𝐗𝐈𝐈

24 maggio 2021

Caro diario
Alice ha organizzato una festa a sorpresa per il mio compleanno, ma l'è sfuggito. Mi ha detto di fingermi sorpresa. Non sono brava a fingere, ma posso provare. Tra tre giorni andrò a casa sua e spunteranno tutti da dietro i mobili urlando "auguri!". Sento che sarà comunque bellissimo.

25 maggio 2021

Caro diario
Anthony e io abbiamo litigato. Di nuovo, strano. Stavolta è colpa sua, ne sono certa. Non mi farò trattare da bambolina un'altra volta, deve capire che ho cuore e una testa. Sono un essere umano anche io, sta dando per scontato il mio amore per lui.

26 maggio 2021

Caro diario
giornata sprecata. Non ho fatto altro che vomitare e piangere. Odio Anthony Williams con tutta me stessa.

27 maggio 2021

Caro diario
oggi è il gran giorno. Alice ha promesso che Anthony non si sarebbe fatto vivo. Spero sia così, non voglio mi rovini il compleanno. Ma sarò ottimista, mi fido della mia amica. So che farà qualunque cosa per impedirgli di entrare in casa, cascasse il mondo.
Ho comprato un vestito per la serata. Ha una trama di fiori e ha l'orlo verde. Alice dice che si intona coi miei occhi. Non vedo l'ora di indossarlo e divertirmi.

28 maggio 2021

Alla festa c'era anche lui. Alice ancora non lo sa, non le ho detto nulla a riguardo, se l'avessi fatto sono sicura che non sarebbe nemmeno passato davanti all'ingresso. Però non ce la faccio. È più forte di me. Se anche lo dicessi, chi mi crederebbe?
Mi ha ignorata tutto il tempo, non ha incrociato il mio sguardo nemmeno per sbaglio, è stato molto attento. Ho pensato che fosse andato oltre, che non avessi motivo di preoccuparmi, ma poi ho capito: era venuto per ricordarmi della sua esistenza, per spaventarmi. In mezzo a quella folla è persino passato inosservato. Poi, verso fine serata, quando finalmente è rimasto solo in fondo alla stanza, l'ho beccato con gli occhi su di me. Mi ha fissata per almeno un paio di minuti con espressione neutra. Non so a cosa stesse pensando, ma non sono riuscita ad interrompere il contatto visivo. Ero paralizzata.
Devo parlarne con qualcuno.
A sapere come.

Le lunghe dita di John accarezzano le pagine con forzata delicatezza. Reprime il violento conato alla base della gola, lo spinge dentro di sé nel tentativo di non perdere la calma che sua figlia gli ha donato dinanzi alla lettera del pittore. La conserva, ne tiene di riserva per attingerci in queste occasioni. Non è sereno, il detective; l'agitazione fa ribollire il sangue nelle sue vene, divora i suoi organi interni lentamente, portandolo ad agonizzare. Ma ha ragione Emily: non può permettersi di perdere il caso. E se dunque eliminare quei sentimenti fosse stato complicato, John si sarebbe sforzato tanto meno a mascherarli. Lo deve alla sua piccola pel di carota. Lo deve a Jane e a tutte le vittime che hanno subìto la sua incompetenza.
Respira a fondo, il fiato che ne esce risuona come un ringhio sommesso e rabbioso, mentre la mano chiude il diario rosa confetto e lo ripone nella borsa al suo fianco, appeso al bracciolo della sedia, per allontanarlo da sotto i propri occhi. Alla mercé di chiunque, John trova il tempo di reagire; prendendo un sorso del caffè che gli avevano cortesemente portato pocanzi, si fa violenza pur di riprender lucidità ed ignorare gli occhi di Thomas all'altro capo della stanza. Li vede solo lui, così come vede Jane al suo fianco, un fantasma di cui non riesce a ignorare la presenza da giorni. Ed è solo la madrina di quest'ultima a farla scomparire per qualche minuto, dando una piccola tregua al detective.
La donna raggiunge John in sedia a rotelle. Lo saluta con un sorriso di pura cortesia, prima di esser abbandonata dall'infermiera al tavolino della sala comune.

"Mi perdoni se non riesco a dirle che sia un piacere fare la sua conoscenza. Lo sarebbe stato, in altre circostanze." esordisce la signora Baldwin con una stretta di mano. "Mi creda, stimo molto la sua carriera. E confido nella sua bravura, sono certa che lo prenderà. Ma avrei preferito non avere a che fare con lei. Mi può capire?"
"Certamente." risponde John, annuendo amaramente dinanzi alla dura verità. Si rende conto di vestire i panni dell'uccellaccio del malaugurio in quel paesino. Non era ciò che si aspettava quando aveva deciso di intraprendere quella strada da giovane. Sì, sapeva di dover comunicare anche brutte notizie, di navigare nella morte e nella sofferenza, ma non che Sherstone lo avrebbe inghiottito con tanta cattiveria, rendendolo indesiderabile con il distintivo appuntato agli abiti. Pensare che alla signora Baldwin non va nemmeno così male. John ne aveva esperienza: non è lei la prima madre con cui si ritrova a parlare, ma è la prima a cui avrebbe dato una speranza, seppur microscopica.

