𝐗𝐋𝐕𝐈𝐈

12 ottobre 2021

Quella sì che è una donna che dà nell'occhio. Una ragazza di appena trent'anni, col caschetto nero corto, la frangia e gli occhi verdi col taglio da sirena. Il lungo collo e la figura slanciata, contribuiscono a emanare la sensualità che la caratterizza fin da bambina. Inquietante frase per descriverla, vero? Sì, ma non ha scelto lei di esser destinata a quel tipo di vita fin dalla più tenera età. Molti la paragonano a una giovane Natalie Portman, condannata dal suo ruolo sessualizzante nel film cult Léon. La storia è più o meno la stessa, con la differenza che Lia ha trovato la quiete e la protezione nel luogo in cui meno ci si aspetterebbe di trovarlo.

Vasilisa Yoshima la raccolse dalla strada, le diede pasti caldi e autonomia, liberandola dalle manette della prostituzione. Sebbene ormai Lia fosse parte dell'élite e avesse la possibilità di concedersi solo ai più ricchi dei clienti, non ci pensò due volte a cambiare vita e seguire tante donne che, come lei, avevano scelto la strada della malavita. La protezione di Vasilisa era diversa da quella a cui era abituata: lei la trattava da Dea, le diede persino quel nome volutamente biblico per inserirla in un progetto più grande, in cambio delle cure e del rispetto di una donna, forse, esageratamente femminista in tante occasioni. Quando poi Vasilisa se ne andò, diede l'opportunità a ogni donna della Molniya di decidere se rimanere o andarsene; Lia non ebbe da pensarci, conoscendo l'uomo a cui le avrebbe affidate, Francesco Sabatini, un essere umano raro in questo perfido mondo, capace di risolutezza e crudeltà ma senza alcun dubbio anche di bizzarre e femministe ideologie. Ai tempi del suo reclutamento, fu proprio lui a insistere per entrare nella Molniya: non ha mai, nemmeno una sola misera volta, contestato il volere di Vasilisa e mai ha disconosciuto il suo potere. Francesco vive di quello che per molte delle donne della Molniya è un pensiero quasi malato, estremista e selvaggio: desidera un mondo in cui la gerarchia predominante sia matriarcale, proprio come avviene nei branchi delle sue amate iene. Lia non contesta, d'altronde non ha mai dato segni di squilibrio né ha imposto la sua visione a nessuno, nonostante ne avesse avute di occasioni; ma non nega di aver creduto in più momenti d'aver a che fare con un folle sottomesso.

Non è un caso che Francesco abbia scelto lei per quell'incarico: Lia ha conosciuto Kyle, è un buon tramite ed è fonte di gran sicurezza per il suo capo. Si fida di lei come si fiderebbe di una figlia. Ed ecco perché, consapevole che avrebbe dato nell'occhio in una contea misera come quella di Sherstone, ha comunque insistito affinché fosse lei la mano della consegna.

I piani, certo, erano diversi. L'idea era quella di andare a casa di John, introdurcisi e lasciare la posta sotto il cuscino, al massimo far odorare la sua fatale presenza e spostare l'attenzione del detective su di lei, sulla sua ricerca. Ma non tutto va sempre come previsto e, sia Lia che Francesco, l'avevano messo in conto. Il silenzio tombale all'interno dell'abitazione sembrerebbe dovuto all'assenza di persone, ma quando Lia trova la finestra di una delle camere aperta, si domanda se ci sia qualcuno da cui doversi guardare. Non che le interessi davvero. Anche se John la vedesse, cambierebbe poco ai fini della trama di quella storia.

Lia decide di accelerare comunque la sua visita. Introdotta all'interno della stanza, porta la mano sulla lettera che ha incastrato sotto la cintura, lungo schiena. E proprio in quel momento, il suo meglio si dimostra non essere abbastanza.
La porta si apre, rivelando la figura di un uomo snello, con la classica abbronzatura da cowboy, uno stuzzicadenti in bocca e una pistola sul cinturone che gli circonda il bacino. Chissà perché, Lia se lo aspettava più grasso e volgare e invece lo trova decisamente un bell'uomo.

