𝐋𝐗𝐈𝐕
30 ottobre, Sherstone
Arthur e Chris non l'avevano ancora capito, ma se John si è intestardito tanto sull'indagine che riguarda quel gruppo di bulletti un motivo valido c'è; senza distintivo gli è impossibile ripercorrere gli eventi e farvi giustizia, ma i suoi colleghi possono ancora prendere in mano l'intera faccenda e scavare a fondo. Così, quando John ha presentato tutte le prove che era riuscito a raccogliere in quei giorni ai due poliziotti, Arthur e Chris hanno finalmente capito dove stesse andando a parare.
"Vuole andare a New York. Dico bene, detective?"
Chris si è dimostrato essere il più sveglio, ricettivo e leale di quanto John credesse possibile. Arthur ha colto la frase pochi istanti dopo, rabbuiandosi e prevedendo di non essere incluso in quel viaggio. E, specchio del suo amico, con l'ausilio di un sospiro, Woodroof si concede a un silenzio assenso parlando di tutt'altro.
"È passato molto tempo dal giorno del rapimento, ma sono quasi certo che Emily abbia dato un'occhiata alla documentazione di Josh prima d'esser stata portata via. Voglio controlliate nell'archivio, qualunque traccia sarà indispensabile, seppur non mi aspetti che troviate qualcosa di utile con tutta la gente che ci passa. Indagate anche sul rapporto con la Ferguson; ci ha aiutati molto e le sono grato, ma era incredibilmente vicina a Matt e voglio capirci di più. Confido in voi, siete due poliziotti validi, gli unici di cui io mi fidi."
È finalmente il biondo a prender parola. Decide di premer la mano sul quesito che Chris ha posto qualche istante prima. "Quando partirai?" chiede, dunque, in attesa di una risposta verbale e chiara che l'amico, sta volta, decide di dare.
"Oggi stesso." Un colpo ben accettato. D'altronde, seppur la distanza possa causare problemi, Arthur e Chris sanno bene quanto sia indispensabile quel passo verso New York. "Lia mi ha trovato un appartamento al dodicesimo piano della sessantasettesima strada, lato est di Central Park. Il Paradise non è lontano da lì. Se avrete necessità mi troverete a questo indirizzo e potrete chiamarmi a questo numero."
Preventivamente, John ha segnato su un pezzo di carta tutte le informazioni per i due colleghi. Quel foglio, ora, è nelle mani di Smith con la raccomandazione di non perderlo mai o, in caso, bruciarlo. La scatola di Snyder, invece, deve rimanere intonsa e nascosta nel migliore dei modi. John ha avuto occasione di studiarla ben bene e finalmente è giunta l'ora di utilizzarla a dovere.
"Non siete soli, comunque. Con voi c'è Snyder, seppur non fisicamente. Ed è qui dentro, con tutte le sue indagini."
Arthur ha avuto la possibilità di dare un'occhiata all'interno della scatola e, a dirla tutta, è sempre stato scettico della sua utilità. Dunque non è una sorpresa che ad avvicinarcisi sia proprio Chris. Infila le mani all'interno del contenitore di carta, tira fuori uno dei fascicoli, quello nominato profilo psicologico. Dà una letta veloce, evidenziando nella sua mente solo le parole sottolineate e cerchiate e promettendosi di studiare bene ogni virgola di quel materiale conclusa la conversazione con colui che considera ancora suo superiore.
Nessuno si aspettava che sarebbe andata così. O meglio, se lo aspettavano tutti e tre, ma erano convinti in cuor loro di esser partiti assieme. John, solo, con un bersaglio sul petto... insomma, diciamo la verità: niente preannuncia un lieto fine.
1 novembre, New York
L'appartamento è più confortevole di quanto pensasse. Lia ha trovato al detective una sistemazione degna della sua eleganza. Lasciate le borse sul letto, John si è persino concesso del whiskey per schiarirsi le idee. Lia aveva pensato anche a quello: una bottiglia e due bicchieri sul tavolino del salotto fanno supporre all'ex detective che presto si sarebbe aggiunta a lui. E sebbene sia diffidente e una parte di lui sia convinta che la donna stia facendo il doppio gioco, decide di fidarsi e usufruire di quel regalo di benvenuto senza troppe cerimonie.