"Non ruberà troppo tempo alle sue indagini." prosegue lei. "Io e Jane parlavamo pochissimo, non si è mai confidata, non mi ha mai parlato della scuola o dei ragazzi che frequentava, né ho mai conosciuto suoi amici. Immagino si vergognasse persino di dover dividere casa con un'estranea in sedia a rotelle. Credo m'abbia sempre vista così, anche nei primi anni di matrimonio. E poi successe il fattaccio: da quando suo padre ci ha lasciati, lei è cambiata, il suo odio nei miei confronti è aumentato a dismisura, è diventato inquantificabile. L'ho sempre avvertito. Dubito quindi di poterla aiutare."
"Non credo la odiasse." la rassicura subito il detective. Le prove che ha riguardo l'affetto della ragazza dicono il contrario. Poteva immaginare non scorresse buon sangue tra le due, a giudicare da come la descrivesse, ma dire che la odiasse è decisamente un'esagerazione. Forse, Jane non è stata così brava a dimostrarlo, ma teneva a lei, a modo suo. Piuttosto, la sua preoccupazione era la medesima della madrina e, in carenza di comunicazione, quel fraintendimento sui sentimenti che provavano l'una per l'altra era andato a concretizzarsi nel loro immaginario. "Abbiamo trovato un diario sulla scena del crimine, l'ultimo in suo possesso. Sua figlia sarebbe potuta scappare da Sherstone, ma ha deciso di rimanere per lei, per non farla vivere in questo posto."

Questo posto. Il posto in cui si trovano, una fortezza sicura per la donna di mezza età, ma una gabbia che non fa altro che ricordarle la sua disabilità e la sua solitudine. Per quanto non sia il sangue a legarla a Jane, nessuna madre dovrebbe sopravvivere ai propri figli. John, da padre, è in grado di comprendere. Ed è per questa ragione che davanti agli occhi lucidi della Baldwin, non si sorprende nemmeno. Può solo immaginare cosa stia passando e vederla così fiera e controllata, a testa alta, gli tocca il cuore.
La donna sospira, ricaccia indietro le eventuali lacrime e annuisce in cenno di consenso. John ha il via libera per porre le sue domande, per spiegare meglio cosa intendesse con la frase abbiamo trovato un diario.

"In qualunque momento lo desideri, io mi interromperò." premette il detective, guadagnandosi un sorriso. "Ho ragione di credere che sua figlia abbia lasciato il diario di proposito in quell'hotel. Una delle dipendenti lo ha trovato sul pavimento: potrebbe esserle caduto, ma ciò che c'è scritto mi fa credere che fosse più intelligente di quanto facesse vedere."
"Tipico di lei." commenta la Baldwin teneramente, ripensando a chissà quale aneddoto della sua vita. John è lieto di aver raggiunto il suo obiettivo con quel chiarimento e di vederla intraprendere il viale dei ricordi, fiera della sua bambina.
"Lo sto analizzando con cura, ma ci sono alcuni nomi che vorrei esaminare con lei prima di proseguire nella lettura. Ha detto di non aver conosciuto i suoi amici o suoi eventuali fidanzati, spero però che possa darmi una nuova prospettiva di quel periodo."

Alice. La migliore amica di Jane. È lei la prima di cui chiacchierano.
La Baldwin l'ha vista sul vialetto di casa diverse volte, ma mai si sono incontrate. Dalla finestra, di nascosto, aveva avuto modo di godere del loro rapporto, seppur a distanza. Sembravano molto affiatate e vedere la sua figliastra così genuinamente sorridente la rassicurava. Ciononostante, ammette di aver temuto il peggio per lei. Non è facile vederle mettere il broncio o notare gli occhi gonfi dal pianto. E sebbene avesse voluto domandarle il motivo per cui di tanto in tanto non riuscisse a indossare la sua solita maschera di spensieratezza, la Baldwin non è mai riuscita a trovare il coraggio e ha preferito rimanere nell'incertezza.

