𝐕𝐈𝐈
7 settembre 2021
Ore 4.35 della mattina
"Tu."
Una sillaba pronunciata con incredulità annuncia il risveglio di Lizzie Brown. Le labbra disegnano un sorriso sul volto del rapitore, lieto della bella notizia. "Hai dormito bene?" domanda pacato. Il silenzio di confusione e panico che serpeggia nella stanza fanno impazzire Lizzie. Si mette a sedere, tocca con mano la plastica trasparente che giace sotto di lei e pian piano si rende conto di averla tutta attorno. Le pareti, i mobili, i cuscini. Ogni minima superficie è avvolta in quel materiale soffocante. Tranne lei.
L'agitazione che la pervade e i movimenti sempre più scoordinati, spingono il pittore a proseguire. Le sue parole la immobilizzano per qualche secondo, come un animale in trappola che sente i passi del cacciatore. "Lo so. La plastica è fastidiosa, sulle prime non la sopporta nessuno." afferma di spalle, prestando la sua completa concentrazione sul foglio che ha di fronte. È seduto ad una scrivania, sta scarabocchiando qualcosa, dei guanti coprono le sue mani per non lasciare impronte. "Purtroppo non posso farne a meno, sarebbe troppo rischioso. Ma vedrai che tra poco ti ci abituerai."
Il silenzio viene disintegrato pochi istanti dopo. Un urlo, uno dei più forti che lui abbia mai sentito, squarcia la tensione e lo fa saltare sulla sedia. Si volta immediatamente, strabuzza gli occhi e si fionda sulla vittima. Non si aspettava che chiedesse aiuto così presto, senza nemmeno tentare di scappare prima. La lotta che ne segue è talmente misera da concludersi sul letto stesso. La donna viene bloccata sul materasso con una mano sulla bocca. Il pittore preme, chiude quella labbra con furia, mentre si fa sfuggire un ringhio di avvertimento. E di nuovo il silenzio.
"Che cazzo hai fatto?" una domanda retorica che precede la paura negli occhi del killer. Solleva un dito e lo porta all'orecchio, poi indirizza l'attenzione di Lizzie sul nulla assoluto, sulla pace dei sensi. "Hai sentito anche tu?" lei se ne convince, sbarra gli occhi e li muove da destra a sinistra cercando di evitare quelli del predatore. "Sono i soccorsi? Porca troia!"
Ma i sussurri che il pittore alita sulla faccia terrorizzata di Lizzie si trasformano ben presto in un grido. Il killer butta fuori tutta la voce che possiede, svuotando i polmoni e sforzando le corde vocali a dare il loro massimo. È il ruggito più folle che Lizzie possa sentire, è ciò che le fa comprendere che l'uomo che ha davanti non è lo stesso con cui aveva flirtato tempo fa. Quello è il diavolo in carne ed ossa.
E il diavolo ride. Ride di lei e del suo tentativo di chiedere aiuto. Per chi l'ha preso? Con chi crede di avere a che fare? Pensa di essere la prima a gridare nella tana del lupo?
"No." conclude lasciando la presa sulla sua bocca e usando la mano per tenersi su di lei. "Non funziona. Sembra non ci sentano. Ma hai un'ugola prodigiosa, non badare a me, puoi riprovarci quando vuoi."
Detto ciò, il pittore si rialza. L'abbandona lì, su quel materasso plastificato, con le lacrime agli occhi e i muscoli tremanti. Proverebbe un minimo di empatia, lo farebbe davvero, ma la ricrescita alle radici dei suoi capelli ramati gli ricorda il motivo del rapimento. Non è come tutti gli altri, questo è speciale, sa di giustizia, di missione punitiva. "Perché li hai tinti?" domanda, di nuovo con quel tono gentile. Ma Lizzie ormai non risponde più, è pietrificata, scossa come una gracile bambina. Dov'è finita la bugiarda traditrice piena di sé? Non flirta più con lui? Riesce a combattere solo i più deboli e non quelli della stazza del pittore? "Qualcosa mi dice che l'hai fatto per me. Da quando hanno detto in televisione questa cosa delle rosse che sopravvivono più a lungo... non so, è scattata come una psicopatia tra voi donne. Alcune si sono tinte di rosso, come te, altre hanno tenuto il colore naturale pregando di non essere viste nella folla. E poi... cazzo, questa non la perdonerò mai ai giornalisti: rosse naturali che cambiano colore. Mi si è spezzato il cuore quando l'ho scoperto. Da non crederci, vero?"
Dall'altra parte l'ugola prodigiosa sembra aver perso la sua efficacia. Lizzie non proferisce parola, ma per il pittore questo è il momento peggiore per prendere una decisione simile. Interrompe ciò che stava facendo, torna a voltarsi verso di lei e la guarda con aria seccata. "Gradirei un'interazione." afferma in tono grave e minaccioso. La finta rossa si irrigidisce di colpo, deglutisce e poi asseconda il desiderio dello psicopatico. Lo fa con incertezza, tremante e con un filo di voce. "Sì. È vero." conferma, affatto convinta. Cosa vuole che le importi del colore di capelli delle sue compaesane? Ma il pittore non tace, non ha parlato abbastanza, sembra non riuscire a smettere e più cose scopre Lizzie più impazzisce.
"Sai perché lo faccio? Perché proprio le rosse?" domanda con un sorriso stampato sulla faccia.
E lei risponde in fretta, dimostrandosi interessata come lui aveva desiderato. In parte magari vorrebbe saperlo, o meglio avrebbe voluto saperlo, ma ora come ora, in quella stanza, la donna vorrebbe solo scomparire. "No, perché?"
