𝐋𝐗𝐈𝐈𝐈

31 ottobre 2021

"Tempismo eccellente!" lo ha detto Rachele, una delle ballerine del Paradise, quando ha ceduto tra le braccia di Emily una scatola di decorazioni. Halloween è alle porte e il locale è abituato a festeggiarlo nel migliore dei modi. Quella sera si sarebbero divertiti e non poco, a giudicare dal rifornimento d'alcol e dagli incredibili costumi dello staff. Emily era solita fare dolcetto o scherzetto alle porte dei vicini con un lenzuolo bianco addosso e l'entusiasmo sotto i piedi, ma l'euforia generale del Paradise riesce quasi a coinvolgere anche lei.

"Che devo farci?" ha chiesto a Rachele. La bruna, con un sorrisone gioioso, si è voltata verso Pel di carota sfoggiando tutto lo splendore di cui la natura l'ha armata. Emily pensava di aver visto le donne più belle del pianeta tra Maddalena e le altre ragazze, ma proprio quando lo ha stabilito è spuntata fuori lei: con quella frangia e i capelli legati dietro la nuca, il suo angelico viso viene inquadrato mettendo in risalto le labbra piene e gli occhioni sensuali da cerbiatto indifeso. Sembra un miracolo in carne e ossa. Come fa una persona a essere tanto bella? Emily la guarda incantata, le labbra schiuse e la testa tra le nuvole. Quanto vorrebbe essere come lei, o anche solo esserle amica. Sembra un tale privilegio.

"Quelle vanno nella zona vip." Le risponde indicando le candele, i gessi colorati e delle bottiglie riempite di un liquido rosso incredibilmente simile al sangue. "Vuoi aiutarmi?"

Emily annuisce. Se le avesse chiesto di firmare un contratto per donarle l'anima, avrebbe reagito allo stesso modo. Non ha ben capito, in fondo, cosa le abbia detto, ma le sta bene. Decide di seguirla, attraversando il lungo corridoio e lasciandosi alle spalle la Red Zone. Una volta dentro la zona vip, il nero e il giallo oro la fanno da padroni. È tutto dannatamente lussuoso e, vederlo ora al di fuori del rapido tour fatto con Maddalena giorni prima, anche i minimi dettagli cominciano a sembrare costosi oltre il limite dell'assurdo.

"Da che ti vestirai?" è quella la domanda che cattura l'attenzione di Emily. Non si aspettava che intavolasse una conversazione a riguardo, d'altronde non si aspetta nemmeno di aver il permesso di partecipare. Questo Rachele non lo sa, dunque forse è il caso di avvertirla.

"Non penso di poter partecipare."
"Non essere ridicola, certo che puoi."
"Dallas non sarebbe felice."
"Dallas non è qui." Risponde con evidente indignazione, persino irritata si direbbe. Mentre prende le prime candele per posizionarle, lancia un'occhiata a Emily come se fosse lei l'artefice di quel destino, come se non accettasse la sua arrendevolezza a quelle regole che non sono mai neanche state pronunciate esplicitamente. Dallas ha lasciato che la Woodroof decidesse per sé, nei limiti, è chiaro, ma affinché fosse rimasta nei confini del Paradise tutto le era concesso, in special modo se lui non era presente.
"Potrebbe tornare." Puntualizza, dunque, chinando appena il capo nella scelta di non voler rischiare. Se glielo si chiedesse, non negherebbe di starsi chiedendo il perché. In fondo, il rischio lo corre anche solo stando ferma in un angolo.

"Tesoro... È un uomo. In quanto tale è facilmente distraibile. Se proprio non gli andrà a genio, faremo in modo che al suo ritorno non ci pensi troppo. Dovresti vestirti da cappuccetto rosso, ha un debole per quella fiaba, la metafora del lupo cattivo e della bambina innocente."

È quella la soluzione di Rachele. Lì al Paradise sembra quasi che tutte le donne abbiano seguito la stessa istruzione, la stessa educazione. Emily non è sicura di volersi trasformare in una di loro, tanto provocante quanto ambigua e letale. Eppure, ne prova di stima nei confronti di quelle donne. "Non voglio che abbia un debole." Dice la ragazza.
"Non ti torcerà un capello. Ci sarò io. Siamo amiche, no? Ti terrò d'occhio tutta la notte. Ma stai diventando una donna e, per questo motivo," si interrompe un istante, posando la candela sulla superficie del bancone si avvicina a Emily quanto basta a toccarle i capelli. Li raccoglie delicatamente portandoli avanti, sulle spalle; quella massa rossa incornicia il piccolo viso facendolo quasi scomparire. "ti insegnerò a provocarlo quel tanto che basta per ottenere ciò che desideri, senza concedergli niente. Presto scoprirai che, assassino o meno, un uomo ha le stesse debolezze di un cittadino onesto."

