𝐋𝐗𝐕𝐈

6 novembre 2021
Sherstone 

"Questo posto non mi piace proprio per un cazzo."

Chris anticipa Arthur sulla strada. Rotea gli occhi al cielo quando sente il suo superiore lamentarsi dell'ennesimo luogo da lui non gradito. Certo, sta volta non può biasimarlo. Il vecchio magazzino è all'interno della loro giurisdizione per un pelo. Era un ex fabbrica di cotone, ora abbandonata a sé stessa, inabitata da almeno dieci anni – se non abusivamente – e spesso scoperta sito di spaccio. Eppure, Chris e Arthur lì non ci avevano mai messo piede.

Il motivo della loro presenza, è parecchio particolare e risale alla documentazione di Snyder. Chris aveva trovato una coincidenza assai insolita tra l'agenda del pittore e una delle foto all'interno della cartellina top secret dell'NYPD. Inizialmente aveva visto la foto: raffigurava la fabbrica dall'esterno ed era stata scattata dalla polizia di New York. Dietro c'era scritto "agosto 2019", ma non c'erano ulteriori informazioni. Chris ha dedotto si trattasse dell'indagine di Green e di una sua pista, una mera ipotesi che chissà in che modo era stata formulata e che, a quanto pare, si sarebbe rivelata valida se Green avesse avuto l'agendina con sé. Ciò che Chris però non sa e non potrà mai sapere, è che il dito che ha scattato quella foto sia dell'HGS. La cartellina è fuorviante, racconta tutt'altra storia, ma sulle tracce del pittore c'è sempre stata quell'agenzia.

L'agendina, dal suo canto, segnava le coordinate del luogo. Come avevano fatto a non notarle prima in quella sfilza di nomi? Sarebbe stato impossibile farlo senza una buona dose di esaurimento, una luce ultravioletta e l'idea di puntarla sulle pagine sfogliate distrattamente. Proprio sul fondo, sulla parte rigida e interna del libricino, l'occhio di Chris ha visto delle cifre illuminarsi. Così ci è ripassato, ha rizzato la schiena e ha urlato il nome di Arthur Smith, richiedendo la sua attenzione. Quando cercando le coordinate ha scoperto si trattasse di una fabbrica abbandonata, ha immediatamente ricordato il contenuto della scatola consegnata da Lia.

Arthur non è felice di quella scoperta, non lo è mai quando le cose si fanno complicate o prive di certezze, ma è il suo lavoro ed è disposto a sacrificare il suo fegato pur di venir a capo di questa faccenda e riabbracciare Emily.

I due agenti si sono diretti immediatamente verso la destinazione. Per qualche chilometro Chris è stato certo di aver visto una macchina seguirli. Ha pensato all'agente speciale Larsson, a qualche suo sottoposto che li stesse tenendo d'occhio, ma quando ha voltato a destra per quattro volte per capire se li stessero pedinando e ha perso la vettura alla seconda svolta, si è rasserenato beccandosi il rimprovero scorbutico di Arthur. "Scusa, sto diventando paranoico." Ha commentato il giovane, accettando il tono di Smith pur di farlo stare zitto. Ma ora, dentro le mura malconce della fabbrica, ogni rumore mette i brividi lungo la schiena di entrambi.

"Dovremmo dividerci. La struttura è troppo grande." È il suggerimento di Rogers.
"Ma non li guardi i film? È una pessima idea."
"Non siamo in un film, però. E potrebbe volerci tutto il pomeriggio per ispezionare la struttura. Vuoi rimanere qui dopo il tramonto?"

Arthur sbuffa sonoramente. Il ragazzo non ha tutti i torti e questa cosa a lui non va affatto bene. Dannazione – pensa – chi me l'ha fatto fare? "D'accordo. Tu vai al piano di sopra, io finisco questo e ti raggiungo." Afferma arrendevole, tirando la pistola fuori dalla fondina. Lo stesso fa Chris, annuendo e dirigendosi alle scale.