Dunque il pittore si appoggia bene allo schienale e punta gli occhi nel vuoto della bianca parete. Sembra star ricordando qualcosa che gli fa molto male. "Anni fa avevo una fidanzata. Era bellissima, piena di lentiggini, un fisico modesto e con del gran potenziale, ma che nascondeva sotto dei felponi pesanti. E allora dirai: era timida. No, non lo era. Lei era quel tipo di ragazza angelica, in cui però all'interno albergano le fiamme dell'inferno. Lì, tra quelle fiamme, sono stato battezzato, in mezzo alle sue gambe. Ho perso la verginità con lei. L'amavo. L'amavo alla follia, avrei fatto qualunque cosa pur di renderla felice." ammette con un sospiro innamorato. Lizzie può dir con certezza sia vero e avverte la sua sofferenza anche dal letto, a distanza di qualche metro. "Ma poi... decise che quello stronzo di Thomas Cooper, meritasse le sue attenzioni più di me." prosegue modellando l'espressione nostalgica in una killer, disperata. Gli occhi del pittore si fanno lucidi, sembra in procinto di piangere e Lizzie si domanda se avrebbe dovuto pure consolarlo. "Un bel giorno andai da lei. Non volevo spiegazioni, volevo solo che supplicasse il mio perdono. Ma lei non si metteva in ginocchio, non implorava, mi rideva in faccia. Così tirai fuori il coltello..." descrive le parole mimando ogni gesto "e ZAC! le aprì il petto. Mi presi il suo cuore, quello che non voleva più darmi ma ch'era mio di diritto."
È raccapricciante. Lizzie vuol scappare ora più che mai. Non vuole sapere se questa storia la sappia solo lei, se l'abbia detta ad altre vittime o anche solo il motivo per cui la stia raccontando. Vuole dimenticarla, perdere la memoria, risvegliarsi sana e salva a casa sua e scoprire che è stato solo un brutto sogno. Ma non lo è.
Il pittore riporta gli occhi su di lei e pone l'ennesima domanda. "Romantico, no?!" eppure Lizzie sembra aver perso di nuovo la voce. Ha incatenato gli occhi bagnati dalle lacrime in quelli altrettanto lucidi di lui. "Ho detto... è romantico. No?!" rallenta il ritmo con cui fa uscire le parole dalla bocca. Lizzie finalmente annuisce. "Mi daresti il tuo?"
"Mi serve." è la risposta tempestiva di lei. Riesce persino a strappargli un sorriso. Solleva un dito verso di lei, la indica e ammicca in cenno d'approvazione. Ha fatto colpo.
"Sei simpatica. Mi piace l'ironia."
Lizzie non lo sa, ma la sua ora è quasi giunta. Quel che il pittore sta per domandare rappresenta l'ultima parte della loro piacevole conversazione. Anche se adesso sembra restia a proseguire la chiacchierata, il pittore è certo che sarebbe diventata presto nostalgica e avrebbe supplicato per saperne di più.
Si alza in piedi, la mano avvolta nel guanto afferra la tela bianca poco distante. Poi si avvia verso il cavalletto e la posiziona lì, pronto a procedere. Mentre sistema gli attrezzi del mestiere, la tiene impegnata con l'argomento successivo.
"Conosci il detective Woodroof?" è una domanda così fuori dalle sue corde. Lizzie teme di rivelare troppo, ma la paura spinge la sua lingua a muoversi in fretta pur di aver salva la pelle. Come se fosse sufficiente.
"Di nome e di vista."
"E sua figlia?"
"Sì. Frequenta il multisala qualche volta."
"Oh, lo so. Ama i film horror. Cresce bene." il pittore torna a sorridere, sembra persino indossare nuovamente l'espressione innamorata di poco fa. Lizzie lo capisce: quello non è amore, ma ossessione. "Ricordo che una volta le chiesi il perché. Disse testuali parole: i mostri sono la nostra sfumatura più intima. È poetico per una teenager, mi ha sorpreso."
Sentirglielo dire mentre inserisce l'ago nella siringa è agghiacciante. Ma lo è ancor di più quando smette di parlare. Lizzie improvvisamente capisce che non avrebbe più detto nulla, che il suo desiderio di non sentire quella voce sta per avverarsi, solo lo avrebbe fatto per sempre. Così corre ai ripari, tira fuori qualunque spunto di conversazione pur di fermare la sua corsa all'omicidio.
"Le somiglia? Somiglia alla tua fidanzata?" il pittore non risponde, si ammutolisce, ma gli sfugge una risata tra le labbra. È divertito da quell'interpretazione, tanto psicologica e profonda. "Ha le lentiggini, è rossa, è molto bella. Ha la stessa età? Era così piccola? Voglio dire, è a malapena sbocciata, è quasi una bambina." Ma nessuna reazione del pittore prevede l'uso della parola. Lizzie si intestardisce. "È figlia del detective! Se le metti le mani addosso Woodroof ti ammazza!"
Lo spera. Il pittore scalpita dal desiderio di esser trovato da lui. Woodroof avrebbe ottenuto la sua gloria, avrebbero avuto modo di parlarsi apertamente, poi una volta in prigione il killer avrebbe trovato il modo di evadere. E al detective sarebbe rimasto solo l'amaro ricordo di sua figlia su tela. Se solo Lizzie sapesse che è proprio quel gioco a spingerlo verso Emily. Se sapesse del dono fatto appena poche ore fa o della lettera lasciata sul cuscino dell'innocente teenager. Ma Lizzie non sa nulla, non un singolo dettaglio rilevante. Lizzie è inutile, proprio come i capelli rossi che indossa per assicurarsi una morte lenta e l'occasione di un tentativo di fuga.
Lizzie perderà tutto ciò che le rimane, tutta la falsa bellezza che ha sfoggiato finora a Sherstone, in attesa della morte.
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