Il paesaggio è nostalgico per lui. Vedere la caotica metropoli di notte, gli ricorda i tempi della formazione in gioventù. Lo rende speranzoso ma anche preoccupato, a dir poco. Le luci dalle finestre, le freddi correnti che circolano tra gli alti palazzi, le urla euforiche e ubriache dei passanti, sono tutti suoni a cui aveva smesso di abituarsi. E poi il click della serratura alle sue spalle, oltre il salone, preannuncia l'arrivo della sua nuova alleata. Non si volta, sa per certo che sia lei, non per spavalderia ma per il suono degli scarponi sul pavimento. Ne riconosce il ritmo e la leggera impronta che lascia nell'ambiente. Uno spicchio di luce artificiale si insinua nell'appartamento, Lia fa appena qualche passo e poi annuncia la sua presenza ufficialmente.
"Ventisei ore di macchina. Non sono poche. Come si sente, detective?" domanda con tono quasi ironico, canterino, caldo, fatale, proprio quello che si aspettava John. Lo fa per mantenere le distanze, fingendo che la risposta non le interessi realmente. John l'accontenta con una fredda replica.
"Sto bene. Chiudi la porta."
Ma il silenzio che segue costringe John a voltarsi per guardarla in faccia. Sembra colta in fallo, come se avesse nascosto lui qualcosa di importante. Cazzo, doveva immaginarlo. Si rimprovera immediatamente, ma non se ne fa una colpa... non sta volta.
"Ho portato un amico. Ma dovrai promettermi di mantenere la calma." Dice lei, serpentina, velenosa. John sembra scettico, dunque ritenta. "Fidati di me come ti sei fidato del whiskey. Sono lusingata, a proposito."
Gli occhi chiari del detective scivolano subito sul contenitore di vetro, osservano il liquido al suo interno con dubbio, pur convinti di star guardando qualcosa di innocuo. John ci metterebbe la mano sul fuoco. Chissà perché.
Posa il bicchiere. Acconsente. Entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni, le spalle alla strada, il corpo rivolto alla porta. Lia fa un passo di lato e lascia che l'ospite faccia il suo ingresso. In controluce non lo vede bene, ma John lo distinguerebbe tra mille: quello è il barista, quello è Matthew Winston.
La mascella rigida esprime perfettamente la tensione che sta ricacciando indietro. L'occhiata a Lia è esplicativa, eppure lei riesce a ricordargli di respirare e di affidarsi a qualcuno per una volta nella sua vita di costanti sospetti.
Lo fa. Respira. Si affida a lei, ma non tiene a freno la lingua. "Sei venuto a consegnarmi mia figlia, spero."
"Posso sedermi?" è ciò che osa dire Matthew. Nemmeno attende risposta. Entra nell'appartamento, chiude la porta alle spalle, accende la luce fioca dell'ingresso e si accomoda al centro del divanetto. È talmente padrone di ciò che ha attorno, che per un attimo convince John d'essere l'intruso non desiderato. Rilassato come non dovrebbe essere secondo il detective, Matthew si appoggia allo schienale, si mette a suo agio, polpaccio destro sul ginocchio sinistro, braccio sinistro lungo il poggiatesta del divano. "Dallas non sa che sono qui. E vado un po' di fretta, spero tu sia ben disposto ad ascoltarmi."
John torna a guardare Lia, sebbene sia difficile con quel bastardo in casa. Perché non ha la sensazione che lei lo abbia tradito? Perché pensa che sia così che doveva andare? Perché lo consente senza muovere un dito?
"Voglio fermarlo quasi quanto lo vuoi tu." afferma Matthew, provocando ovvia e scettica ilarità sul viso del detective.
"Ma davvero?"
"Emily gli sta facendo male." È un pessimo modo per cominciare la conversazione, ma John tace. "È diventato ingestibile, sta reprimendo le sue pulsioni, sta agendo diversamente dal suo solito. Questo mi fa prevedere un'esplosione d'ira e non sarò in grado di contenerla. Voglio che venga aiutato, che qualcuno intervenga. C'è molto altro a cui pensare per noi, al Paradise. Ci sono questioni urgenti che non ci consentono di badare a lui e che mi porteranno lontano dall'America e da Dallas. Capisci che la distanza non farà altro che peggiorare le cose. Ecco perché voglio che tu agisca ora."
Che presunzione può avere un tale criminale per richiedere qualcosa di così stupido? John è incredulo. "Dovresti stare dietro alle sbarre, non lontano dall'America."
"Credimi, vado in un posto peggiore. Uno come me, per quel che ha fatto della sua vita, può solo sperare in un soggiorno dietro le sbarre. Non mi faresti un torto."
