𝐋𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈

Chiesa cattolica, Manhattan

Solo e immerso in un dejà vu, John sorpassa le panche della chiesa nel buio della notte, circondato dall'odore di un ricordo intenso e nauseabondo che lo riporta con la mente a Sherstone. Quanto sarebbe bello se la testa rossa di Emily spuntasse fuori all'improvviso, caparbia e capricciosa come suo solito, pronta a rischiare tutto pur di aiutare il padre a risolvere il caso. Ma non è questo il giorno. Oggi la situazione è ben diversa e, dopo tanti tentativi, Pel di Carota ce l'ha fatta a mettersi nei guai, a sfidare l'assassino e stanarlo, con conseguenze che John spera non si rivelino fatali.

Woodroof tiene una mano sul gancio della pistola, riottenuta una volta uscito dal Paradise. Intanto prosegue nella sua ricerca, ben attento a ogni angolo presente attorno a lui. Si chiede dove sia Dallas, a che gioco stia giocando. Un indizio l'ha ottenuto dal Tristo Mietitore, ciononostante non sa bene cosa aspettarsi.

John pensa subito all'eventualità di trovare l'esatta replica del macabro scenario nella chiesa di Sherstone, una sceneggiata teatrale degna di Dallas Rowlings che, però, sembra non realizzarsi. I suoi occhi non scorgono alcun elemento già presente nei suoi ricordi. Sull'altare vi è solo un laptop scuro che, titubante, decide di aprire con la mano libera dalla presa dell'arma. Quando il display si illumina, una serie di finestre offre la visuale di più location. Woodroof le riconosce come immobili, comprende che non siano in presa diretta, ma solo dei video che – per un qualche motivo – Dallas vuole che lui veda. In una può osservare sé stesso all'interno della casa di McGregor, intento a derubare Dallas del suo taccuino. In una seconda vi è Joline, inquietantemente osservata da un occhio digitale a lei invisibile, mentre chiacchiera con il suo aguzzino. Una vede la Baldwin assieme a Thomas, l'altra è all'interno della scuola. E ancora, una videocamera riprende Elizabeth, una riprende il necrofilo che John stesso avrebbe voluto tenere dietro le sbarre per il resto dei suoi giorni. Ce ne sono altre; John può notarle ridotte a icona nella barra del computer, ma non ha tempo materiale di visionarne il contenuto, che una voce terribilmente conosciuta richiama la sua attenzione costringendolo a voltarsi.

"La vedo confuso, detective. Stanco, direi."

Una constatazione di senso, che in effetti spiega come sia possibile che non abbia sollevato l'arma verso di lui al solo sentire la presenza alle spalle. Non è la prima volta che vede quell'uomo di persona, ma è la prima volta che vede Dallas Rowlings e, solo ora, si rende conto quanto la sensazione percepita ai tempi fosse sincera: John ha sempre saputo che si trattasse di lui, che fosse lui il suo uomo, eppure non ha mai dato retta alla pancia. La nauseante stretta allo stomaco è stata fraintesa dal vero nemico di John: il cervello. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi guidare dalla ragione dimenticando il suo istinto, l'unico che in fin dei conti gli è rimasto a fianco nella sua lunga carriera. Se ne pente. Avverte il peso delle sue ultime scelte e Dallas lo sa bene.

"Ti biasimi?" è l'orrenda domanda che pugnala John. Dallas sa come colpirlo, l'ha studiato bene per tutti questi mesi.
"Cosa?" chiede chiarimenti, l'ex detective, accigliandosi notevolmente. Dallas si fa più vicino. Non sa nemmeno dire da dove sia spuntato fuori, ma l'aspetto fresco e predatorio da ragazzino insolente, dà sui nervi a John. Passeggia sereno, imperturbabile, in direzione di un uomo teso e fuori dal suo ambiente. È stato furbo: l'ha messo in trappola, in un luogo in cui è ospite inetto, in cui ha le mani legate e in cui si sente preda.

"È un aspetto comune, in queste situazioni, sentirsi in qualche modo... colpevoli." Lo dice come se ci si fosse ritrovato molte volte, come se quelle situazioni fossero frequenti per lui. Ma parla davvero del presente? John pensa di no, teme si stia riferendo ad altro, ossia a ciò per cui sente di doversi biasimare. E quel tasto duole come nessun pentimento potrà mai fare. Decide di scavare, di affrontare una volta per tutte quel macigno. "Di che situazione parli?"

Dallas ci sperava. Bramava quella domanda come un bambino brama la vigilia di natale. John glielo legge in faccia e se ne pente subito; l'espressione soddisfatta simile a quella quiete post-orgasmo tende ancor di più i suoi muscoli di rabbia.

"Dell'incidente."

Due parole che lo colpiscono in pieno petto. Il termine usato per descrivere ciò che è accaduto durante il rapimento di Emily, l'errore di calcolo che ha costretto John a trasformarsi in un topo in gabbia incapace di muoversi e correre da sua figlia, perfettamente caduto nella trappola da loro organizzata. Tutte le conseguenze di quell'incontro a casa McGregor sono motivo di tormento per John, colpevole – a suo avviso – di aver concesso al killer e alla sua malata famiglia di approfittare di approfittare di quella debolezza.

