lo hai fatto tu?" Domandò indicando con un cenno il disegno

Isaac annuì "È il cratere di un vulcano, spento" gli rispose "Io vivevo lì prima della fase uno"

"Cos'è un vulcano?" chiese James corrugando le sopracciglia.

"Un vulcano è una spaccatura nella crosta terrestre da cui fuoriescono magma, gas e cenere," rispose Isaac, guardando il disegno. "Dai crateri esce una specie di liquido incandescente che ti ammazza in un secondo. Si chiama Lava."

James annuì, ancora un po' confuso. "E tu ci vivevi?"

Isaac sorrise. "Non c'era più lava, era un vulcano spento"

"In quale parte della città vivevi? Io non ricordo questi vulcosi" disse James con un sopracciglio alzato

"Io vivevo fuori dalla città"

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