Il piano di sopra è un piano quasi completamente intatto. È diverso da come se lo aspettava Chris, quasi surreale. Non credeva di trovarlo vuoto e totalmente abbandonato a sé stesso, poiché convinto che qualche abusivo ci sarebbe stato: materassi, siringhe, coperte, oggetti inanimati che dessero la sensazione di vita, di casa, seppur temporanea e improvvisata. Ma quel che si trova davanti, in fondo a uno dei corridoi, è una serie di stanze agghindate a modo. In tre di queste ci sono letti, armadi e tutto l'occorrente per una dormita adeguata: uno dei tre – in particolare – provoca in Chris una sensazione di inquietudine. Poi c'è una stanza in cui la polvere segue uno schema ben preciso: il tavolo contro il muro ha dei rettangoli più puliti, come se ci fossero stati degli oggetti. E a giudicare dalla polvere, Chris non dà più di due mesi all'abbandono di quelle stanze. È come se qualcuno fosse andato via in fretta e furia, portandosi via tutto ma senza impegnarsi a rimuovere la parvenza della propria presenza. È chiaro che lì ci sia stato qualcuno e non un senza tetto qualunque.

Al piano di sotto, invece, Arthur non trova altro che desolazione più totale. Al di là di qualche macchinario rotto e di qualche stanza con rotoli di stoffa abbandonati, non c'è nient'altro che escrementi di animali e cemento. E a giudicare dall'odore che sente man mano che va avanti, si direbbe che qualche animale ci abbia pure perso la vita lì dentro.

Arthur prosegue, passo dopo passo, sempre più vicino a quell'odore intenso che comincia a essere incredibilmente familiare. Ma fino a quando non vede con i suoi occhi ciò che gli si palesa dinanzi, non accenna a fermarsi. È solo allora, aperta la porta di uno dei saloni e calpestati una manciata di metri, che Arthur vede un fantasma.



6 novembre 2021
Manhattan 

La sigaretta ormai consumata, cade dalle labbra di John non appena i suoi occhi si posano sulla facciata del Paradise. Dal vivo ha un aspetto inquietante: John è certo non si tratti della sua consapevolezza di ciò che cela quell'ingresso, ma riesce a vedere chiaramente come quella sensazione sia condivisa dai passanti. Persino un cieco avrebbe la pelle d'oca davanti a quel mastodontico ingresso a neon. C'è qualcosa di spettrale, qualcosa che metterebbe i brividi a chiunque. Solo a pensare che sua figlia sia stata portata lì e che non le venga concesso d'uscire, viene la nausea a John. A seguito dell'omicidio, del rapimento, dell'abbondante prelievo di sangue e di chissà cos'altro, la sua Pel di carota deve sentirsi terribilmente compromessa, contaminata. E se non la riconoscesse? Se fossero riusciti a cambiarla? Se tanto dolore avesse rotto qualcosa dentro di lei?

Sono numerosi gli uomini all'ingresso, vestiti di nero e con i muscoli ben in vista. Hanno delle radioline sul petto con cui comunicare tra loro. Che la sicurezza sia ferrea, viene dato per scontato già solo a guardarli. John è certo che nessuno oserebbe infrangere una delle regole del locale. E come si potrebbe? È risaputo – o almeno si vocifera – che anche il più innocuo lì dentro sia addestrato a uccidere. John si avvicina all'ingresso. Si mette in fila. Attende pazientemente il suo turno, fino a quando uno degli uomini – quello senza capelli e con una cicatrice che va dalla nuca alla fronte – non gli fa cenno di avvicinarsi. Pessimo presentimento, ma non ha altra scelta. John fa come gli viene detto.

"Tu entrare." Ringhia la bestia con accento russo. "Fermo oltre porta. Mani in vista, dopo controllo segui istruzioni."

Lo fa. Decide di fidarsi, non di lui ma di Lia. Una volta superata la soglia sotto la gigantesca serratura a neon, John attende con le mani dietro la nuca. Si trova in una specie di anticamera semibuia; da lì esce un ragazzino ossuto, biondo e con un solo occhio azzurro. L'orbita sinistra vuota nemmeno viene degnata d'esser coperta.