"Allora consegnati." Un invito accompagnato da un movimento di spalle. John trattiene in due pugni le mani dentro le tasche. Ci prova con tutto sé stesso, nella speranza che qualcosa di buono e sensato esca dalla bocca del moro.
"C'è una sola persona in grado di mettere Dallas al suo posto, John. Sto andando a prenderla. Non ti conviene fermarmi."
Parole che alle orecchie di John suonano ridicole. Lo sono. È assurdo che Matthew possa credere che lui sia disposto ad ascoltare. Assurdo, almeno fino a quando non pronuncia il suo nome. "Ho parlato con Emily prima di venire qui. Sta bene. Per ora. Ma Dallas è sempre più teso e dubito avrai molto tempo. Devi stare al suo gioco, vuole che tu segua le sue briciole, che lo affronti, che entri all'interno del Paradise... come cliente o intruso, non ha importanza. Ti vuole dentro. E loro ti faranno entrare. Ho portato una mappa cosicché tu possa studiare bene la struttura e non esser colto alla sprovvista."
Così dicendo si solleva dallo schienale per sfilare dalla tasca posteriore dei pantaloni un rettangolo di carta piegato. Lo lascia cadere sul tavolino di fronte, porta i gomiti su entrambe le ginocchia, rimettendo il piede destro ben saldo sul pavimento. Le mani giunte, le dita appena intrecciate in una posa statuaria. John processa quelle parole in un lasso di tempo che pare infinito e interrompe il lungo silenzio con un tono di voce chiaramente alterato.
"E io dovrei fidarmi di questa stronzata?" la mano destra si sfila dalla tasca di John per rivolgersi verso il moro, poi torna nella sua tana.
"Mh-hm, no." Con una smorfia sul viso, Matt scuote il capo in reazione della sua domanda. "Potresti evitare le parolacce? C'è una signorina."
"Testa di cazzo." La voce di John sovrasta quella dell'intruso. "Ti senti quando parli? Vieni qui e pretendi che si faccia a modo tuo, con neanche delle scuse o delle spiegazioni."
Il moro sospira, arriccia il naso, muove la testa in modo scocciato, poi dà il suo contentino. "Scusa, John."
"E non chiamarmi John, figlio di puttana. Che diritto hai di stare qui? E con che cazzo di diritto vieni a chiedermi di fidarmi di te?"
"Fidati di lei."
Il pollice di Matthew indica Lia, riprendendola in causa e riportando gli occhi del detective su di lei. "Cambia poco."
"Dovresti. Pare abbia un debole per te."
Lia solleva gli occhi al cielo, John può sentirla sbuffare colta dall'evidenza per via della luce della strada che riflette sul suo viso. Si nasconde, si difende scappando dalla visuale, rifugiandosi dietro il banco della piccola cucina alla sinistra del corridoio d'ingresso, parte integrante del salottino.
Matthew riprende a parlare, mentre lei fruga nei ripiani, lì dove aveva lasciato lei stessa qualche rifornimento per il soggiorno di John. "Il motivo per cui sono venuto è che voglio ti riprendi tua figlia, che la porti lontana da New York e che rinunci alla giustizia. Le indagini dei tuoi due colleghi devono fermarsi, sono pericolose sia per loro che per noi. L'FBI, l'HGS... questo genere di agenzie non sono facili da seminare. E se non vuoi finire come Snyder, o peggio come l'ispettore Green, ti consiglio vivamente di aprire le orecchie. Snyder non ti sta rispondendo perché ha scelto la giustizia e la strada della verità l'ha portato a perdere tutti i suoi cari, per poi spedirlo oltreoceano, schiavo di un lavoro che di giusto non ha nulla. Tu stai ripercorrendo i suoi passi, ma a differenza sua hai la vita di tua figlia in ballo e il caso ha voluto rientrasse perfettamente nei gusti di Dallas. Però la vera vittima qui sei tu. Lui vuole te, il tuo affronto, la tua rabbia e il tuo fallimento. Vuole che tu senta sulle spalle l'intera colpa. E sono piuttosto sicuro che sia già a buon punto."
Che John avverta un forte senso di colpa dal giorno della scomparsa di sua figlia, e persino prima, non è una novità. Ma sentirlo dire da Matthew ha tutt'altro sapore.