Così detto, Rachele allunga una mano per afferrare una delle bottiglie. I pensieri di Emily cambiano improvvisamente rotta con un'ingenua domanda. "Quello è sangue finto, giusto?"
Non l'avesse mai chiesto. La ballerina torna a puntare gli occhi su di lei, prima di vagare con lo sguardo in cerca di una risposta. Ciò che trova, però, è solo una seconda domanda pronunciata con cautela. "Ti tranquillizzerebbe?"

Quella domanda fu una sufficiente risposta. Nelle ore a seguire la conversazione si è spostata spesso, prima sulle possibili vittime da cui proveniva quel sangue, poi sull'organizzazione del Paradise, sulla vita a Sherstone, sulle vittime del Pittore e le indagini, l'identità di Dallas in quel paesino, per poi tornare a concentrarsi sulla festa che si sarebbe tenuta in nottata.

Rachele ha accompagnato Emily nella sua stanza, al decimo piano. Sono passate sotto lo sguardo attento di Ritchie, sospettoso come ha imparato a conoscerlo la rossa da qualche giorno, hanno preso l'ascensore e la ballerina ha inserito il quinto codice della settimana. Mentre Emily sta al gioco e alle regole di Dallas, infatti, comincia a notare i dettagli importanti e memorizzare tutto ciò che può tornarle utile per la sopravvivenza e, chissà, magari persino per la fuga. A quanto ha capito finora, l'ascensore non si muove senza autorizzazione e, come se non fosse già abbastanza complicato, ogni autorizzazione è diversa a seconda del piano che si deve raggiungere. Rachele per il decimo piano ha premuto i tasti 011710, Maddalena per il quarto piano aveva inserito il codice 011704. Non è difficile dunque intuire con che criterio siano state scelte quelle combinazioni di cifre. Eppure, ogni volta che Emily veniva scortata in qualche piano di suo interesse, verso la parte bassa della struttura, sebbene nessuno dei suoi accompagnatori le avesse dato modo di vedere quali tasti venissero premuti, ricorda per certo di aver contato ben otto bip e non sei. Questo sarebbe stato un bell'ostacolo. Nessuno di loro, nemmeno il più debole si dimostra sprovveduto davanti a lei. E per quanto gentili sembrino, Emily può percepire senza difficoltà la diffidenza nei suoi confronti e la lealtà verso Dallas, membro della loro famiglia.

Una volta in camera di Rachele, Emily può constatare l'armonia e la femminilità presenti nell'ambiente. La stanza, come tutte quelle in cui è stata fino ad ora, esprime a pieno la personalità di chi la abita. Se in quella di Maddalena risalta uno stile più cupo, quella di Rachele risplende di luce.

L'ingresso mostra un piccolo salottino, un divano color crema dietro a un tavolino di legno. Su quest'ultimo vi è uno dei tanti vasi di fiori che decorano la stanza; appeso a ognuno dei mazzi c'è un bigliettino. Emily intuisce siano regali dei clienti o di ammiratori all'interno dello staff, galantuomini che pendono dalle sue labbra e vogliono vederla sorridere il più possibile. Non si aspetterebbe altro da una donna tanto bella e gradevole.

Nell'angolo c'è una grossa scrivania e una macchina da cucito, di fianco una sfilza di manichini da sarta. Dal soffitto scende un proiettore che punta contro il muro bianco. Sulla destra si apre un secondo ambiente delle stesse dimensioni, con un gigantesco letto color grigio cenere. Un comodino per lato, uno accanto alla porta da cui Emily può scorgere parte del bagno, l'altro accanto alla porta che dà alla piccola cabina armadio a sua disposizione. Sotto le finestre, una per ognuno dei due ambienti, ci sono dei tavolini lunghi e bassi coperti di varie stoffe e riviste di moda.