Le mani del ciclope scorrono rapide ed esperte sulle pieghe del corpo di John. Si direbbe persino più bravo di lui nelle perquisizioni, migliore di un poliziotto. Trova la pistola all'istante, poi il coltellino svizzero. John ne viene privato. Ma le due fiale rimangono dove sono, conservate con cura nel tubo di una penna nascosta nella tasca interna della giacca. Ottimo nascondiglio, pensa quando il ciclope gli fa cenno di passare oltre. La tenda si apre ed eccola lì: Lia, la sua àncora di salvezza in quell'oceano di criminali.

"Seguimi." Dice solo. Non per questo non nota lo stato di inquietudine che John tenta di nascondere. Non riuscirebbe mai a fingere davanti a lei, nemmeno se tentasse con tutte le sue forze. Così gli concede una piccola e fugace carezza sul dorso della mano, un contatto dato mentre si volta per precederlo e scortarlo nella zona vip. Poi come perfetti sconosciuti i due si inoltrano nell'ambiente del Paradise. Lia lo aveva avvertito: ci sarebbe stata per lui, in qualunque momento, ma non avrebbe potuto darlo a vedere in modo tanto palese. L'unico che conosce i dettagli della vicenda è il Tristo Mietitore e nemmeno lui, per quanto magnanimo sia con le donne della Molniya, sarebbe stato in grado di approvare a pieno quella tresca. John è certo, pian piano che scende i gradini e si immerge nella Red Zone, che l'odore di sbirro si senta perfettamente in quel locale. Sovrasta qualunque altro aroma, sebbene lui non possa avvertirlo poiché costantemente circondato, può dire, a giudicare dalle facce dei membri dello staff, che non ci sia nessuno che non l'abbia riconosciuto a naso ancor prima di guardarlo in faccia.

L'ex detective segue la donna senza farsi domande. Ne osserva a malapena i vestiti, tanto è concentrato a guardarsi attorno. Eppure Lia è molto provocante, fasciata da quell'abito nero e brillantato, mezzo trasparente. Maniche e gonna sono le uniche parti del vestito a non apparire attillate, probabilmente per nascondervi qualcosa. Ma Lia è stranamente l'ultimo dei pensieri di Woodroof, ben più concentrato a incrociare lo sguardo di metà dei membri dell'organizzazione.

La strada verso la loro destinazione appare infinita. Lia gli fa attraversare la Red Zone, la facciata principale del nightclub. Lo fa immergere in quella musica dalle note sensuali, costringendolo quasi a esser annunciato a tutti i presenti. Non passa inosservato. Quel luogo è fin troppo distante da lui, diverso e surreale rispetto a come se l'aspettava, molto peggiore di quanto credesse. E quando comincia a intercettare le espressioni sui volti dello staff, i brividi si fanno sempre più intensi.

Un uomo dai capelli biondi e con la mascella ben definita, lo segue con lo sguardo per tutto il tragitto; ha un che di inquietante e tormentato, John si chiede se sia felice di trovarsi lì. Una ballerina con lunghi boccoli castani gli sorride da uno dei palchi. Un bestione con i bicipiti grossi quanto la testa, cammina possente sbuffando aria dal naso come un toro, lanciando un'occhiata di morte a John. Non passa inosservato nemmeno tra i clienti: un uomo spilungone con tratti orientali lo osserva seduto a uno dei tavolini, ghignandosela sotto i baffi.

"In ufficio, cara." È la voce di un uomo vestito in tinta unita, estremamente elegante, più basso del detective, con due fini baffi sotto il naso e un sorriso falso come quello di Giuda.
"Avevamo detto zona vip." Contesta Lia. John ha di nuovo quel pessimo presentimento. Qualcosa non sta andando come previsto e, l'agitazione della donna, diventa ben presto anche la sua.
"Tesoro, non contraddirmi. Portalo in ufficio."