"Questo è il piano. Ho dato a Emily delle indicazioni, lei sarà al sicuro. So che sarà dura, ma è importante affinché il piano funzioni che tu non pensi a lei. Non quando sarai dentro, almeno. Pensa solo a seguire ciò che ti dirò. Quando incontrerai Dallas dovrai assicurarti che ti offra da bere. Lui si verserà del latte, non ti lascerebbe mai bere in solitudine e il latte per noi al Paradise è un simbolo forte: è la purezza, è una minaccia. Lo usava anche la donna che sto andando a recuperare."
"Quella che sa tenerlo a bada? Gliel'ha tramandato lei?"
"Diciamo che hanno alcune passioni in comune." Mattew tira fuori dalla tasca della giacca una bustina imbottita di carta. La srotola davanti a John, esibendo in bella vista, di fianco alla mappa piegata, due piccole fiale di plastica. Al loro interno c'è del liquido bianco. Sembrerebbe proprio latte a degli occhi ignoranti. "Verserai questa fialetta nel bicchiere. Te ne do due perché voglio fidarmi di te, in caso ti rovini il piano e dubiti delle tue intenzioni cambiando bicchiere o non bevendo da lì, avrai un secondo tentativo. Ma non usarle entrambe assieme. Morirebbe... e, per quanto possa allettarti l'idea, ti sconsiglio di farlo. Se Dallas muore, vengo a cercare tua figlia personalmente. Al contrario, se seguirai il piano come te lo sto spiegando, mi assicurerò che né tu né tua figlia rivediate mai più uno solo di noi."
Ma Woodroof non sembra convinto. Affatto. Perché dovrebbe credergli? Con le bugie che ha detto in tutti quei mesi, con quanto vicino è a sua figlia. No, non può. Non può affidarsi a qualcuno che gli dà così poche informazioni in una situazione tanto delicata. "Cosa c'è nella fiala?" chiede, in cerca di nuove risposte. Ma Matthew rimane vago. Non dà soddisfazioni.
"Merce della Molniya, niente che debba interessarti, ma lo metterà fuori gioco per il tempo necessario. Se tutto va come previsto, Emily sarà già al sicuro. A quel punto una mia cara amica di nome Maddalena ti scorterà fuori. Non deve interessarti altro. Esci da lì senza voltarti indietro, tutto quel che ti succederà attorno non ti riguarderà."
John non ha dubbi. "Sembra un piano di merda." Afferma senza mezzi termini. E Matt non ha modo di contraddirlo.
Annuisce. "Posso ben immaginare. Conosci il cinquanta percento di ciò che accadrà."
"Esatto. E voglio il cento percento."
"No, detective. Non sarai a casa tua, ma nella mia. Non darai tu gli ordini. Anzi..." Matthew torna con la schiena appoggiata al divano, rilassato e padrone dell'appartamento. "sei già a casa mia, se tieni a saperlo. Casa nostra. Questo quartiere ci appartiene, se volessimo potremmo ucciderti ed esporre il tuo cadavere impiccato fuori dalla finestra, nessuno azzarderebbe un fiato. Una bella mazzetta e il silenzio è garantito. Non sei più a Sherstone, John. Sei in una giungla." E al detective quel tipo di potere non piace affatto. Immagina Emily, la immagina con un tipo come quello. Sola e indifesa, con poche armi a suo vantaggio. Ma con uno così come si fa ad averla vinta? John stesso, conscio di quanto sia stato onesto nel descrivergli le regole della giungla, fatica a tenere testa. "Farai come ho detto?"
Lo farà? Non lo sa nemmeno lui, come può darlo per scontato Matthew? Come può esser così sicura Lia, là dietro al bancone ad ascoltare tutto mentre sgranocchia biscotti nascondendo la tensione. Ha l'aria d'essere uno stallo alla Messicana, ma senza pistole. "Chi ti assicura che fuori dalla giungla non voglia muovere le acque?" domanda, lecitamente, il detective. È un'ottima intuizione. Come fanno a essere così convinti del suo leale operato, della sua fede a quel patto?
"È questo il gioco. Dallas ti ha messo davanti a una scelta: la giustizia o la libertà. Non è la morte che devi temere, né la tua né quella di Emily. Prendi l'esempio di Snyder; lui ha scelto la giustizia e guarda dove l'ha portato." E con una mano aperta indica il vuoto, come se lì si trovasse la presa diretta di ciò che l'ex detective sta combinando dall'altra parte del mondo. Poi prosegue, cercando di andargli in contro, di offrirgli la sua prospettiva. "Supponiamo vada come vuoi tu. Qual è il miglior epilogo per te? Dimmene uno."
John ci riflette. Qual è? Probabilmente la distruzione, qualcosa che li metta fuori gioco definitivamente. "Tutti morti."
