𝐋𝐗𝐗𝐈𝐈

Emily barcolla. Ha una scarica d'energia improvvisa, la gravità s'è fatta pesante e le consente poca libertà di movimento. Spera nell'ultimo sprint d'adrenalina o almeno d'essere abbastanza vicina a suo padre da sentirsi protetta. Sa già come funziona il suo corpo e, in generale, quello di un comune essere umano: nel momento in cui avesse visto John, sarebbe crollata all'istante e a quel punto la responsabilità sarebbe stata solo sua.

Come sa dove andare? Facile. Era riuscita a raccogliere sufficienti informazioni al Paradise, nonostante la paura che siano false l'assilli a ogni passo. Prova a correre, a metterci della forza. Si spinge metro dopo metro, fino a quando non si accascia sull'enorme porta in legno della chiesa, spalancandola. Ci vede a malapena. Dinanzi a sé le immagini si sdoppiano, sono coperte di nebbia e faticano a schiarirsi.

"Emily!" un grido incredulo. "Non dovresti essere qui!"

Una voce femminile echeggia lungo la navata. La figura snella e atletica col caschetto nero si fa via via più grande. Emily non è sicura di riconoscerla, ma non le importa più. Giunge il buio. Infine crolla tra lunghe braccia che attutiscono la sua caduta. "Va tutto bene. Sei al sicuro adesso."




Quando gli scarponi militari affollano la chiesa, non vi è più alcuna donna al suo interno. Lia ed Emily sono sparite, dissolte nel nulla, prima che la presenza inquietante faccia il suo ingresso. Il sergente sorride alla vista di ben quattro cadaveri stesi sul pavimento. È andata meglio di come sperasse.

"Ricordate di non toccare riccioli d'oro. Non ci interessa l'immondizia. Ma lui... lui sì."

Con accento tedesco, il sergente abbaia i suoi ordini e indica John Woodroof con il dito, stendendo il braccio in avanti e chiudendo un occhio per mirare, quasi fosse una pistola. I quattro soldati che lo accompagnano, giovani uomini protetti da un'armatura di spaventosi muscoli, partono al suo segnale, veloci ed efficienti. Il sergente, invece, soddisfatto cammina verso il corpo di Dallas. Passo dopo passo, lento come sa esserlo solo la morte. Il sorriso non lascia il suo volto neanche quando si piega sulla carcassa del killer. Non gli sfuggono i dettagli: due fialette vuote cadute al di fuori della tasca dei pantaloni di John Woodroof. Quelle sono la conferma che sperava di trovare sul pavimento della chiesa.

"Sei mancato. Tu e tuoi stupidi piani. Ultima volta hai regalato uno dei migliori agenti. Spero tuo gusto non sbagli neanche oggi." Un dejà vu, dunque. Quella scena è già stata vista, seppur con modalità e vittime differenti. "Buon riposo, pittore. Ci rivedremo, non ho dubbi."

Così lo congeda, forse nella speranza che seppur sia ben addormentato possa sentire le sue parole. Pesca il proprio telefono dalla tasca della giacca e compone un numero dal prefisso giapponese. Cornetta all'orecchio, attende tre squilli e poi la voce d'un uomo sulla trentina si insinua nel timpano del brizzolato. "Novità?" Domanda semplicemente.

"Tutto secondo piani, mio caro amico." Replica il sergente.
"Dallas è vivo, quindi."
"Solo assonnato. Come immaginavi, il detective ha usato entrambe le fiale. Al risveglio lo crederà morto, non darà più fastidio."
Un breve silenzio segue quelle parole, infine un sospiro prima di riprendere a parlare. "Assicuratene. Fatene ciò che volete."
E il sergente non ha intenzione di farselo ripetere due volte. "Sempre piacere fare affari con voi, Winston."




Non è facile spiegare cosa i muri di quella chiesa abbiano visto. Sono segreti, dinamiche e strategie che Emily forse non avrebbe mai potuto davvero comprendere. Ognuno dei presenti possiede il pezzo di un puzzle, un piano diverso, obiettivi diametralmente opposti. Un'ora prima di quel tragico finale, John aveva ceduto dinanzi al desiderio; due fiale erano state versate nel bicchiere di Dallas. Ma l'ex detective era stato uno stolto a credere che Matthew dicesse lui tutto, che non mentisse a un poliziotto qualunque senza tentare – per l'ennesima volta – di salvare colui che ha sempre considerato un fratello. Aveva fatto una promessa, un patto di sangue che non avrebbe mai infranto. Per mettere le mani su Dallas sarebbero dovuti passare prima sul suo corpo. Così, quando Matt aveva dato la seconda fiala a Woodroof, era consapevole di star offrendo una tentazione a cui un uomo tanto ferito e disperato non avrebbe saputo resistere. Il composto all'interno della prima fialetta contiene una tossina che simula la morte arrestando il battito cardiaco solo per un paio d'ore, il tempo sufficiente a Lia per ritrovare Emily, portarla via da quel posto e lasciare campo libero all'HGS per ripulire la scena del crimine. La seconda fialetta era un semplice placebo. Il rischio che John desse retta a Matthew c'era, senz'altro, avrebbe potuto dare a Dallas la fialetta sbagliata e mandare tutto il piano a rotoli, eppure il moro era certo di come sarebbe andata. D'altronde, gli occhi di John hanno sempre parlato chiaro: cercava vendetta, cercava morte e secondo le sue regole. Scendere a patti con un criminale? Non sarebbe mai accaduto.