Così detto, la caricatura di Gomez Addams lo saluta con un cenno del capo e si defila. Lia si volta verso John con espressione di dubbio sul viso. "Va tutto bene?" chiede lui.
"Credo che il capo voglia vederti."
"Non sono qui per vedere lui." Non ha mai avuto la presunzione di credere che nessuno avrebbe tentato di ostacolarlo nell'incontrare Dallas e la piccola Pel di carota, ma non possedeva nemmeno quel genere d'aspettativa. Un incontro nell'ufficio del boss è l'ultima cosa che desidererebbe in questo momento.
"Lo so." Non tarda la rassicurazione. Una frase a cui John non sa se credere davvero. "È un uomo di parola, non preoccuparti, andrà tutto bene."

Non che abbia molte alternative. Se ora tornasse indietro e si rifiutasse, non potrebbe mai più rientrare. Tanto vale tentare. Annuisce, dunque, fidandosi ancora una volta di lei. E lei, lusingata da una fede che non sa se meritare, riprende a camminare facendosi seguire fino alla porta dell'ufficio del capo. Una volta giunta alla soglia, bussa in attesa dello scatto elettronico della serratura. La porta si schiude. John si avvicina.

"Sii onesto con lui e ti premierà. E porta rispetto per la famiglia, è l'unico sforzo che ti chiedo." Mormora vicina al suo orecchio. "Per favore, fai attenzione a ciò che dici."

Un bacio delicato sulla guancia del detective, lontana da occhi indiscreti lì nel corridoio precedente alla vip zone, a due passi dalla sua iniziale destinazione. Lia apre poi la porta, la spinge verso l'interno, rivelando la figura di un uomo tanto alto da starci a malapena nella poltrona dietro la grossa scrivania in mogano. Lia precede John, poi attende che entri per chiudere la porta alle loro spalle.

"Finalmente riesco a incontrarla, signor Woodroof. È un onore, mi creda." Ammette l'italoamericano, prima di far cenno a John di accomodarsi su una delle poltrone a disposizione. "La prego, prenda posto."

"Capo." Interviene Lia, avanzando di due passi oltre John. "Si era stabilito altro."
"Sì, ma poi ho pensato fosse il caso di parlare con il nostro ospite, per dargli il benvenuto. Lia, ti ringrazio per averlo scortato in sicurezza fino qui. Puoi andare."

Francesco Sabatini la liquida così, con un cenno della mano in direzione della porta. Ma Lia non demorde, non si arrende, testarda e di carattere come l'ha conosciuta John. "Vorrei restare."
"No." Dice semplicemente il suo capo. Lia ritenta con tono di rimprovero. John è certo, da come si guardano, che il loro rapporto sia migliore di quanto lo spilungone voglia far credere.
"Francesco." Lo chiama per nome, lui si addolcisce appena, ma ormai ha preso la sua decisione.
"Vai a controllare che sia tutto in regola, fai la brava."

Passano interminabili secondi di silenzio e sguardi. E contro ogni aspettativa del detective, Lia accetta. Esce dall'ufficio e li lascia lì dentro. "Non ha ancora detto una parola." Gli ricorda Francesco. John si avvicina alla sedia, sbloccando i piedi dal pavimento e riprendendo a muoversi come una persona normale. Intercetta la lunga mano del boss, la stringe e poi prende posto sulla comoda poltrona. Solo ora nota tanti dettagli dell'ambiente che a prima occhiata erano passati in sordina. "Non mi aspettavo di incontrare lei." Afferma mentre le iridi scorrono lungo le pareti. Sulla destra, in particolare, nota quella che ha tutta l'aria di essere la postazione vuota di una spada, probabilmente di una katana. Pochi centimetri più in là ci sono dei ripiani: quello che attira l'attenzione di John è l'intermedio, dove riposa un barattolo di vetro contenente del liquido e l'inquietante organo riproduttivo maschile perfettamente conservato, con tanto di etichetta. Sembra un cimelio, una lapide. Thomas è il nome inciso di fianco a due date, probabilmente la nascita e la morte. È disgustosamente disturbante.