Il silenzio condito dallo scambio di sguardi è pesante, percepito secondo per secondo, ma non dura davvero così tanto. John la studia, rimane a fissarla come un cacciatore fissa un orso che l'ha colto alla sprovvista. Sembra esser lui l'intruso. La domanda che segue con tono freddo, dichiara i ruoli ad alta voce, smentendo quelli apparenti. "Chi sei?"
Lia non ha molto da perdere a dirglielo, dunque lo accontenta.
"Hermes." Afferma con piccata ironia, fiera del riferimento alla mitologia greca. "E ho un messaggio per te." Così dicendo, Lia allunga la mano verso il detective, porgendogli la lettera piegata in tre parti e infilata nella busta. Lui la afferra, mentre la donna prosegue. "Kyle è piuttosto impegnato, ma ti manda i suoi più cari saluti."

Il nome del detective fa prender aria a John, solleva il suo mento e lo mette sulla difensiva. L'unica cosa che riesce a pensare è di non farsela scappare. Non gli interessa cosa rischi e quanto, né da che parte sia schierata la ragazza sebbene possa intuirlo. Vuole solo trattenerla per qualche domanda, per trovar risposta ai tanti pensieri che da giorni lo tormentano. Se è il tramite di Snyder, probabilmente sa più di quanto vorrebbe dare a vedere.

"Forse tu puoi togliermi qualche dubbio." annuncia, dunque, il detective Woodroof. Si sposta su un lato della porta, ben piazzato e ancora con gli occhi fissi su di lei. Quasi non ha battuto ciglio. Infine fa la sua proposta amichevole. "Caffè?"
"Americano?" chiede la mora, optando per la via della quiete e rinunciando di sua sponte all'idea di fuggire. John annuisce, provocando in Lia una piccola e adorabile smorfia col naso. "Allora no, grazie. Quella merda la evito con tutte le mie forze."
Quando quella parolaccia sfiora le sue labbra a cuore, John ha un sussulto. Perché non si aspettava che la pronunciasse? "Ho anche altro da offrire." Insiste lui, facendole capire che non avrebbe desistito facilmente.
"Oh tesoro, io non credo."
"Te lo chiedo gentilmente."

A Lia fa sorridere. Il tono minaccioso di chi al prossimo tentativo sarebbe passato alle maniere forti e la mano fasciata e già debole che accarezza la pistola. Dallas deve aver fatto di nuovo quel trucchetto. A John è andata meglio di altri, che sia un uomo fortunato è chiaro. Eppure, chissà perché, seppur convinta di poterlo battere in un eventuale scontro corpo a corpo, Lia non fa resistenza. Si dice sia merito del bell'aspetto; avrebbe potuto migliorarle l'umore di quella calda giornata texana in cui si è trovata immischiata.

Alza le mani in segno di resa. Poi lo supera, oltrepassando la soglia della porta e immergendosi finalmente all'interno della casa, nel suo nucleo disordinato e privo di tocco femminile. Se non avesse saputo della figlia, lo avrebbe capito guardando gli oggetti distrutti nell'angolo del salotto. È così palese che stia soffrendo.
La nuvola di profumo misto al sudore naviga sotto il naso di John, al suo passaggio. Quando Woodroof chiude la porta della camera, la segue di buon grado lasciandole l'occasione di guardarsi attorno. Dubita ci sia qualcosa da nascondere agli occhi di quella ragazza. Probabilmente, tra i due, quella con i segreti è proprio lei.

"Cosa bevi, se non il caffè?" chiede John, avvicinandosi alla porta della cucina e facendole cenno di accomodarsi.
"Mi faccio andar bene del latte."
"Latte." Ripete lui, fessurando gli occhi. Un dejà vu lo colpisce in pieno viso, è una cannonata che gli brucia la faccia di rabbia. Il solo ricordo di esser stato vicino a colui che è certo c'entri qualcosa con la sparizione di Emily, lo manda su tutte le furie. Per quanto quello del latte sia un dettaglio stupido, per quanto chissà gente al mondo lo beva... John si trova a riflettere sull'assurda coincidenza.

Afferra una bottiglia di latte, ne riempie un bicchiere. Per sé si serve invece una tazza di caffè e, con entrambi i recipienti pieni torna da lei, tirando un sospiro di sollievo nel trovarla seduta comodamente su una delle sedie attorno al tavolo. Le ginocchia al petto e i talloni dei grossi scarponi neri puntati sulla sedia, le conferiscono un aspetto infantile che a John mette i brividi: mai fidarsi delle donne con l'apparenza innocua, in special modo se si sono introdotte in casa propria con la lettera di un uomo dato per morto.