"A scuola era brava, spiccava in scienze. Qualche mese fa si è lasciata sfuggire il desiderio di studiare medicina. Credo fosse merito del professore. Lui l'ho conosciuto; uomo d'altri tempi, educato, arguto, empatico. Mi ha ricordato mio marito, sa?! Bello come il sole e gentile come pochi qui a Sherstone, di quelle anime buone che ti chiedi come siano finite in questa realtà dimenticata da Dio. Un po' come lei, detective."
John sorride appena, con un velo d'imbarazzo sul volto. In quella donna riesce a vedere pentimento: tornasse indietro cambierebbe le cose, sarebbe chiaro a chiunque sentisse la sua voce rotta. "Ricorda il nome?"
"Joshua McGregor. Lo ricordo eccome, con i nomi sono un fenomeno." scherza lei, guardando la penna di John camminare sul foglio del suo taccuino.
"Compare sul diario. Ne parla molto bene, ma temo qualcuno a scuola l'abbia presa di mira a seguito di un buon voto nella sua materia. Non voglio darle altro dolore, non andrò oltre se non vorrà." interrompe lui il suo stesso racconto, ma la Baldwin lo esorta a proseguire, dandogli una ragione più che valida.
"È giusto ch'io sappia il vero. Mi dà modo di rimediare al mio errore, lei mi sta donando un po' di quella vista che persi tempo fa."
E dunque, con un bel respiro affranto, John le comunica la verità tanto agognata. "Si è messa in giro la voce di un rapporto sessuale tra sua figlia e il professore. Questo le avrebbe garantito un punteggio alto nella sua materia."
"Lo crede possibile?" domanda curiosa.
"Lo smentisce lei stessa nelle righe che seguono. Ne ha sofferto molto."

Anthony è il protagonista della conversazione che segue. Di quel ragazzo la Baldwin ha chiara una cosa sola: quel ragazzino rendeva Jane molto triste. "Nel periodo di cui mi parla, era particolarmente nervosa. Alice aveva un effetto calmante, è vero, ma non era sufficiente. Non sarò stata la miglior madre, però riuscivo a capire quando qualcosa la tormentava. E se frequentava quel ragazzino in quei mesi, allora forse era lui a darle tanta sofferenza." afferma la donna, seppur incerta. Sbologna tutto a John scrollando le spalle. D'altronde, che si aspettava il detective? Non erano molte le informazioni che avrebbe potuto dargli, l'aveva preventivato.

"Ha mai sentito parlare di un certo Thomas? È lo zio di Anthony."
"Conosco diversi Thomas. Qual è il cognome?"
"Thomas Williams."
"Oh! È lo zio? Il proprietario del diner?" John drizza la schiena, si mette d'istinto nella miglior posizione d'ascolto che conosce. Non è che non fosse interessato fino ad ora, ma sentire un riscontro su quel nome considera sia un passo in avanti non indifferente. Annuisce, così, alla signora. Le chiede se lo avesse conosciuto personalmente e lei, con grande gioia del detective, risponde di sì.
"Un tipetto niente male, un grande oratore. Conosce la sua storia?"
"Conosco quella dei Williams, dei genitori di Anthony. Non la sua." ammette così la sua ignoranza, dando inizio ad un racconto in cui finalmente la signora Baldwin può sfoggiare il suo sapere.
"Arrivò a Sherstone per accudire il nipote... di cui ora so il nome, grazie a lei. So ch'è proprietario del diner preferito di Jane. Quel posto gliel'ha ceduto il vecchio Alfred White quand'è morto. Così si è rimboccato le maniche e devo dire che ha fatto un ottimo lavoro: l'ha ristrutturato, l'ha reso giovanile e ha creato un ambiente fantastico, adatto a grandi e piccini. Credo che Alfred l'abbia inserito nel testamento perché aveva visto in lui qualcosa di speciale. Quel vecchio ha sempre avuto occhio per il business e, diciamoci la verità, non gli era rimasto alcun parente a cui scaricarlo. Ma non era di certo mosso dall'affetto. Thomas non mise piede a Sherstone per anni, lui preferiva la Grande Mela, le metropoli, il caos urbano, nonostante qui avesse famiglia. È sempre stato uno spirito libero."
"Ha vissuto a New York?" è la Grande Mela ad attirare l'attenzione di John. Lui stesso ha deciso di mollare le occasioni d'oro nelle caotiche grandi città per badare alla sua famiglia a Sherstone, eppure non è mai stato uno spirito libero. La sua scelta è stata prevedibile per molti. Quella di Thomas suona più di fuga o di punizione.
"Fino a sei o sette anni fa, quando il nipote rimase solo. Gli salvò la vita diventando suo tutore legale." conclude la donna, annuendo con convinzione. La sua splendida memoria di ferro fornisce a Woodroof una boccata di speranza o forse d'illusione. Sei o sette anni fa, è un tempo più che plausibile per dare il via agli omicidi di cui ancora oggi soffre Sherstone. E se non avesse torto? Se fosse davvero lui il Pittore e lo avesse avuto pericolosamente vicino a Emily per tutto questo tempo? Contro ogni aspettativa, la sua visita alla Barlow aveva dato più frutti di qualunque indagine precedente. 

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