"Lo capisco. Non sia sospettoso, la prego. È solo una chiacchierata." Lo rassicura Francesco, lasciandogli osservare l'ufficio senza commenti.
"Necessaria?" domanda John, mentre distoglie lo sguardo per portarlo dietro il suo interlocutore. Un mobiletto pieno di cassetti, cela una massa consistente di carta arrotolata, oserebbe dire tele dipinte.
"Temo di sì." Prosegue Francesco, riportando l'attenzione su di sé. "A dire il vero, sto cercando di darle una mano. Sua figlia è la benvenuta, è una ragazzina in gamba, non causa problemi ed è un'ottima allieva."
"Allieva?" lo interrompe subito John, finalmente osservando l'uomo dinanzi a sé nei dettagli.
"Ci siamo presi la libertà di darle qualche dritta, di insegnarle a combattere. Deduco abbia già fatto gran parte del lavoro lei, aveva una base niente male, ma è ancora un po' grezza. Spero non le dispiaccia. Ho pensato fosse meglio, dovendo convivere con Dallas... Non è esattamente conosciuto per il suo autocontrollo. Volevo essere certo sapesse difendersi."

È un discorso che confonde John. Non si aspettava di certo quel tipo di riguardo nei confronti di sua figlia. Non soprattutto da una figura dall'apparenza così tetra. Lo vede bene ora: è bello, senza dubbio un uomo baciato da madre natura, ma porta con sé una nota di fumetto noir in grado di mettere i brividi solo a incrociarne lo sguardo. I capelli neri, perfettamente in grado di incorniciare e sottolineare il taglio degli occhi sottile come due lame. Il colore – magnetico – passa in secondo piano davanti allo sguardo letale che lo contraddistingue. La camicia bianca di seta cade morbida su un petto asciutto, giacca e pantaloni – che riesce a vedere senza problemi anche da seduto, essendo piuttosto lontano dal bordo della scrivania – sono neri con delle sottili linee bianche verticali. È un colore che gli sta addosso alla perfezione. Il viso pallido e scavato rende bene l'idea del tristo mietitore. E John sa che, da qualche parte, abbia persino delle iene che rendono la sua figura decisamente più cartoonesca.

"Ha guardato tutto attentamente? Posso spiegarle il motivo di questo cambio di programma?" colto in fallo, John batte le ciglia e si riconnette alla realtà, aprendo bene le orecchie in direzione di Sabatini. Ora che lo vede concentrato può dare il suo contributo. Rapido, senz'altro; il più rapido possibile, poiché non ha molto tempo a sua disposizione prima che Dallas scopra di quel loro incontro non programmato. "Ottimo. Arrivo al dunque. Dallas ha scoperto del suo coinvolgimento con Lia. E mi creda non è facile coinvolgere quella donna, renderla tanto fragile e convincerla a esporsi così. Men che meno per un uomo; è sempre stata piuttosto indifferente al nostro sesso e non la biasimo. Ma lei ha fatto colpo, non so come, su uno dei sicari più freddi e letali della Molniya e questo a Dallas fa storcere il naso. Vede, questa novità lo ha destabilizzato e, quando l'equilibrio di Dallas viene compromesso, diventa ingestibile, fa all-in. Ecco perché si trova nel mio ufficio e non nella vip zone assieme a lui: vuole aumentare la posta in gioco e io voglio darle qualche strumento utile per non farsi incastrare. Credo lei se lo meriti e soprattutto tengo a Lia... mi dispiacerebbe creare conflitti interni alla famiglia perché lei ci rimane secco."