"Non ho molte informazioni da darti, mi dispiace. Hanno mandato me proprio per questo motivo, sono solo un messaggero." Comincia lei, ringraziandolo educatamente quando afferra il bicchiere che le viene porto.
"Permettimi di non crederti." Ribatte lui, facendola sorridere.
"Concesso."

Ma in fin dei conti, John sa per esperienza che andare dritti al sodo non sia sempre la miglior strategia. "Non voglio informazioni su terzi, ne voglio su di te. Quelle le avrai, immagino." Afferma, ricevendo la risposta con una scrollata di spalle.
"Ho una vita monotona, rimarrai deluso. Ma prego."

Lia non ha proprio l'aspetto di una persona dalla vita monotona, anzi, sembrerebbe che non l'abbia mai avuta. John ignora quel presentimento, la sensazione di aver compreso il dolore che emerge dai suoi occhi infantili e la sua personalità forte e fragile al tempo stesso. Non può saperlo, d'altronde. Le sue sono illazioni e anche piuttosto superflue. Che gli importa di ciò che ha subìto un'intrusa? Che importa di ciò che legge sul suo viso ingannatore?

"Come ti chiami?" comincia lui.
"Lia."
"Lia come?"
"Solo Lia."
Che risposta del cazzo, pensa John. Quella è solo l'ennesima conferma di quanto la donna sia maledettamente pericolosa. "Hai un documento con te?"
"No."
"Per chi lavori?"
"Il Paradise."

Da quel che ha capito, il Paradise non è niente di ciò che sembra all'apparenza. Di voci sul suo conto ne girano. Si dice sia un covo d'assassini, di figli dimenticati da Dio: loro ormai possiedono Manhattan, ma solo sottobanco, commerciano, ricattano, fanno rigare dritto gli abitanti e li tengono d'occhio. Il detective sa ancora così poco; se solo mettesse piede in quella zona, sentirebbe voci ben peggiori, come quella sull'ex mercenario che s'è dato alla fede commerciando di nascosto un traffico illegale d'armi per conto della Molniya, o come quella sulle iene di Francesco Sabatini, fedeli amiche dell'italiano e ottime per smaltire rifiuti. Avrebbe sentito degli attentati e della mano del governo americano, di una macchina da guerra affetta d'amnesia e infiltrata nel locale per distruggere la famiglia dall'interno. Non il posto perfetto per una vacanza, né un paradiso nonostante la facciata. John non fatica a crederci e Lia non gli sta dando motivo per non farlo.

"Come hai avuto la lettera?" azzarda interrompendo il silenzio.
"Me l'ha consegnata il mio capo. Dovresti chiedere a lui, ma è sempre molto impegnato." Finge dispiacere, rotea gli occhi al cielo con una scenetta da copione ben recitata e un sorriso che John le toglierebbe volentieri dalla faccia.
"Ho notato. Posso parlare con Maddalena, però."
"Maddalena risponde sempre."

Maddalena era stata la donna che aveva alzato la cornetta per conto del Paradise Club. Vuole prenotare un privè? Aveva domandato, prima di sapere il motivo della sua chiamata. Al nome di Jeremiah – chiunque sia quell'uomo – la ragazza ha cambiato tono. Farò arrivare il messaggio ai miei superiori. Ma la prossima volta usi quel nome con cautela. È chiaro che lei non sappia di cosa sta parlando.

"Avete nomi davvero interessanti." Prosegue John, scacciando via il ricordo della voce di Maddalena. "Lia, moglie di Giacobbe: ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele. Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto. Maddalena, detta anche Maria di Magdala: ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio."

Impressionata, Lia piega di lato il capo e si complimenta con il detective. "Ma che memoria!"
"È per via del Paradise? Avete questi nomi per gli spettacoli?"
"Sono più di semplici spettacoli. Abbiamo questi nomi per nasconderci dai tuoi colleghi e dai tuoi nemici. Noi rappresentiamo la linea di confine, siamo equilibrio, esattamente nel mezzo. Abbiamo subìto pene dolorose che non meritavamo e chi ci protegge lo sa."
"Vi protegge dalla polizia?"
"Ci protegge dal passato."

