𝐗𝐗𝐕𝐈

22 settembre 2021

L'agente Smith sale sulla volante. Il sedile del passeggero è stato riscaldato dal raggio di sole che l'ha colpito per almeno tre ore di fila. Al fianco di Arthur vi è il novellino, la guardia del corpo di Emily. È armato di radiolina. L'agente Rogers prende con la destra il bicchiere di carta che il suo superiore gli porge. Ne beve un sorso, constatando che il cappuccino sia stato corretto. Sembra bourbon a occhio e croce. Con una smorfia, Rogers posa il bicchiere di fianco al cambio, ringraziando il poliziotto del gesto e appuntando mentalmente quell'informazione. È ubriaco? Difficile dirlo. Rogers l'ha visto più fuori controllo che sobrio. Dunque si concentra su altro, indicando la radiolina che posa sul cruscotto.

Emily è furba – e in realtà niente toglie il dubbio che lei abbia capito cosa stia accadendo –, ma a quanto pare non sembra sapere che quell'apparecchio le sia stato dato per uno specifico motivo. Il canale di entrata dell'agente Rogers è stato bloccato, è una costante fuga di informazioni che lui può sentire e disattivare solo se ne ha l'intenzione. Quello d'uscita, al contrario, funziona come di consueto: l'agente preme il pulsante, parla e poi lo rilascia interrompendo la linea che collega la sua voce a Pel di carota.

È questo piano a consentire a John sogni tranquilli... per così dire. Ed Emily è dunque ignara – sebbene Rogers non ne sia convinto – che la conversazione con Thomas sia stata ascoltata fin dall'inizio. Ed è ignara, quindi, del fatto che anche Arthur possa ora sentirla.

"Forse è meglio se ne parliamo al bar." È la voce di Thomas a uscire con timbro metallico. I due agenti si scambiano un'occhiata. Li avrebbero seguiti, d'accordo, ma non è comunque sicuro. Sperano che lei risponda negativamente e, per fortuna, è proprio ciò che accade.

"Non posso. Mio padre non vuole che passi più da quelle parti. Ma in ogni caso, non mi sembra un territorio neutro, con le premesse che mi hai fatto. Prenditi tutto il tempo che ti serve, non preoccuparti di farmi far tardi. Ma parliamone qui, per favore."

"Brava ragazza!" afferma Rogers, preso dall'entusiasmo. Arthur si volta verso di lui, lentamente, per lanciargli un'occhiataccia. John Woodroof lo sta contagiando con la sua morbosa gelosia paterna; dunque, sentire quell'esclamazione uscire dalla bocca del novellino con tanta energia, lo irrita alquanto e pur senza apparente motivo.

"Non c'è un modo di dirlo che lo faccia sembrare giusto. Quindi sarò diretto o non lo ammetterò mai." La cautela che usa Thomas nel fare la sua confessione è inaspettata. O almeno lo sarebbe, se solo Emily e i due poliziotti fossero a conoscenza del suo prepotente approccio con Jane. D'altronde, Pel di carota è figlia del nemico, di un detective... del detective. E questo lo fa visibilmente crollare. "Io e Jane eravamo molto vicini. Molto, molto vicini, se capisci che intendo."
"Ci sei andato a letto?"
Se Arthur e Rogers potessero vedere l'espressione sconvolta di Thomas, scoppierebbero a ridere entrambi. In fin dei conti, la reazione dell'interlocutore della mini-investigatrice somiglia molto alla loro. L'unica a rimanere impassibile è Emily stessa. Per lei non è poi questa grande informazione. "Te lo aspettavi?" domanda Thomas.
"Non l'avevo escluso." Risponde lei con una scrollata di spalle. Poi gli fa cenno di proseguire. E così fa, mettendo le mani avanti.
"Lei era consenziente. O comunque non mi ha mai fermato, né mi ha negato contatti. Anzi, mi cercava. C'è stato un periodo in cui veniva a casa mia per vedere me, non per Anthony."
"Com'è successo?"

