𝐗𝐗𝐗𝐕

Non il luogo più intelligente in cui portare Emily, questo è certo. Eppure, una volta fatta uscire dal bagagliaio e lasciato che riprendesse aria, pel di carota si è ritrovata nel fitto bosco, oltre il confine di Sherstone, davanti a una catapecchia abbandonata e pericolante. Perché è stata una mossa poco furba? Di sicuro i cinque – ora che li vede in faccia può dirlo – avranno pensato che non li avrebbe sentiti né visti nessuno, inoltre è una zona fuori dalla giurisdizione di suo padre. Ma è dannatamente vicina a casa. Letteralmente due passi. E come se non fosse abbastanza, pel di carota conosce quel luogo meglio di quanto conosca casa sua; è esattamente lì che ha imparato a cacciare da bambina.

Era questo il loro piano? Emily li prenderebbe a pugni se solo non fosse impegnata a guardarli con sdegno. Si concede persino una battuta che le costerebbe una ramanzina da John, se solo potesse sentirla.

"Sentite, facciamo in fretta. Il quindici ho un impegno importante."
"Ma questa è scema." Dice uno di loro, indicandola mentre si rivolge agli altri.
"Sai chi siamo, troietta?" dice l'altro.
"Sì, lui è quello che ho preso a calci." Afferma puntando a sua volta il dito contro colui che le aveva dato della scema. "Voi quattro siete gli idioti che non sono riusciti a evitarlo."
"Non mi sembri nella posizione di fare battute, troietta." Continua il secondo. Sembra così sicuro di sé. Come potrebbe mai dimenticarsi quella faccia? Certo che sa chi sono; tutti amici di quel coglione di Wesley. E quindi? Ora che accade? La famigerata caccia alle streghe di cui alcuni di loro avevano parlottato nei corridoi della scuola? Tutto ciò è frustrante, Emily ha cose più urgenti da fare. Si rendono almeno conto di cosa hanno interrotto?

"Sei nella tana del lupo cattivo." Sempre il secondo di loro, si rivolge a lei con tono forzatamente teatrale e per nulla minaccioso. Ci prova. Se solo sapesse quanto sia convinta – nonostante il fallimento della zucca – di essere appena uscita dalla vera tana del lupo cattivo, chissà che penserebbe. E chissà se Josh l'ha vista o sentita mentre la rapivano. No, impossibile. Non ha urlato nemmeno, hanno fatto più baccano quei cinque e poi erano già troppo lontani dalle finestre di quella casa. Solo chi l'ha chiamata sa. E, se non hanno interrotto la comunicazione, anche Arthur e Rogers ne sono al corrente.

"Basta, falla finita." È un terzo ragazzo a prender la parola. Dev'essere la mente dell'operazione considerando come tutti si fermino sul posto per ascoltare ciò che ha da dire. "Portatela dentro."
"So camminare."
"Allora prego. Prima le signore."

E sebbene Emily faccia cenno al rapitore numero 1 di precederla, a seguito di quell'ordine, proprio numero 3 la esorta per una seconda volta con uno strattone.

Una volta all'interno della casetta abbandonata, i ricordi di Emily si sovrappongono con quelli di quando era più piccola. Non è che passasse molto tempo all'interno di quella fatiscente abitazione dimenticata da Dio, però due o tre volte ci aveva messo piede per curiosità. Beccandosi un rimprovero paterno e una raccomandazione, con tanto di spiegazione sul perché fosse incosciente entrare là dentro, Emily ha potuto vedere a sufficienza da lasciare oggi che le immagini si sovrapponessero.

È cambiato poco. Probabilmente le poche modifiche sono state fatte da quei cinque o da qualche tossico o senzatetto che vi ha abitato temporaneamente – lo si intuisce dal materasso sporco nell'angolo –, ma il luogo è pressoché lo stesso. Stessa sedia distrutta vicino alla porta di quella che un tempo doveva essere una cucina; stesso pavimento impolverato e stessa lampadina fulminata attaccata al soffitto e in procinto di cadere; le migliorie offerte dai cinque rapitori erano un divano chiaramente nuovo, una borsa frigo e un borsone con dentro Dio sa cosa.

"La stai prendendo molto sul ridere. Mi fa piacere, ma non so quanto riderai tra poco."

Perché Emily crede di sapere cosa accadrà? Forse perché ha notato l'ultimo oggetto che stona con l'ambiente vecchio e sporco di quell'abitacolo: una tanica bianca priva d'etichetta.

"Ti chiederai perché sei qui. Dico bene?" lei si limita ad annuire, in effetti interessata al motivo che l'hanno spinta a portarla lì. E allora numero 3 prosegue sedendosi al centro del divano. "Wesley è sparito. Credevamo stesse male, così ci è stato detto e così credevano i suoi genitori. Ma quando poi la madre ha provato ad aprire la porta di camera sua e l'ha trovata chiusa a chiave, si è allarmata. La povera donna ci ha chiamati, ci ha chiesto se sapessimo dove fosse finito, se fosse con noi. Le abbiamo detto la verità: che no, non era con noi, ma che avevamo la sensazione che tu fossi coinvolta. E questo ha spinto i genitori di Wesley a non sporgere denuncia per la scomparsa. Vedi... la gente non si fida più di tuo padre, è un pessimo detective, nonostante i riconoscimenti fuori dalla contea... il che ci insospettisce. Se è così bravo, perché non ha ancora trovato il Pittore? Strano, non trovi? Ed è strano anche come le persone con cui tu hai contatto spariscano e vengano ritrovate morte. Persino Thomas Williams... totalmente volatilizzato, non ha lasciato tracce. Un uomo grande e grosso come lui. Chi sarà il prossimo, Emily?"

Tutto ciò che esce dalla bocca del ragazzo è agghiacciante e rende la Woodroof un fascio di nervi estremamente sensibile. Il desiderio di spaccargli la faccia finché non ritira ciò che ha detto su suo padre, prende violentemente il posto della confusione e della paura che finora ha nascosto egregiamente. Numero 3 è convinto delle parole che usa. È accecato dalla vendetta e dalla superbia. Crede che siano questi i mezzi per catturare il Pittore? Crede davvero che Emily possa fare ciò che ha fatto quel dannato killer?
Ma numero 3 non ha finito. Dunque giunge a conclusione, spiegando il suo piano.

"Be', noi siamo stanchi e vogliamo giustizia. Quindi ora, tu, devi pagare. E proprio come una strega quale sei, ti daremo l'unica condanna che meriti: una morte lenta tra le fiamme."

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