Piuttosto enigmatico, difficile da comprendere. John prende quelle parole per una confessione e, di fatto, lo è. Ma gli riesce talmente faticoso capirne a pieno il significato. Forse per questo va oltre, continua a parlare... o perché conscio che se avesse insistito ora su quel punto, non avrebbe cavato un ragno dal buco.

"Sai cos'altro è interessante? Il Pittore sembra avere una gran passione per le testimonianze bibliche e per le sacre scritture in generale. Snyder ne ha avuto prova come me, è pieno di articoli su morti simboliche, chiese, sacrifici, testi tratti dalla bibbia per render onore alle vittime. E al dipartimento di New York, mi hanno rimandato a voi, avvertendomi che ci fosse un grosso prezzo da pagare in caso aveste acconsentito ad aiutarmi. Non trovi che, tutte queste cose, formino un enorme puzzle? Riesci a vederlo?"

Ci riesce eccome, sebbene lo stia squadrando con aria perplessa e un grosso punto interrogativo stampato in faccia, John sa che sta fingendo. "Ammetto sia una bella coincidenza." Afferma lei, bacchettando il dito indice sul mento. Il cowboy non può che sorridere, percependo l'ironia di quel suo comportamento sprezzante. Poi prende la lettera che gli aveva consegnato e decide di aprirla, indicandola prima di cominciare a leggerla, come se la risposta di Lia avesse cambiato qualcosa.

"Ti dispiace se la leggo davanti a te?"
La donna scuote il caschetto perfettamente pettinato e scrolla le spalle. "Fa pure."
"Tu l'hai già letta?"
"No, ma chi me l'ha consegnata mi ha informata sul contenuto."

A John Woodroof,
la contatto in seguito alla sua richiesta di parlarmi, per esprimere il mio più sentito rammarico per il coinvolgimento di sua figlia e comunicarle la mia decisione in merito. Non è stata una scelta facile, ma mi trovo costretto a declinare la sua richiesta di incontrarci. Ciò in cui sta indagando è più complesso di ciò che sembra in apparenza.
Mi trovo in una posizione delicata, come potrà immaginare. Se è arrivato a me, vuol dire che è sulla giusta pista. Se ne tiri fuori finché è in tempo. Non lo faccia per sé stesso, ma per sua figlia. Il killer è solo all'inizio, la ricontatterà. Valuti bene ogni suo tentativo di ingannarla.
Sia ragionevole.
K.S.

"Come so che l'ha scritta davvero lui?" è il primo dubbio che sorge spontaneo a seguito di quelle parole tanto dolorose quanto prevedibili.
"Puoi crederci o no. Non è affar mio."

E per qualche assurdo motivo, ci crede. Sarà la presenza della donna nella sua sala da pranzo o per uno dei suoi presentimenti. John è piuttosto sicuro che quella lettera sia stata scritta di suo pugno. "Conosci Snyder?"
"L'ho conosciuto."
"Come?"
"Come sto conoscendo te."
"Per via del Pittore?" domanda, giungendo al punto, al suo vero obiettivo di quella conversazione. "Hai conosciuto anche lui?"
"No." Nega lei, convincendolo a malapena.
"Frequentava il Paradise?"
"Tanta gente frequenta il Paradise. Non posso mica ricordarli tutti."
"E se ti mostrassi una foto? Faresti questo sforzo?"
Lia ci riflette, assottiglia lo sguardo e poi acconsente con un semplice e diffidente "Ok.". A quel punto John si alza dal suo posto, ma solo per tornarci con in mano una foto del professor McGregor, presa direttamente dal curriculum. Quando Lia osserva la foto, John è certo di intravvedere un lampo di riconoscimento nei suoi occhi. Eppure, la donna nega ancora una volta. "Ha una faccia molto comune. Mi dispiace."
"Non è vero." Si spazientisce lui.
"Che abbia una faccia comune?"
"Che ti dispiaccia."

La foto torna nelle mani di John. Vorrebbe stracciarla ma la conserva e la tiene lontana da sé, sul tavolo, evitandosi di stringerla tra le dita e distruggerla. Lia in chissà quale modo riesce a sentirsi toccata. È capace di provare empatia? John direbbe di no, eppure caschetto moro sospira e porta i talloni dalla sedia al pavimento, mettendosi composta e sporgendosi verso il cowboy. Mani e avambracci posano sul tavolo, il busto si tende in avanti e le gambe si divaricano. Sembra intenta a chiudere la conversazione.