Thomas non sa spiegarsi nemmeno questa domanda. È una strana curiosità; se la parte più narcisista di sé gli fa pensare che lo chieda per gelosia, una ancora sana e incontaminata riesce a chiedersi come faccia a essere così sfrontata e se ci sia un doppio fine in quella domanda. "Ha importanza?"
"Non ne ha?" rimbalza quel quesito come se fosse una palla da basket, colpendolo in piena faccia. Ma stavolta ha la frase sulla punta della lingua e gli sfugge ancor prima di pensarci davvero.
"Non se sai cosa sto per dirti."
Lei è comunque più pronta, più rapida. "Allora dillo." L'ha sottovalutata, proprio lui, consapevole del suo gran potenziale. Emily è già aperta al dialogo, quasi sapesse tutto ciò che Thomas le vuole dire.
"Sono stato debole. Non so perché te lo stia dicendo, mi sto scavando la fossa da solo, anzi, ho tuo padre contro e mi è più che sufficiente. L'ultima che voglio contro sei tu."
"Me lo stai dicendo perché non mi mentiresti mai, no?"

Furba, furba Emily. Non è così ingenua come John credeva, ora i due agenti ne hanno la certezza. Sorridono entrambi dinanzi a quella domanda retorica. Lo sta imboccando, lo sta responsabilizzando e legando a sé, sta pretendendo la verità in modo infimo.

"Sì. Non potrei." Conferma lui, abboccando. Poi sputa il rospo... il rospo più viscido e brutto che i tre abbiamo mai visto. "Ho ceduto con lei perché volevo te, ma non potevo averti. E ti somigliava tanto. Hai sedici anni, è assurdo che io possa anche solo pensarlo, per questo motivo mi sono lasciato coinvolgere: non volevo toccare te, perché sono più grande e di molto... e ho sperato potesse funzionare, ci ho pensato più volte, ma temo possa rovinarti la vita e io non voglio rovinare la vita a te."

Ciò che Thomas confessa, fa sentire Emily senza respiro. Non si aspettava esattamente quelle parole, né quei pensieri, anzi è quasi certa che siano bugie e che con Jane ci fosse andato a letto perché fosse Jane e non per controllare i suoi istinti con lei. Eppure, in parte la storia torna, combacia con il forzato rispetto e la forzata assenza di malizia percepiti negli scorsi mesi. Ma il modo in cui lo ammette è disgustoso, le fa mancare le forze in corpo per qualche secondo, costringendola a tremare e a rammentare quanto sia piccola e indifesa in confronto alla grinta che si è sempre illusa di avere. Potrebbe spezzarla in due come un grissino se solo tendesse una mano e verso di lei. Quella consapevolezza la terrorizza, ma solo per un attimo. Torna placida, controllata come sempre è stata. Fredda e implacabile. Vede la verità, vede una Jane usata e abusata da un uomo di trent'anni incapace di far migrare il sangue al cervello.

"Quindi l'hai rovinata a Jane. Era sacrificabile?"

Confessa anche questo, sorprendendo Emily con tanta schiettezza. "In un qualche modo sì, ma non le avrei mai fatto del male intenzionalmente e di certo non fisico. Spero di non aver contribuito in alcun modo al suo malessere, ma credo di averlo fatto perché è arrivato un momento in cui s'è allontanata da me. È stato drastico. Non so bene nemmeno io il motivo e, fidati, ci ho riflettuto a lungo, ho fatto un profondo esame di coscienza quando l'ho vista cambiare."

Come Emily riesca a rispondere lucidamente e gestire quel fiume di parole è un mistero. Nemmeno lei se ne capacita, sebbene senta la voce uscir dalla sua bocca senza minima traccia della paura che sta sperimentando. Si sente una preda, si sente appena una bambina. Aveva ragione suo padre, in fin dei conti. Che brutto doverlo ammettere a sé stessi.

"Dovresti dirlo a mio padre. È utile alle indagini e ti potrebbe scagionare dalle accuse più gravi."

Thomas scuote la testa, rifiuta quell'idea. "Non penso che tuo padre mi voglia per le strade di Sherstone dopo aver scoperto che provo qualcosa per la figlia minorenne. Suona... terribile."

"Non lo è."

Davvero? Non lo è? Forse la forte empatia di Emily comincia a elaborare le informazioni, o forse sta mentendo per metterlo a suo agio e persuaderlo dal tenere per sé dettagli tanto importanti. Fatto sta che in Thomas si legge della speranza.

