𝐗𝐈𝐈𝐈
8 settembre 2021
Ufficio della direttrice
"Non credo ti abbia fatto un torto, sai?" la voce calma e materna della direttrice è solo una delle tante sfumature a cui Emily ha avuto l'onore di assistere in prima fila. L'aveva sgridata, aveva urlato, si era sgolata fino a mettere in evidenza la vena sulla tempia, per poi tornare in pieno stato di quiete con una velocità disumana. Pel di carota è consapevole di poter ribaltare le sorti della conversazione con un solo sospiro svogliato. Stavolta però sarebbe stata attenta.
"Ha un corso adatto a me?"
"Hai almeno dato un'occhiata alle attività? Se solo le avessi lette con più attenzione, avresti trovato pane per i tuoi denti." così dicendo la donna porge alla ragazza un documento con l'elenco di tutti i corsi ufficiali dell'anno 2021/2022. Sottolineato con un evidenziatore rosso, Emily nota ciò per cui la direttrice sorride tanto.
"Corso di pittura creativa?"
"Non è fantastico?" la incentiva con occhi da pazza.
"Ma io non dipingo. Io disegno. Anzi, scarabocchio."
"E che ti costa imparare?" domanda con tono di voce acuto, irrigidendo sul posto la studentessa. Emily sorride, solleva un dito e lo punta dritto sul foglio picchiettandoci contro.
"Sa cosa? Il corso di pittura creativa sembra fantastico! Ci sto!" la maschera più finta e ironica che esista sul pianeta, si è incollata alla faccia di Emily. È stato l'unico modo per rasserenare la direttrice e non farle aggiungere qualche decibel alla discussione.
"Bene!" prosegue quest'ultima, soddisfatta. "Ti conviene muoverti allora, sei già in ritardo."
"Oggi?"
"Oggi."
Emily vuole morire. Tutti i piani che aveva per la serata sono andati a farsi benedire e suo padre non l'avrebbe tirata fuori da lì, anzi, al contrario aveva già dimostrato grande entusiasmo quando gli aveva raccontato della decisione del professor McGregor.
Una volta fuori dall'ufficio, Emily chiude la porta alle sue spalle e mette in atto una tragedia greca. Rogers è stupido, pensa lei, ci avrebbe creduto. Così, quando l'agente si avvicina per chiederle com'è andata, Pel di carota tenta di rispondere colta da improvvisa spossatezza. Non è che lo faccia apposta, chiaro: barcolla, le gira la testa, gli occhi diventano pian piano bianchi e boom caduta a peso morto ai piedi del povero ragazzo. Il novellino non sa che fare, è in difficoltà. O lei è una grande attrice oppure è davvero scemo. Emily è fiera di sé, ma rimane nella parte, anche quando Rogers la prende da sotto le ascelle e la solleva come uno straccio puzzolente. Forse - e ci pensa solo ora - l'ingenua è stata lei.
"Il capo aveva ragione." dice l'agente con un sorriso sul volto. "Pensavo esagerasse, ma hai fatto finta di svenire davvero."
8 settembre 2021
Corso di pittura creativa
Rogers si è seduto in fondo alla stanza. Legge un giornale con estrema curiosità, mentre Emily prende posto dietro uno dei cavalletti. "Scusa." attira l'attenzione di una ragazza alla sua sinistra. "Come funziona qui? Chi tiene il corso?"
La bionda indica uno stanzino di fianco alla cattedra. Emily intravede un maglioncino grigio muoversi al di là dello stipite, ma l'uomo in questione degna di attenzioni la classe semideserta solo dopo diversi secondi. E quando si volta, Emily lo vede: il professor Josh McGregor.
"Figlio di pu-" mormora pel di carota, facendo voltare tutti i presenti, meno lui. Spererebbe non l'abbia sentita, ma il fatto che stia sorridendo mentre prepara il materiale sul tavolo fa supporre il contrario.
"Errore mio. Avrei potuto prevederlo." ammette l'uomo, togliendo ogni dubbio. "Ora hai una scusa per scarabocchiare. Benvenuta."