"Dovrei avere ciò che fa per te!" ha annunciato Rachele immergendosi nella cabina armadio, alla ricerca del costume per Emily. Quando ne è uscita ha esibito tra le mani un vestitino rosso e un mantello con cappuccio, entrambi di velluto. "Che numero porti di piede?"
"Il cinque." ha risposto la Woodroof con incertezza.
"Chiederò ad Abi. Ha il piede piccolo come il tuo, dovrebbe andare bene."

E ormai i giochi erano fatti. Emily non avrebbe potuto ribattere in alcun modo; per stanotte sarebbe stata cappuccetto rosso.

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Chiusa la porta alle spalle di Emily, il caos viene ovattato dandole un po' di tregua. Il bagno sembra un luogo così piacevole, non è abituata a tanti festeggiamenti. E sebbene debba ammettere di starsi divertendo grazie alla compagnia di Rachele e delle altre ragazze, impeccabili nel farla sentire parte del gruppo, cappuccetto rosso avverte l'irrefrenabile esigenza di esser lanciata nel cosmo più quieto e profondo. Chissà che penserebbe suo padre se la vedesse vestita così, con tre quarti di gamba fuori, calze trasparenti, vestiti striminziti e quel trucco in faccia. Il cocktail bevuto un paio di ore fa sbiadisce appena i contorni quando Emily si guarda allo specchio, ma lei non ha nemmeno bisogno di vedersi chiaramente per ricordare gli sguardi attirati quella notte. E se c'è una parte di lei che la spinge a divertirsi e lasciarsi andare per una volta nella sua triste e monotona vita, l'altra continua a lamentarsi di non essere a casa. Smettere di pensarci non serve a nulla, continua a tornare violento il ricordo di suo padre e l'immagine della sua disperazione.

Pel di carota decide di ignorare il riflesso nel grosso specchio del bagno, sospirare e chiudersi solo qualche istante in una delle cabine per liberare la vescica. Seduta sul water gioca col bordo della carta igienica che trova sulla destra, mentre la musica e il vociare al di là della porticina entrano per appena due secondi. L'ambiente torna semi-quieto, a seguito di un clic che Emily riesce a malapena ad associare a un'immagine. Può vedere le scarpe nere eleganti muoversi fino al muro opposto, per poi fermarsi davanti alla fila di lavandini. A giudicare dallo stile – che da sotto la fessura della porta sembra impeccabile – Emily mette la mano sul fuoco che si tratti di Matthew. È forse per questo motivo che decide di uscire da lì e affrontarlo. Lo fa velocemente, senza nemmeno meditarci, le viene automatico. In fin dei conti, è convinta di doversi beccare un rimprovero o qualcosa di simile ed è curiosa di sapere cosa voglia dirle.

Dunque tira lo scarico, si sistema ben benino e finalmente apre la porta, rivelando però la figura di Dallas. Il riccio è appoggiato alla parete, le mani giunte dietro l'osso sacro, con i palmi ben aperti, uno sopra all'altro e rivolti verso il muro. I pantaloni neri rispecchiano l'eleganza del mocassino, la maglietta bianca sembra quasi più parte di un pigiama. Non ha espressione, a differenza di un Emily paralizzata e cauta. Ma parla. Rompe il ghiaccio che ha creato la sua presenza con una semplice domanda.

"Chi ti ha vestita così?"

Ecco che arriva il momento tanto temuto. Emily non vuole rispondere, sia per non mettere nei guai Rachele, sia perché ha paura di far ciò che lei le aveva consigliato di fare. Ma pensa che in fondo quella sia la miglior occasione per farsi valere e dargli un assaggio di quanto poco sottomettibile sia, nonostante l'età.