"No?"
"Non tanto da sbatterti in cella. Al massimo ti esorterà ad andartene da qui."
Ma neanche quella soluzione va bene. "Non posso lasciare Anthony da solo."
"Ah, se la caverà." risponde scettica, lei.
"Non posso lasciare l'attività."
"La puoi lasciare ad Anthony. O a chi per lui. È davvero così importante?"
"Emily." richiama la sua attenzione, nominandola. Mai la sua voce è suonata più agghiacciante, più profonda. La Woodroof può chiaramente sentir vibrare le budella.

"Thomas, sul serio. Dovrai parlarne con lui." prosegue, facendosi forza, pensando che mal che vada almeno ci ha provato. È convinta, in cuor suo, di poterlo indurre nella giusta direzione. E pone anche un confine, un limite di tempo, in cui si alza dalla sedia della mensa per abbandonarlo lì e tornarsene in classe. "Pensaci. Io vado a lezione e quando sarò uscita, se vorrai, ti accompagnerò da lui. Lo prometto."

Ma sebbene lei faccia il possibile per raggiungere il suo obiettivo, quando fa cenno di incamminarsi e solleva la borsa con i libri, la grossa mano di Thomas la blocca. L'afferra per il polso, stringendo come stringerebbe un cobra. Solo in questo esatto momento Emily ha modo di notare quanto avesse contratto i muscoli durante la conversazione. È un fascio di nervi. Se l'avesse visto prima, avrebbe previsto la sua reazione tanto quanto il suo sguardo agghiacciante. "Mi stai stringendo. Lasciami." Ordina con tono deciso, fermo. Ma Thomas è irremovibile, tiene saldo il polso della ragazza mentre la guarda dal basso. Osservando bene può notare anche una luce nei suoi occhi, una sorta di supplica, ma l'aggressività e la prepotenza che emana da ogni poro la fa da padrone in quel siparietto.

Emily può sentire distintamente dei passi poco più avanti, in cima alla scalinata che porta dritta alle aule. Ma non vi bada troppo e strattona il braccio infuocandosi di rabbia. Non le avrebbe fatto del male, ha detto... Emily sembra di tutt'altra opinione al fronte di quella situazione.

"Thomas, per favore, lasciami andare. Mi stai facendo male."

I due poliziotti sono indubbiamente allarmati dall'altro capo della radiolina. Tengono le mani, rispettivamente destra di Arthur e sinistra di Rogers, sulle maniglie degli sportelli, pronti ad agire al cenno di pericolo. Ma è una voce maschile a intromettersi facendo eco in lontananza. Un "Ehi!" ferma gli agenti e attira l'attenzione di Thomas ed Emily. Viene subito riconosciuto da questi ultimi, successivamente la voce viene ricordata da Arthur.

"Lasciale il polso!" ordina il moro correndo in soccorso a Pel di carota. Funziona. Il braccio dolente viene ritirato e Thomas si alza in piedi, colpevole. Indugia e poi si allontana chiedendo scusa. Ma i due poliziotti non si rilassano, nemmeno quando vedono Thomas uscire dalla struttura scolastica e attraversare il parcheggio.

"È il barista." Afferma Arthur rispondendo alla silente domanda del novellino. "Non capisco che cazzo ci faccia un barista in una scuola."
"Stiamo a vedere." sentenzia il novellino, rimettendosi all'ascolto.

"Che stava succedendo?" Matthew, ora vicino a Emily, le prende la mano, sollevandola con la delicatezza di appena tre dita. È il tocco più gentile e morbido che la ragazza abbia mai avvertito da un estraneo. È allarmante quanto si senta al sicuro vedendolo nei paraggi; questo non fa altro che incrementare la percezione della sua vulnerabilità, di quanto facile possa apparire come preda. "Niente, non preoccuparti." risponde, sotto gli occhi attenti dell'uomo, impegnati a esaminare il polso.

"Non mi sembrava niente." afferma a bassa voce, lasciando andare la sua mano. Quando gli occhi incontrano quelli di Emily, può vederci compassione e un accenno velato di scherno. "Non attiri proprio la miglior gente tu, vero?"

Maledetto, non è proprio il momento di far battute. Allora perché sorridono entrambi? 

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