Sessanta estenuanti minuti di pittura creativa è davvero tanto tempo. Con il loro scorrere, però, Emily era riuscita persino a dimenticare della presenza di McGregor nella stanza. Mentre la sua compagna bionda dipingeva una splendida mela rossa appoggiata sul davanzale della finestra, lei sogghignava tra sé e sé utilizzando la matita al posto del pennello. La sua opera è perfetta, superlativa, non potrebbe andarne più fiera.
A fine lezione, il professore fa il giro delle tele: passa di postazione in postazione dando consigli su come migliorare la propria tecnica, ma quando tocca ad Emily la sua faccia la dice lunga. Non è che avesse grosse aspettative, questo è certo, solo che la sua immaginazione non avrebbe raggiunto un livello tale di sfrontatezza.
Grigio su bianco, il tratto leggero ma deciso di Pel di carota ha dato vita a delle perfette cellule eucariotiche, con tanto di organuli ben delineati. Sembra l'immagine di un libro scolastico. Josh potrebbe impazzire, le sta puntando gli occhi addosso con aria di sfida. "Divertente." si limita poi a dire, accompagnando la parola con una risatina nervosa. E quando Emily solleva il mento per fronteggiarlo armata di un sorriso a trentadue denti, lui non può fare a meno di ricambiare.
"Dovresti iscriverti a un altro corso." propone sorridente.
"Perché?" fintamente triste simula un piccolo broncio. "A me è piaciuto."
8 settembre 2021
Ore 11 di sera
Se dovessimo stilare una classifica dei migliori amici di Arthur Smith, troveremmo sul podio John Woodroof, la tequila e le belle donne di Sherstone, ma decisamente non in quest'ordine. L'alcol, in particolar modo, accompagnava ormai le sue nottate più frequentemente di quanto lui stesso comparisse in casa Woodroof. E quello del Bull's Hat era senza dubbio il più delizioso del Texas. Arthur se ne intendeva, ne aveva cambiati di pub nella sua vita.
Così, con una bottiglia nel palmo della mano e il cappello da cowboy rubato alla sua medaglia di bronzo John, aveva passato la serata a muovere le anche a ritmo di musica soul. Katy Cox, quella gallina disperata, stanotte aveva fatto colpo sul poliziotto. Le aveva detto bene: la tequila è sempre una garanzia, soprattutto se si tratta di una di quelle giornate in cui si ha intenzione di guardare la nuca della propria compagnia. E a Katy andava bene così. Sarà pur disperata, ma non è mai stata un'illusa, conosceva già le condizioni. Certo, forse sperava comunque in qualcosa di più dignitoso.
"Casa mia o casa tua?" aveva chiesto lei sbrigativa. Arthur, con espressione immutata e il sorriso beato, aveva risposto con un semplice e autorevole "Bagno.".
Non esattamente il luogo più comodo per darci dentro. E sebbene Katy avesse accettato, mentre si aggrappava al lavandino con entrambe le mani mantenendo china la testa in avanti per ordine dello sbirro, aveva pensato a quanto fosse caduta in basso in quel momento. Era pronta a chiudere gli occhi e fingere che dietro di sé ci fosse il detective Woodroof, ma ciò che è rimasto della sua coscienza le ha impedito di farlo. Fosse stato John, non sarebbe avvenuto così, su questo Katy avrebbe messo la mano sul fuoco, l'avrebbe quantomeno guardata negli occhi e non avrebbe puzzato di tequila.
Verso le undici e cinque minuti, Arthur si ritiene soddisfatto a sufficienza da dare una pacca sulla testa della donna, il massimo cenno di riconoscimento che riesce ad esternare. La cerniera dei pantaloni si chiude, la sigaretta nuova si aggrappa tra le labbra del poliziotto e la porta del bagno si riapre. Chiusa quest'ultima alle spalle di Smith, non fa in tempo a sentire i conati di vomito che colgono alla sprovvista Katy. La abbandona dunque lì, raggiungendo il bancone per un altro round. "Tequila!" ordina con uno schiaffo sulla superficie in legno massiccio. Matthew, il barista, si prende del tempo per osservarlo con pena, ma obbedisce. Nuovo bicchiere, nuova bottiglia, lascia tutto davanti ad Arthur e intasca i dollari che deposita sul banco.
