𝐗𝐈𝐗

16 settembre 2021

La signora Hooper versa nella tazzina due dita di caffè amaro. Nessun cucchiaio di zucchero al suo interno e una fetta di torta alle mele di fianco, adagiata graziosamente su un piattino. John ha la bocca dello stomaco chiusa, ma fa uno sforzo e con una forchetta prende un pezzo del dolce. È un assaggio che trova trionfo in un debole e timido complimento. "Davvero buona." e tanto basta alla Hooper per placare il suo animo. Alice si siede da lì a poco e la madre finalmente li lascia da soli, con un bacio sulla fronte della ragazza e la raccomandazione di chiamarla in caso fosse necessario.
Woodroof si ritrova dinanzi una bellissima ragazza: ciocche dorate cadono ordinate sulle spalle, trattenute dietro ambedue le orecchie, grandi occhioni blu si riposano fissi sull'immagine della torta, una mano dalla forma affusolata gioca con la forchetta sul tavolo, le labbra carnose e rosate tracciano una linea piatta e il naso minuscolo appare come un puntino su quel viso pallido. Eppure, Alice risulta spenta. La bellezza di quell'adolescente è compromessa dal comprensibile dolore emotivo che l'affligge. John si sente tremendamente in colpa a rincarare la dose e tale sentimento sembra quasi assopire la frustrazione e la rabbia provati la sera prima. Ripensa a Emily, al mancato rimprovero, al patto di fiducia violato e al grosso rischio che si sta assumendo lasciandole la libertà di sgattaiolare fuori di casa. La grande detective Pel di carota ha rincasato ignara di esser seguita da uno degli agenti, dando ragione a suo padre sul fatto che non fosse pronta a camminare con le sue gambe. E ora, davanti ad Alice, si sente debole e a disagio: una ragazza così giovane non dovrebbe soffrire la perdita di una cara amica. Nota nei suoi occhi una maturità che non è certo di voler osservare in quelli di propria figlia, ancora incolume e protetta dal killer di Sherstone.

"Sembra gentile." rompe il ghiaccio lui, riferendosi alla signora Hooper.
"Lo è." risponde la ragazza, assorta nel suo mondo.
Il gelo non viene minimamente scomodato da quella stanza, alberga sul viso apatico della bionda. John cerca un modo per proseguire la conversazione e cominciare con le domande, ma è Alice stessa a smuovere le acque, contro ogni aspettativa.

"Possiamo andare diretti e non prolungare quest'agonia?" e così dicendo, finalmente, Woodroof ha modo di incrociare il suo sguardo. Solo ora si accorge che i suoi occhi risultano grandi per colpa di un lungo pianto.
"Naturalmente." annuisce tempestivamente, il detective. Poi fa come gli ha detto e dà il via all'interrogatorio. "Tu la conoscevi meglio di chiunque. Sapevi che scriveva dei diari?" la ragazza conferma con un cenno d'assenso. "Li hai mai letti?"
"Non tutto. Alcune cose me le faceva leggere lei perché non aveva la forza di dirmele."
"Puoi farmi degli esempi?"
"Ho letto di Anthony Williams, il suo fidanzato. L'ho sempre detestato, ma quando ho letto della violenza psicologica che le faceva... avrei voluto ucciderlo con le mie mani."
Non è la scelta di parole migliore dinanzi a un detective, ma John comprende la rabbia della ragazza. Dal diario di Jane si evince il carattere forte e battagliero di Alice e forse proprio per questo motivo Woodroof è rimasto sorpreso dall'espressione spenta dell'amica. "Di che genere di violenza psicologica parli?" domanda, appuntando sul taccuino le informazioni che riceve.
"Gelosia, prima tra tutte. La trattava come un oggetto, pensava di poter fare ciò che voleva di lei. Ha forzato diversi rapporti orali; questo lo sa?"
Sì, lo sapeva, ma né annuisce né nega. John si limita ad approfondire le parole appena dette. "Fino a che punto credi fosse capace di spingersi con lei?"
"Mi sta chiedendo se potrebbe averla uccisa lui? Perché la risposta sarebbe no, non sarebbe in grado."
"E lo zio?"