Dallas ci tiene a rimuovere quel peso dalla sua coscienza. Gli concede un inquietante sollievo, forse ancor peggiore del tormento stesso. "Biasimarsi o creare una colpa, è tipico di chi si trova nelle tue condizioni. Ma, in realtà, questa per te era una faccenda totalmente fuori controllo, John. Ci sono cose che un padre non può fare per proteggere la propria figlia. Ed è proprio la tua impotenza a renderti la vittima perfetta."

Ebbene, come supponeva John, la vera vittima non è mai stata Emily agli occhi di Dallas. L'idea paterna che si è fatto di lui e l'infinito loop di vendetta nei confronti di un già defunto padre, hanno contribuito a rendere John – e il simbolo della sua divisa – la miglior preda.

"Voglio mostrarti alcune cose. Siediti, prego."

Cose che, con molta probabilità, comprendono quelle che il texano ha già potuto osservare. Dal modo in cui si rivolge nei confronti del laptop, John può facilmente intuire che sia ora di vedere le finestre ridotte a icona che stuzzicavano la sua curiosità da quando le ha notate.

"Come ogni giallo che si rispetti, merita una spiegazione. E io desidero davvero che tu comprenda ogni minimo dettaglio. Te lo meriti, hai perso molto, sei stato bravo."

Il volto iracondo e disgustato dell'ormai fidato agente Chris Rogers, si palesa sullo schermo al primo click. Dallas mostra all'ex detective il suo vecchio collega, chiuso in una stanza per gli interrogatori e furente di rabbia. È sporco di sangue, ma qualcosa dice a John che non sia davvero il suo. Avviato il video può sentire una conversazione dalla vena inquietante tra lui e la Larsson.

"Sapete bene che non sono stato io."
"Noi non sappiamo nulla, a dire il vero. Ma non abbia timore, si preannuncia un lungo soggiorno per lei, agente. Avrà tempo per spiegarci tutto, nei minimi dettagli."

Una minaccia terrificante, che fa presupporre sia accaduto qualcosa di grave. È il secondo click del mouse a fornire spiegazioni a John, riguardo il loro incontro e, soprattutto, riguardo il sangue. Arthur giace in una pozza di sangue. John può percepire l'assenza di battito anche attraverso quella foto. L'unica parvenza d'esistenza in quella paresi momentanea, è data da un assordante fischio nelle orecchie del texano. Gli perfora le tempie, mentre gli occhi si bagnano di lacrime salate, intente a inondare le sue guance. L'espressione contrita e sofferente non è celabile, non vi è modo di frenarla. Viene esposta alla mercé di Dallas senza possibilità d'esser repressa.

È puro dolore. La mostruosità e la bruttezza della smorfia che esibisce non può che esser autentica.

Il suo compagno di vita, il suo amico, suo fratello. John non riesce a prender completa coscienza di averlo perso per sempre, ma la sua pancia lo sa. Cazzo, se lo sa! E cede proprio lei per prima, stringendosi con forza e rigettando la cena sul pavimento della chiesa. Se John è riuscito a non vomitare finora, è solo perché non aveva notato la scatola aperta di fianco al corpo di Arthur. Ma quando i suoi occhi hanno riconosciuto la testa della sua ex moglie, mozzata e coperta di sangue, nulla ha potuto interrompere la corsa della cena lungo l'esofago. Pulisce la bocca con la tovaglia presente sull'altare, tenta di rialzarsi, di rimettersi in senso, ma i conati sono talmente intensi... Gli pungono la gola con una ferocia tale da annebbiargli la vista anche quando raddrizza la schiena.

Non riesce. John è sulla soglia della crisi. Dallas cammina sul sottilissimo filo dell'autocontrollo rimasto al texano. E non c'è da stupirsi se, contro ogni piano, John tira la pistola fuori dalla cintura per puntargliela addosso. Ma non è ingenuo, non è privo d'esperienza come Emily. John può sentire chiaramente quanto la sua amica di ferro si sia alleggerita e lo può immaginare, disegna il russo nella sua mente come se gliel'avesse visto fare: il bastardo ha tolto i proiettili. E sebbene sta volta Dallas abbia temuto davvero per la sua incolumità, dando almeno questa soddisfazione a John quando ha deciso di premere comunque il grilletto per verificare, l'angelo custode Matthew è riuscito a proteggerlo di nuovo. Woodroof ci metterebbe la mano sul fuoco: il sicario aveva previsto tutto, scatto d'ira compreso.

"Me l'hai proprio fatta. Ho creduto di morire davvero. Sarebbe stato da matti! Te lo immagini?" blatera il pittore, con una mano sul petto e il respiro affannato.
"Oh sì, lo immagino."

È un'esclamazione sincera. John non fa altro che vederlo morto ogni volta che chiude gli occhi. L'idea di esserci andato vicino, gli mette un po' di frustrazione addosso.

Lascia sull'altare l'arma scarica, si allontana dallo schermo del portatile per sfregarsi le mani sulle palpebre, quasi a voler cancellare quelle cruente immagini dalla sua testa. Non funziona, lo aveva previsto, ma camminare avanti e indietro fa sbollire un po' di rabbia nonostante talvolta si chini su sé stesso per riprendere fiato. È un attacco di panico? Vuole bussare proprio adesso?

Il petto si gonfia, le gote si inondano di lacrime che a malapena trattiene, tira e soffia aria da naso e bocca con violenza. È una scena ridicola, almeno per Dallas.  

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