"Ce l'hai la fidanzata?" domanda come un vecchio zio curioso al trentenne moro. Matt fa una piccola smorfia e il cliente impiccione gli punta un dito contro. "Non ti ricambia?"
Strano ma vero, nonostante i litri d'alcol in corpo ci ha preso alla grande. Matthew lo ammette con un cenno della testa ed un sospiro, guadagnando un consiglio. "Che si fotta!" Consiglio di cui non aveva decisamente bisogno.
Passano dieci minuti e due clienti, poi Arthur riprende a parlare e allora Matt si sbottona un po'. Alla peggio non ricorderà niente l'indomani, tanto vale farsi due chiacchiere, pensa il barista.
"È di qui?" chiede il poliziotto.
"No, vive lontano. Viaggio di lavoro."
"Dove?"
"Giappone."
"Giappone? Che si fotta!"
"Sì, l'hai già detto." rimembra Matthew, annuendo e prendendo lo straccio per dare una pulita al bancone, lì dove Arthur ha rovesciato la tequila preso dall'enfasi dell'imprecazione.
"Fammi capire: ha un altro?" continua lui sistemandosi il cappello per guardare meglio il moro.
"Non esattamente. Non è tipa da relazioni, in realtà."
"Ma tu le hai chiesto di uscire?"
"Potremmo dire di sì."
"Filmettino porno al cinema, vedi come te la dà."
Con una smorfia di dissenso e chinando appena di lato la testa, Matt si dimostra infastidito da quell'ennesimo consiglio non richiesto. Non ricorda di aver provato tanto disgusto per un uomo più grande di lui. "Lo abbiamo visto un film una volta. Non era un porno chiaramente, ma ci siamo stati al cinema."
"Horror? Quello le fa cagare addosso, finisce sempre bene."
"Nah, non a lei."
"Le piacciono gli horror?" domanda Smith incredulo. Il barista si chiede se ha mai davvero avuto a che fare con una donna, una di quelle per cui valga davvero la pena. La risposta giunge istantanea, se la dà solo a guardare il suo naso rosso peperone per colpa dell'alcol ingurgitato.
"Guarda che piacciono a molte. È che ad alcune conviene fare finta."
"Che puttane!" afferma facendo cadere altra tequila, costringendo Matt a non abbandonare più lo straccio in sua presenza. "Ma poi perché? Sono pieni di mostri, sono terribili."
"Quindi sei tu ad aver paura?" lo prende in giro lui, finalmente con un sorriso sul volto.
"No!" si difende imbarazzato, correndo subito ai ripari. "Ma i mostri - andiamo - che schifo!"
Il ragazzo si ritrova a dissentire ancora. Scuote la testa, si mette comodo appoggiandosi al bancone e chinandosi verso Arthur, come se fosse in procinto di svelare un segreto inconfessabile. Poi sputa il rospo. "Una persona una volta mi disse i mostri sono una nostra sfumatura più intima. Credo che persino tu, agente, abbia un mostro dentro di te. Non sminuirti così, sei un bell'uomo."
Matthew ci sta prendendo gusto, deve ammetterlo. Ma infierire contro un uomo di mezza età conciato a immondizia in un pub, è come sparare sulla Croce Rossa. Forse per questo motivo anche lui si allontana con la scusa del lavoro, servendo ai clienti altri drink. Ben presto, con lo scorrere della notte, Arthur rimane solo con i suoi pensieri e il suo mal di testa. E seppur faccia pena a chi lo guarda, nessuno osa aiutarlo o anche solo incrociare il suo sguardo. L'agente Smith non è nessuno; si accorge che forse non è il distintivo a dargli valore quanto il suo amico John. Senza di lui, la gente che lo circonda lo fa sentire un pagliaccio. E ora, dopo quella chiacchierata, persino un mostro.
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