Winston sorride, inarca le sopracciglia e china appena la testa di lato. Accetta, poi continua. "Un po' tragico come finale. Va bene. Tutto lo staff del Paradise? Tutti i membri della Molniya?" Attende. John annuisce. "Oh, ne hai due a Tokyo e sono due parecchio pericolosi. Non credo ti convenga."
"Morti anche loro." Non esita. John potrebbe giurare di aver visto un lampo omicida negli occhi del moro, nonostante la bassa illuminazione. Gli ha toccato Vasilisa, seppur in un mondo immaginario, nell'inutile e irrealizzabile fantasia di un piedipiatti. Matthew non la prende bene, ma ricaccia quella sensazione in tempi record.
"Il nostro capo ha una figlia e altri due membri della Molniya qui in America, fuori città. Si vendicherebbero."
"Morti anche loro." Continua John, provocando una rumorosa ilarità nel ragazzo. La risata vibra con arroganza tra le pareti.
"Ok, John... tutti morti. Ma sai davvero cos'è la Molniya? Comincio a dubitarne."
Ne dubita anche lui, in fondo. Non ha mai compreso a pieno di cosa si trattasse, ma può offrire a Matt un'informazione base alla quale rispondere, a cui aggiungere dettagli. "Un'organizzazione criminale." Dice John.
Matthew solleva un indice. "No! È uno dei rami di un'organizzazione criminale. Un esile e giovane ramo, cresciuto e insidiato su un territorio nemico, di un'organizzazione ben peggiore. Come credi che reagirebbe l'organizzazione all'amputazione di questo ramo? John, la Molniya è una minuscola parte della Kirova, una famiglia russa molto potente che ti metteresti contro. Sei sicuro di volerlo fare? Puoi uccidere ognuno di noi con le tue stesse mani, ma ben presto ti renderesti conto di avere davanti qualcosa di decisamente incontrollabile." Sembra aver concluso quella che ha tutta l'aria di essere una minaccia. Ma poi interrompe il silenzio per l'ennesima volta e rincara la dose. Se non fosse in controluce si noterebbe chiaramente il pallore sul viso di Woodroof. "Poi c'è l'HGS, che non perderebbe l'occasione. E, ti devo dire, la Yakuza ci punta gli occhi addosso da parecchio tempo. Approfitterebbero del tuo tragico epilogo per mettere più caos. La Yakuza non ha bisogno di presentazioni, vero?"
E dunque, si chiede, cosa farebbe al posto suo? Non muoverebbe un dito? Starebbe al gioco di un malato omicida seriale? Non è chiedere troppo a un padre che rischia la perdita della sua unica figlia? "Non c'è giustizia? Vuoi farmi credere questo?"
"La giustizia non esiste, John." Sta volta non è Matt a dargli una spiegazione, ad aprirgli gli occhi. No, ora è Lia a parlare, con la sua voce felina. "In queste dinamiche vince chi può comprarla, non chi ha fede."
Brutale. È una realizzazione che costa molta umanità a John. È davvero disposto a perdere tanto? Non c'è davvero alternativa a quella resa di potere? "Farai come ho detto, John? Posso fidarmi?"
Non dovrebbe. Probabilmente non lo farà mai. C'è la fregatura. John ci metterebbe la mano sul fuoco, sa che qualcosa puzza, che non ha alcun senso il suo aiuto. Perché dovrebbe farlo? Pentimento?
"Non vi vedremo mai più?" un segno di debolezza, cede tra le labbra strette di John.
"Lo giuro." Promette Matthew. Ma non è abbastanza.
"Giura su ciò che più ami."
Sospira, il sicario. Esala il respiro trattenuto a pieni polmoni. Il silenzio crolla dinanzi al giuramento più puro e onesto che potesse pronunciare. "Lo giuro sulla kitsune."
Un colpo di tosse giunge senza preannunciarsi dalla cucina. La mano di Lia le copre la bocca, pulendola dei residui di cibo sputacchiati nel momento in cui ha rischiato di affogarsi. Le orbite spalancate fanno ben intendere che nemmeno lei si aspettasse una frase del genere, ma a differenza del detective lei è motivata da una conscia sorpresa. È come se avesse finalmente ammesso ad alta voce, per la prima volta, qualcosa di mai detto in precedenza.
"Non so che cazzo significa, ma lei sembra crederci." Risponde John, indicando i capelli a caschetto poco più in là. "Ci sto."
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