È arabo, per John. Quel che gli viene detto è quanto di più nonsense abbia sentito negli ultimi mesi. Non comprende, sembra essere entrato in un libro di mafia per ragazzine, in cui i cattivi sono buoni e i buoni sono cattivi. Non comprende davvero ciò che Sabatini gli sta dicendo, ma qualcosa gli dice che sia una trappola e che debba tenere gli occhi ben aperti. C'è qualcosa che non torna in quelle proposte, in quei piani. Matthew gli offre una strategia vincente per riprendersi sua figlia, il boss della Molniya ne offre una per non cadere nella trappola del killer, Lia... sarebbe terribile scoprire di un doppio gioco da parte sua. Certo è, che se ha mentito merita l'oscar per la miglior performance a cui John abbia mai assistito.

"È confuso, vero?" Sabatini interrompe i suoi pensieri, facendosi specchio dell'espressione corrucciata che sta esibendo il detective. "Sì, immagino non sia il tipo di idea che si era fatto di me. Ma per tenere unita la famiglia, bisogna fare anche questo."

Davvero? È davvero questo il motivo di tanto riguardo? O c'è un piano di cui non è a conoscenza? Magari è quel cento percento che Matthew non voleva dirgli. "Quali sono gli strumenti?" domanda John, accettando di assecondare quella folle proposta di salvezza. C'è da fidarsi di un boss mafioso che tende la mano? Qualcosa dice a John che ci sia un prezzo da pagare e chissà se non lo sta pagando già ora, lontano dai suoi affetti.



6 novembre 2021
Sherstone

Il silenziatore fa dello sparo un sospiro. Attraversa la tasca della giacca e, senza dar tempo ad Arthur di fare un qualunque gesto o dire qualcosa, gli buca il petto facendolo crollare a terra in picchiata. Gli cedono le gambe, porta le mani sulla ferita tentando di tamponarla. Ma il sangue scorre copioso, tanto da costringerlo a mollare l'arma e concedersi completamente a quell'emergenza. Utilizza la radiolina, chiama la centrale mandando un S.O.S a chiunque fosse all'ascolto. "Uomo a terra", dice con il poco fiato che ha in corpo, "fabbrica di cotone abbandonata" e dà le coordinate. Matthew lo lascia fare, gli fa comodo una pattuglia.

È stato rapido e sorprendentemente indolore. Fin troppo veloce, senza una lotta, senza una degna uscita dalle scene. Agonizza sul pavimento, solo con il nemico che s'avvicina lentamente, in tutta calma. Vestito elegante, come un damerino. Arthur non l'aveva mai visto in quel modo.

Matthew lo guarda privo d'espressione. Quel che andava fatto è stato fatto e nel modo più pulito possibile. Doveva proteggere il suo amico, eliminando una delle pedine che più stava diventando scomoda. Non che lo ritenesse un pericolo, ma l'aveva promesso a Dallas come ultimo lavoro e così ha tenuto fede alla parola data.

Il sicario lascia una scatola sul pavimento, di fianco al quasi cadavere dell'agente. Smith non ne può più di vedere quell'oggetto, qualunque cosa ci sia dentro nemmeno vuole vedere di che si tratta, preferisce l'ignoranza. E Matthew non è lì per dargli quell'ultima pena prima che si spegna per sempre. Ma un'informazione gliela vuole dare.

"Ricordi quella donna di cui ti parlavo tempo fa, al pub?" Arthur non risponde, se non con un'imprecazione galante delle sue. Matthew detesta le parolacce. "Certo che no, eri ubriaco da far schifo. Ti dicevo che era andata a Tokyo, che era lontana. Tu l'hai insultata, col tuo solito savoir faire. Be', sto andando a riprendermela. Era carino fartelo sapere. Com'è carino farti sapere che John sta bene, l'ho visto, sta andando a riprendersi sua figlia. Emily è a un passo dal tornare a casa e tutti vivranno felici e contenti."