Questa domanda, nello specifico, accende una fiamma nel ghiaccio delle sue iridi. John la vede chiaramente, orgoglioso di aver toccato un nervo scoperto proprio con quel soggetto. I sospetti vengono alimentati. Il detective gongola all'idea di poterlo sbattere in cella... che sia per omicidio o per altri crimini, non avrebbe avuto importanza. L'unica cosa che desidera ormai è tenerlo lontano da Emily e da tutte le ragazze che potrebbero subirne le azioni.

"Cos'ha letto su Thomas?" stavolta la domanda spetta al detective. Alice solleva il mento, in attesa di una risposta soddisfacente, che le desse modo di comprendere cosa confessare.
"So che turbava Jane."
L'amica sospira, si libera dell'aria pesante che aveva immagazzinato nei polmoni durante il loro colloquio. Si sistema sulla sedia e posa entrambe le braccia sul tavolo, dando il gong d'inizio al vero interrogatorio. "Non so dirle cosa lo legasse a lei realmente, ma posso dirle che dopo la notte di Capodanno li ho visti... inquieti. Ho temuto il peggio, ad essere onesti. Jane era soggiogata da lui, per un po' si è comportata in modo strano, credo andasse a casa Williams di nascosto più per Thomas che per suo nipote. Ma poi i rapporti sono diventati difficili: non voleva più andare al diner, lo evitava e cambiavamo strada se lo vedevamo nei paraggi."
John è lieto di sentire una confessione così ben articolata e fluida da parte della ragazza. Si è liberata d'un grosso macigno, questo è chiaro. E lui l'avrebbe aiutata a liberarsi di tutto. "Credi possano aver avuto dei rapporti sessuali?" chiede dunque, andando dritto al punto.
"Dio! Spero di no. Ma sa cosa? Non mi stupirebbe. Si è portato a letto metà del corpo docenti. Non so quali siano i suoi limiti etici, ma ho visto come guardava la direttrice Ferguson e ho visto come guardava Jane. Le assicuro ch'erano occhiate molto simili. Non credo che l'età sia un grosso problema per lui."

Come immaginava. Non è che fosse imprevedibile, considerando il modo in cui lui stesso si descrive: uno spirito libero. Ma sentire Alice, la persona più emotivamente vicina alla vittima, pronunciare quelle accuse con tono ed espressione di disgusto muove qualcosa in Woodroof.

"Che mi dici delle voci su Jane e il professore di biologia?" cambia soggetto, in cerca di nuovi indizi. La reazione di Alice è totalmente opposta a quella avuta parlando di Thomas Williams. Si palesano stima, rispetto, fiducia. E ad essere onesti, sebbene John voglia puntare il dito contro lo zio di Anthony, quella che ottiene ora è la descrizione che più lo agghiaccia.
"Stronzate! Quell'uomo è la miglior cosa che le sia mai capitata. Non c'era malizia. Li ho visti, lui è sempre stato così con gli studenti: disponibile per chiarimenti e lezioni extra, pronto ad aiutare il prossimo. È stato lui a farle capire che Thomas le stava facendo del male e che andava denunciato. Lei non ha fatto nomi, non ha detto quasi nulla in realtà, ma il professore ha capito subito la situazione e le ha offerto il suo aiuto. E aveva paura, non era sicura di sporgere denuncia, ma ci stava pensando e sono certa che prima o poi sarebbe venuta da lei in centrale per confessare tutto."
"Parliamo del professor McGregor, dico bene?"
"Sì, lui." poi con aria allarmata e occhi sgranati, esibisce un comportamento che porta John a deglutire con forza. "Non sospetterà anche di quell'uomo, spero."
È indignata, spaventata di perdere il suo caro professore, appare quasi terrorizzata all'idea che possano anche solo pensare di trattenerlo in centrale. Nessuno tocchi McGregor; questo è il messaggio che giunge alle orecchie di John. E non ci sarebbe niente di male, sarebbe tremendamente giusto e sano un rapporto di stima così forte nei confronti un benevolo uomo, pronto ad aiutare i più deboli... se solo il profilo del pittore non corrispondesse. "Non escludiamo nessuno dai sospetti." afferma sovrappensiero. Ormai catapultato in un ambiente ovattato, John avverte quella sensazione che era certo avrebbe provato dinanzi al colpevole. E un forte senso di colpa lo prende a cazzotti: Emily aveva ragione, avrebbe dovuto darle più fiducia in merito a Thomas, per quanto viscido possa essere.
Alice non nota l'espressione confusa sul volto del detective, né tantomeno la realizzazione che lo schiaccia sul pavimento come una pressa metallica. Ecco perché, con voce decisa e squillante, riesce a riportarlo nel mondo terreno. Le accuse che muove sono l'ennesimo schiaffo a John, ma il modo in cui le afferma rappresenta solo un altro passo verso il professore: direbbe di tutto pur di difendere quell'uomo e la sua enfasi n'è la prova.