Ma Dallas non era stato l'unico ad esser stato avvelenato. No, John avrebbe subito più o meno la stessa sorte, ma al posto di quella tossina avrebbe bevuto del sedativo. L'idea del pittore era quella di rapirlo, di offrirgli le torture che nel suo immaginario il detective meritava. Peccato non avesse messo in conto l'amore e la protezione di Matthew Winston. Se solo l'avesse fatto avrebbe anticipato quel che sarebbe accaduto da lì a poco.

Matthew ha un nome in quel campo, nella sua organizzazione, nella sua famiglia e dinanzi a chiunque abbia avuto la sfortuna di incontrarlo: il cuoco. Non solo per la sua italianità d'origine, ma per la sua effettiva bravura tra i fornelli e, ancor di più, per la sua impeccabile abilità di giocare con la materia organica. Nessun concetto di chimica sarebbe sfuggito al sicario. Per questa ragione è tanto temuto e ammirato nella criminalità. Per questa ragione Vasilisa stessa n'è rimasta affascinata quando lo prese nella Molniya. Il sicario non lascia tracce, è insospettabile e chiaramente più temibile di un impulsivo serial killer come Rowlings. Non è un caso che sia stato sottovalutato da chiunque abbia incrociato il suo cammino e, non è un caso, nemmeno che Emily si sia avvicinata così tanto a lui rimanendone quasi invaghita.

E lei? Emily? Che fine avrebbe fatto? 
Se lo domanda persino Lia. La piccola Pel di Carota non avrebbe dovuto seguire il piano di nessuno di quei bastardi, avrebbe scelto il suo destino perché se l'era meritato. Se l'è cavata bene, aveva guadagnato una discreta stima di Sabatini, aveva ucciso Rachele, era riuscita a trovare suo padre e aveva ammorbidito Matthew. Lia, inoltre, rivede in quella ragazzina la stessa luce che aveva visto in John. Non se la sente di manipolare la sua vita, di decidere al suo posto. 

"Posso riportarti a casa." propone la donna col caschetto, in piedi davanti alla finestra dell'appartamento in cui aveva alloggiato John negli ultimi giorni. 
Emily ha il volto gonfio e rosso, ancora bagnato dalle lacrime. Si è finalmente lasciata andare, l'è bastato metter qualcosa sotto i denti e recuperare un minimo di lucidità per sentire cos'era accaduto in quella chiesa e cosa c'entrasse Lia nelle vicende. La donna aveva cercato d'esser più delicata possibile, di darle i suoi tempi per metabolizzare ogni notizia, ritenendo che fosse troppo presto per sputarle addosso tutta la verità. Ma Emily non si sarebbe data pace fino a che non avesse saputo e dunque, suo malgrado, le aveva comunicato di esser rimasta sola. Secondo la narrazione di Lia, sia Arthur, sia sua madre che John sarebbero morti. Dallas, al contrario, era sopravvissuto. 

"Non ho più una casa." risponde Emily, passandosi il dorso d'una mano sotto il naso. C'è qualcosa che non torna alla ragazza. Sente d'esser di fianco a qualcuno di cui non potersi fidare, è certa, anzi, di aver di fronte forse la più grande manipolatrice che abbia mai conosciuto. Lia sa qualcosa che a lei sfugge; a differenza di ciò che credeva suo padre, secondo Emily quella donna è l'ingranaggio più potente dell'intero macchinario. No, forse non quello più grande, a pensarci bene c'è altro che alla ragazza non quadra: dev'esserci una seconda figura, qualcuno che nelle vicende è stato sottovalutato più di quanto lo fosse chiunque altro dei suoi protagonisti. "Voglio restare."

Lia si volta, dà le spalle alla città per guardare Emily negli occhi. Ciò che vede non è più il volto della sofferenza: c'è rabbia, ma non impulsiva come quella di John. No, quella ragazza ha qualcosa in mente, un qualcosa di ignoto ma che mette i brividi persino a una donna come lei, ormai inscalfibile e preparata a tutto. "Non dovresti." mormora incredula in risposta al desiderio appena espresso. Che voglia far visita a Dallas? D'altronde ora sa anche dove si trova, in una delle celle del Paradise, nei sotterranei dell'edificio. Senz'altro uno dei luoghi più sicuri, eppure qualcosa dice a Lia che non lo sarebbero per molto con Emily in circolazione. Non con quella brama di vendetta negli occhi. "Hai ucciso Rachele. Non saresti la benvenuta. E Ritchie... a lui non vai a genio, non me lo metterei contro. Credimi, è uno dei peggiori lì dentro."

"Non ho chiesto di ospitarmi. Rimarrò in città." contesta la rossa, ormai decisa sulla sua strada.
Così Lia ritenta. Prova a darle un buon motivo per ripensarci. "Non è sicuro. Tuo padre non lo vorrebbe." Ma la scelta di parole fatta sortisce l'effetto contrario, facendo scattare nella ragazza l'immediata e gelida risposta.

"Non parlare per lui. Non lo conosci."

Lia assottiglia lo sguardo. Non ha intenzione di pregare una stupida e testarda ragazzina. Se vorrà dichiarare guerra alla Molniya, sarà libera di farlo. A quel punto non sarà più la figlia di John, ma solo Emily Woodroof. E non esiterà a eliminare l'ennesimo nemico della sua famiglia.

"Non insisterò. Ma ti auguro di non trovarti qui quando tornerà Vasilisa. Tienilo a mente, ragazzina."

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