È strano come quella notizia riesca a rilassare i muscoli di Arthur. La tensione che aveva nei confronti di Matt, la necessità di vendicarsi e strozzarlo con le sue mani, l'istinto burbero e le imprecazioni... tutto si spegne per un momento, lasciando spazio a un mezzo sorriso, facilmente confondibile con una smorfia di dolore. La verità è che questa promessa rende valida la sua morte. Gli va bene così, perché sa che qualunque cosa stia accadendo, non avrebbe dato pace alla Molniya dopo ciò che è successo ai Woodroof, nonostante si ostini a dimostrarsi pavido e corruttibile. Arthur avrebbe dato la vita per John ed Emily. Per lui è una dipartita più che valida.

"Ma tu... tu eri un sacrificio necessario. Dallas è convinto tu sia un peso alla caviglia. Io credo tu sia innocuo, troppo stupido per fare il poliziotto. Un buon amico, questo è chiaro, ma non potevo tirarmi indietro. Spero tu possa capire."

Emily e John stanno bene. È tutto ciò che conta. Arthur però non si lascia sfuggire l'opportunità di indossare quella maschera d'ira ancora una volta. "Figlio di pu-" borbotta con cattiveria, contro Matt. Ma il damerino si affretta a interromperlo sollevando un dito e premendo la suola della scarpa sulla ferita sul petto di Arthur. Avrebbe lasciato impronte sul pavimento... sì. Sarebbe stato un smacco ancor più grande andarsene da lì seminando briciole senza esser arrestato.

"Ah! No, mia madre è una buona donna. Non è educato da parte tua parlare così del gentil sesso. È una cosa che non capisci neppure in punto di morte. È incredibile."

Nemmeno si degna di pulire la scarpa. E per quanto Arthur sia considerato uno stupido piedipiatti da quel sicario, persino lui comprende bene la beffa che sta facendo della polizia con quel gesto. Eppur non gli importa. Emily e John stanno bene. Vuole credere a questo.

Matthew tira fuori la pistola dalla tasca. È più grande di quanto sembrasse rinchiusa in quella stoffa o forse è Arthur a vederci doppio. La punta di nuovo verso l'agente, senza trovar resistenza. "Ci vediamo all'inferno, Arthur. Fa buon viaggio, vecchio bastardo." E così dicendo, spara di nuovo. Un altro fischio pone fine alle sofferenze del biondo, spegnandolo definitivamente.

"Fermo!" una voce maschile giunge improvvisa dalla porta della sala vuota. La pistola sollevata e diretta verso il sicario. Chris Rogers è proprio un tipetto interessante, pensa Matt. Avrà futuro. Ne è certo. "Mani in alto o sparo!"
"Non sparerai. La scatola è per te."

È con quella frase, con una piccola distrazione, che il moro sparisce dietro uno degli angoli di quel labirinto di cemento, trovando un'uscita sicura attraverso uno dei tanti muri distrutti dal tempo. Chris ha la conferma delle sue paranoie: era lui a seguirli. E ora è quasi certo che quel posto fosse uno dei rifugi del Pittore; era lì che teneva le vittime, vedere Matthew glielo conferma in qualche modo.

Le sirene della polizia si fanno d'appresso, sempre più forti urlano in direzione dell'edificio. Chris corre da Arthur per accertarsi dell'assenza di battito e, come immaginava, riesce a confermarlo in pochi secondi.

Il ragazzo ci si accovaccia sopra, sporcandosi di sangue incurante delle conseguenze. Lacrime amare rigano le guance, bagnando il cadavere. Nessuno ci avrebbe mai scommesso, ma Chris è un fiume di sofferenza davanti a quella perdita. Nonostante i mille difetti dell'agente Smith, quell'uomo si era dimostrato un vero mentore, sempre pronto a sacrificare sé stesso per John. Non importa quanto condividesse, quanto dicesse di non fidarsi delle sue intuizioni: Arthur finiva sempre con l'assecondarlo, con l'ascoltarlo e con l'esserci. Non importa come.

"Mani dietro la testa. Lentamente!"

L'urlo assordante di una donna alle spalle di Rogers, lo costringe a obbedire. Il volto tumefatto dal pianto sarebbe stato visto da tutti. Poco gli importa. 

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