"Allora metta in mezzo anche il suo collega Smith."
"Che c'entra l'agente Smith?" domanda a mezza voce, affaticato e nuovamente perplesso.
"Al Bull's Hat ha molestato Jane ben tre volte nel corso dell'ultimo anno. Ci ha seguite con la volante, ubriaco marcio. Si sentiva la puzza d'alcol in tutta la strada. Alla terza volta il cameriere lo ha cacciato dal locale e ci ha riaccompagnate a casa. Abbiamo avuto bisogno della scorta, se non fosse stato per lui chissà che diamine sarebbe successo. Jane era terrorizzata."
Ciò che colpisce più John non è la confessione in sé, quanto l'incapacità di negare quell'eventualità. Il comportamento descritto dalla ragazza è calzante con l'Arthur Smith ubriaco che conosce il detective. Non può dire altro che... "Non ne avevo idea."

John non è affatto rimasto indifferente al turbamento di Alice e alla sua sofferenza. Non riesce proprio a perdonarsi per quel fallimento e Jane sarà il suo fardello per tutta la vita. Lo sa perché identifica in lei sua figlia, o meglio la tipologia di vittime preferita del Pittore e ciò lo rende estremamente fragile e coinvolto. Non ha lucidità, sebbene finga il contrario; è conscio d'aver contaminato la propria razionalità e detesta ammetterlo.

I polmoni cominciano a immagazzinare aria in modo irregolare. Siede nella macchina, lì doveva aveva parcheggiato prima d'entrare in casa di Alice. Si sente d'un tratto vulnerabile. Gli pare di regredire allo stadio infantile quando comprende cosa stia accadendo al suo corpo.
Ha un attacco di panico.
Non succedeva da anni, tanto che non ne aveva mai parlato con nessuno. Nemmeno Arthur è a conoscenza di quel demone sulle spalle dell'amico. D'altronde perché avrebbe dovuto avvisarlo? L'ultimo l'ha avuto prima ancora di incontrarlo, dunque l'ha ritenuto un dettaglio trascurabile. Eppure ad oggi, semi sconfitto dalla meticolosità del Pittore, John sta rivivendo l'inimmaginabile. 

Con la mano sinistra apre la portiera, con forza la spalanca prima di gettarsi letteralmente fuori dal veicolo che - per fortuna - non aveva ancora messo in moto. E respira, come se fosse circondato di sola anidride carbonica, l'aria brucia nelle sue vie aeree neanche fosse lava incandescente. I suoni attorno a lui si ovattano, la testa sembra circondata da una busta di plastica. E il Pittore è lì presente: stringe e stringe, strangolandolo e ridendo di lui.

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