𝐗𝐗𝐗𝐕𝐈𝐈

Numero 3 solleva Emily dal divano, allenta il nodo alle caviglie quanto basta per consentirle di camminare e la spinge, tenendola per un braccio, a uscire dalla catapecchia per guardare la loro opera d'arte medievale. Un grosso palo robusto e in legno, vecchio di chissà quanti anni e costruito in passato per chissà quale funzione, è stato circondato di rami più o meno spessi e pungenti. Lì sarebbe stata legata e le sarebbe stato dato fuoco. E ora che lo vede, Emily non può fare a meno di avvertire la minaccia come spaventosamente reale. Pensava di morire in altro modo, per mano di qualcuno di più esperto e motivato, eppure del Pittore non sembra esservi traccia. Per un secondo contempla l'idea che avessero ragione. E se fosse Arthur il Pittore? In fondo, suo padre continuava a sbagliare e il fatto che possa succedere di proposito non è così improbabile. Così come non sarebbe improbabile se John non sapesse nulla della sua colpevolezza. Questo spiegherebbe perché Arthur non sia ancora riuscito a trovarla. O forse Emily sta semplicemente cominciando a perdere la testa, a valutare persino l'idea che fosse suo padre ad aver inscenato tutto. Ma quanto folle sarebbe dovuto essere?

"Io la sollevo e tu le fissi le mani dietro il palo. Pronto?"

Numero 3 piega le ginocchia, circonda le gambe di Emily con entrambe le braccia e la solleva da terra, infilandosi nel solo punto privo di rami e tenendola ferma contro il palo. È senza dubbio il più forte dei cinque, quello più allenato e più robusto, con due spalle che fanno da armadio. Nel frattempo numero 2 slega il nodo dietro la sua schiena per portare la mani a giungersi al di là di quell'asta di legno. Pessima idea, pensa Pel di carota mentre prende un bel respiro. Chi sarebbe se non tentasse? Non di certo una Woodroof.

Una volta liberato uno dei polsi, Emily strattona il secondo dalla presa di numero 2, porta in avanti entrambe le mani e con una si aggrappa ai suoi ciuffi biondi tirandoli con forza fino a che non avesse sentito i capelli strapparsi dalla testa. I suoi amici naturalmente corrono in soccorso accalcandosi su loro per tenerla ferma, ma in quella posizione le viene facile sfuggire alla maggior parte delle mani e tanto le basta a reagire meglio. Numero 2 si allontana, si riprende da quell'attacco mentre i quattro rimasti trovano spazio per accanirsi sul suo corpicino, ora raggomitolato ai piedi del palo, tra i pungenti rami che le scivolano addosso facendole sia da scudo che da trappole. Ma chissà dove, Emily trova la grinta di un animale feroce: un urlo acuto risuona tra gli alberi, un grido di battaglia che accompagna uno dei rami al suo fianco contro la faccia di numero 1. Scalfito e con aria tragica di un poppante si fa subito da parte toccandosi il viso con entrambe le mani. Ed è da quella stessa posizione che Emily spinge i piedi, ancora legati da un nodo lento, contro il cavallo dei pantaloni di numero 2. Il ragazzo si piega in avanti, tenta di reagire ma un secondo ramo lo prende in pieno.

Numero 5 è così confuso, perso, a malapena si muove nel suo angolino, mentre il 4 prende il ramo tra le mani di Emily e comincia a strattonarla fuori da quel groviglio di rami che loro stessi avevano allestito. Emily ci si aggrappa, lascia che lui la tiri fuori. Lascia strisciare le caviglie sul terreno fino a che il nodo non si allenta ulteriormente e, quando identifica il punto da sciogliere, ci si avventa con entrambe le mani. Rapida e libera, viene colta in fallo da numero 3, ora di nuovo pronto a reagire.

Il biondo le sale letteralmente addosso, caricando un pugno e puntando al suo petto. Emily avrebbe preferito la colpisse in faccia perché, quando le nocche premono con violenza sulla cassa toracica, i danni sono più d'uno: il respiro viene completamente tagliato, portando il suo corpo a tremare come se fosse fatta di gelatina, il seno sinistro, quello colpito, seppur in piccola parte, duole come non credeva fosse possibile. La confusione si impadronisce di lei per un istante, ma non è abbastanza per fermarla. Quand'è diventata così feroce? Da dov'esce fuori tutta quella grinta? Adrenalina?

Pel di carota ricorda le lezioni di autodifesa che suo padre le aveva impartito anni prima. È grazie a una di quelle mosse che riesce a far perno sul pavimento per ribaltare la posizione. Ha sempre creduto che in una situazione di pericolo non avrebbe avuto modo o tempo di mettere in atto quei gesti, ma la freddezza con cui ha imparato a gestire gli eventi l'ha portata ad affrontare quell'armadio di ragazzo nonostante il tremolio che ancora le scuote il corpo.

"Avete sentito? Che cos'è stato?" numero 5 trema almeno quanto lei, ma dallo stesso punto da cui non si schioda da interminabili secondi. Si guarda attorno ed Emily vorrebbe poterlo vedere con i suoi occhi, troppo concentrata a scaricare una furiosa quantità di pugni contro la faccia del suo avversario, sotto gli occhi increduli e attoniti dei compagni.
"Blake, cazzo, sta zitto!" lo rimprovera numero 4, offrendo a Emily un nome che comunque non riesce a sentire. Il fischio nelle sue orecchie è così assordante.

"Ma c'è qualcosa!" insiste Blake. Punta il dito contro il bosco fitto, ormai quasi completamente buio.

Numero 3 cede, non ha più le forze di combattere contro una ragazzina più piccola e minuta di lui. Lascia cadere entrambe le mani sul terreno, col viso coperto di sangue respira a fatica, mentre Emily scopre di non riuscire più a fermarsi. È solo allora che uno sparo rimbomba tra gli alberi. E sebbene questo lei sia riuscita a sentirlo, non ha comunque accennato a spostarsi da sopra il corpo agonizzante del ragazzo. Non fino a quando i ragazzini non sono scappati abbandonandolo tra le sue nocche insanguinate e dei passi più pesanti non l'hanno raggiunta. Un braccio circonda il busto della rossa, ora concentrata a liberarsi dalla presa. Ma è stanca e l'uomo alle sue spalle è più forte dei ragazzini con cui se l'è vista finora. La tiene ferma senza troppa fatica, parlandole finalmente e tentando di calmarla come può.

"Sono io. Tranquilla, sei al sicuro."

Emily lo riconosce. Sospira e rilassa i pugni. Si lascia andare contro la presa sicura dell'uomo che la sorregge. Per poi sentire le parole più rassicuranti che le avrebbe potuto rivolgere. "Ti riporto da tuo padre."

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