𝐗𝐗𝐗𝐈𝐈

"Non capisco. L'ha mangiata?" l'agente Rogers esprime ad alta voce il suo dubbio, ascoltando la conversazione tra il professore e la figlia del capo. La radiolina è appoggiata sul tavolino del bar; lui e Arthur Smith siedono nell'angolo del locale, consumando rispettivamente un caffè e una birra, tipico dei due.

"Stai attento a dove cazzo metti i piedi, coglione!"

Una frase violenta, che giunge alle orecchie dei due agenti senza alcun riguardo. Il ragazzo che l'ha pronunciata, se ne sta in piedi vicino al bancone e ha appena spinto un volto familiare. Arthur lo riconosce subito: Benjamin Tucker. Da quando è stato rilasciato, la condanna a cui è andato in contro sembra esser stata meno clemente di quella che John avrebbe voluto dargli. La gente di Sherstone non ha apprezzato il suo hobby, d'altronde non è che si possa biasimare. E da allora, il necrofilo Ben è stato additato come maniaco, vessato ed emarginato da chiunque incrociasse il suo cammino. Arthur, fosse stato al suo posto, avrebbe già cambiato identità e continente. Ma non Ben.
I due agenti non comprendono le ragioni che lo spingono a rimanere e resistere a quei maltrattamenti, ma a quanto pare sembra più legato a Sherstone di quanto credessero. E chi sono loro per giudicarlo.

"Lo fanno davanti ai nostri occhi?" chiede, ingenuo, l'agente Rogers. Pare scandalizzato dinanzi all'atteggiamento strafottente dei bulletti. Eppure, per Arthur non vi è nulla di sorprendente. Avrebbero dovuto difendere un maniaco necrofilo? A che pro? Il biondo scrolla le spalle in tutta risposta, tornando a concentrare le sue attenzioni su birra e radiolina. "Li lasciamo impuniti?" insiste Rogers.
"E che vuoi fare? Prender le parti di quel pervertito?"
"La situazione potrebbe degenerare. È nostro compito mantenere l'ordine."
"Oh, ma sta zitto! Sei proprio una ragazzina!"

Se non fosse per la voce di Emily che attira la loro attenzione, Rogers passerebbe oltre lo sguardo deluso e si alzerebbe per fermare il litigio. Ma la piccola Woodroof si sta spostando, saluta il professore, lo ringrazia per la chiacchierata e lui fa altrettanto per la fiducia e per... la torta. L'ha davvero mangiata? Che cosa significa? Non è lui il Pittore? Ha mentito a Jane? O hanno semplicemente sbagliato pista?
Quando la porta si chiude e la ragazza comincia a camminare, comunica ai due agenti di esser fuori. Il tono è mutato sensibilmente: Rogers lo definirebbe confuso, deluso, triste persino.

"Che hai nello zaino, huh? La testa di qualcuno? Che ci vuoi fare?" la voce del bulletto torna a farsi forte e prepotente. Benjamin indietreggia, prende lo zaino tra le braccia e lo custodisce stringendolo al petto. "Fa vedere!"

È sufficiente. Rogers non si tiene più, si alza in piedi, con la mano sulla pistola che ha infilata nel fodero della cintura, si avvicina lì, al nucleo di tensione che si è formato in due soli minuti. "Che succede qui?"
Arthur non muove un solo dito. Sospira pesantemente, beve un altro sorso di birra e lascia che Rogers faccia il suo inutile show. Ma è destinato a ricredersi quando Benjamin infila le mani nello zaino ed estrae due oggetti. Nella mano sinistra ha una pistola, nella destra una sorta di pulsante, così simile a un qualcosa di già visto nella sua carriera ma che non riesce proprio a identificare. Accigliato, osserva la scena. Rogers intanto estrae la pistola e la punta contro il soggetto, mentre tutti i presenti meno Arthur si accovacciano sul pavimento e sotto i tavoli, alcuni fortunati vicino alla porta riescono persino a darsela a gambe. Ma c'è qualcosa di diverso in Benjamin, qualcosa che non porta Rogers a classificarlo come soggetto pericoloso, almeno non per le persone in quel bar.

"Metti giù l'arma!" lo esorta l'agente. Ma il movimento che fa Benjamin preannuncia un altro epilogo. Entrambe le mani si sollevano e, mentre Rogers tenta di farlo ragionare, avviene tutto in un solo secondo, tanto che nessuno capisce davvero cosa accade in quei piccoli frammenti di tempo.

"È il volere di Dio."

Una frase che precede un piccolo click, un boato dall'altra parte di Sherstone, uno sparo e il tonfo d'un corpo che cade a peso morto. Con il pollice destro Benjamin ha premuto il pulsante che aveva nella mano, confermando ad Arthur – ormai troppo tardi – che si trattasse di un detonatore. Poi ha portato la canna della pistola alla tempia e con una leggera pressione sul grilletto si è fatto saltare il cervello.

E intanto che Rogers e i presenti tentano di comprendere che diamine sia appena successo, anche solo elaborando le poche informazioni a loro disposizione, Arthur si affaccia alla finestra con una fretta che non lo muoveva ormai da anni. È dunque in quel momento che localizza l'esplosione, vedendo una colonna di fumo e fiamme in direzione della centrale di polizia.

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