"D'accordo. Vuoi la mia opinione, John?" si prende ancora una volta la confidenza di chiamarlo per nome. Con voce soffice e materna, esprime il suo pensiero. "Ti stai infilando in un gran guaio. È chiaro a tutti, meno che a te. Fossi al tuo posto, andrei avanti."
"Fossi al mio posto, non cercheresti tua figlia?" è una domanda che Lia non si aspettava e a cui non sa rispondere. Non ha torto, in fin dei conti per il sangue del suo sangue sarebbe disposta a tutto. Per fortuna John non attende risposta, non gli interessa, piuttosto la tiene ancora incollata alla sedia come può. "Qual è questo guaio di cui parli?"
Lia si schiarisce la gola, poi prosegue col suo avvertimento. "È più una triade di guai: FBI, governo, sicari. Mi sei simpatico, John, voglio aiutarti. Lascia che ti dia un consiglio: il tuo distintivo è la gabbia che ti impedisce di scavare fino in fondo, tra i veri maiali. Se non sei disposto a sacrificare tutto ciò che hai, compresa la tua identità, i tuoi valori e ciò in cui credi – Snyder ne sa qualcosa –, se non sei disposto a giocare la partita mettendoti al pari di ciò che cerchi, allora lascia perdere. Ti farai molto male e ne farai di più a tua figlia."

Ma quel consiglio non fa altro che spazientirlo di più. Ora stringe i pugni e con un respiro tenta di calmarsi, domandandole. "Se sai qualcosa, perché non me lo dici?"
"Perché non so abbastanza."
E ora perde il controllo: "C'è una ragazzina di mezzo, cazzo! Che razza di persona sei per non muovere un dito?" glielo urla, furioso dinanzi a tanta indifferenza. Non si parla di lui, ma di una ragazzina innocente. Com'è possibile che nessuno se ne curi? Non se ne capacita. "Pensi che io ora ti lasci andare come se nulla fosse accaduto?"
"Non puoi trattenermi. Ma puoi provarci." Replica lei, dichiarando chiusa la conversazione e alzandosi dalla sedia, evadendo dal teso clima che s'è creato, ormai quasi insopportabile. "È stato un piacere."

Ma John nemmeno la ascolta, esattamente come lei non ha dato ascolto alle sue richieste. Si alza a sua volta, sfodera la pistola e fa per puntargliela contro, ma non ha il tempo sufficiente a concluder quell'azione che Lia si rivela una piccola versione femminile di Jackie Chan. Le mani bloccano la sua, già dolorante, una gli afferra il polso direzionando l'arma verso il soffitto, l'altra preme sulla sua spalla e con un po' di ulteriore pressione, costringe i muscoli della mano a stendersi e liberare la pistola. L'oggetto duro e freddo di metallo cade a terra, viene calciato poi lontano da uno degli scarponi. E senza dar lui tempo di recuperarlo, tenendolo fermo dal braccio Lia si china di scatto in avanti e solleva il corpo del nemico fino a farlo cadere di fronte a sé. Non ha richiesto grandi sforzi. Vuole che sia chiaro anche lui che, al contrario di lei, si trova a terra e col battito cardiaco accelerato.

"Io e la mia famiglia siamo il guaio minore, John. Se contro di me questo è il tuo massimo, rivaluterei i tuoi piani."

Detto ciò, Lia si dirige alla porta pronta ad andarsene. Quella donna è arrivata a Sherstone esattamente come se ne sta andando, illesa e priva d'ostacoli. Il detective, colui che avrebbe dovuto fermarla e trattenerla, se ne sta sul pavimento a recuperare fiato maledicendo la sua età. Eppure mai si sarebbe aspettato di sentire i passi della donna arrestarsi. Ebbene, Lia si ferma; sembra pensierosa, perplessa, combattuta. Nemmeno si volta per degnare l'uomo di uno sguardo. Afferma soltanto l'inaspettato, prima di andarsene da casa del detective.

"Proverò a parlare con Kyle. Ma se non avrai nostre notizie, molla l'osso."

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