"So vestirmi da sola." Risponde quindi, ricevendo subito la seconda domanda. Il tono è calmo, quasi gentile.
"E perché l'avresti fatto?"
"Mi piaceva." Dice lei con una scrollata di spalle. Poi accenna la prima provocazione della serata. "A te non piace?"
"Ti sta bene." Conferma atono, non muovendo un muscolo se non per emettere quei suoni. È il complimento più ambiguo che abbia mai sentito, non per le parole in sé – normalissime – quanto per il modo in cui le è stato rivolto. Emily non comprende: è arrabbiato? "Matt che ha detto?"
È un quesito che riesce a confonderla. Perché dovrebbe esser rilevante? Che sia davvero così in attrito con l'amico? O magari cerca supporto da chi nemmeno è presente in questo momento? "Doveva dire qualcosa?"
Ma il "No" secco di Dallas non le dà modo di proseguire in quella strada. E nonostante la curiosità, Pel di carota lascia cadere quell'argomento avvicinandosi al rubinetto. L'acqua comincia a scorrere sulle sue mani, lavando via il sapone e aggiungendo alla musica ovattata oltre la porta un fruscio rilassante. La tensione però non finisce nello scarico assieme a quel liquido trasparente. Emily avverte un filo invisibile tra i loro corpi, uno spago talmente sottile da tagliarla a mano a mano che si stringe attorno alle sue articolazioni. Si sente un burattino. E più la presa si fa stretta, più le viene voglia di tagliare quei fili e muoversi liberamente. Forse è di questo che parlava Rachele. È nella natura di donna, prima o poi troverai il giusto compromesso per sentirti libera senza farglielo pensare. E per quanto l'idea possa rasserenarla, non ha mai pensato neanche per un istante di esserne in grado. L'istinto, però... quello comincia a farsi sentire.

"Dove sei stato?" domanda Emily, mentre chiude il rubinetto e prende dei tovaglioli per asciugarsi.
"Dovevo sistemare una cosa."
"Con mio padre?"

Dallas non risponde. Tace nell'esatto momento in cui la ragazza pronuncia quelle parole. Non ha intenzione di dire nulla a riguardo, anche perché sembra preso da tutt'altro.

"Andiamo, ti riporto in camera." Così dicendo si stacca dalla parete, indicando a Emily la strada in direzione della porta. Ma lei pare volersela prendere con calma. Gettata la carta nel secchio, la rossa si volta verso Dallas alla ricerca di una spiegazione. Tormentata dalle intenzioni incomprensibili del riccio, decide di affrontarlo per metterle in chiaro una volta per tutte. "A che ti servo davvero? Perché non mi stai mettendo le mani addosso? Perché non stai letteralmente facendo niente da un mese?"

Finalmente la parvenza di un'emozione. Dallas solleva le sopracciglia con aria di sorpresa. "Lo vorresti?" chiede quasi a mo' di scherno.
"Non ho detto questo." Corre subito ai ripari scuotendo la testa.
"Non sono uno stupratore, se è ciò che pensi."
"No? Tutte consenzienti? Perché pensavo ci fossi andato a letto."
"Sì, tutte consenzienti." Segue un silenzio surreale, di quelli che Emily riesce a tradurre senza sforzo in un'ammissione di colpa. Sta mentendo. Mente a lei, sapendo di mentire, come se non fosse evidente.
"Mai violentato nessuno?"
Emily azzarda quella domanda guardandolo dritto negli occhi, mantenendo il contatto visivo con colui che comincia a somigliare al diavolo ogni giorno di più. Dallas deglutisce e ricaccia indietro il bisogno di assottigliare lo sguardo per studiarla, per minacciarla. "No." È la risposta ben scandita dalle sue labbra.

"Bugiardo."

Il sussurro della ragazza provoca in lui un mezzo sorriso, sghembo e ombroso, capace di preannunciare una tesa quiete prima della tempesta. In un istante la mano destra si tende raggiungendo il collo di lei, mentre con un paio di passi riduce le distanze e la costringe al marmo del lavandino. A un soffio dalle sue labbra riesce a trovare la forza di allargare il sorriso, leggendo un lieve ma chiaro consenso negli occhi di Emily. E non ha torto, non è la sua malata versione. Se solo John la vedesse in quelle condizioni, capirebbe perché Dallas le abbia messo gli occhi addosso dal primo giorno. L'innocenza a cui Sherstone è abituata, nasconde una giovane donna decisamente fuori dalla norma campagnola.

Quando Dallas riprende a parlare, la sua voce accarezza la bocca della ragazzina con un mormorio profondo che lei non credeva di poter avvertire nelle viscere. "Se ci tieni tanto, basta chiedere."

È una minaccia che ha effetto immediato. La pelle d'oca di Emily lo dimostra e ancor di più il tremolio del labbro inferiore, nonostante gli sforzi vani di nasconderlo nella morsa dei denti. Dallas nota quei dettagli, sarebbe impossibile non farlo. Ma come si sente a riguardo? Da una parte c'è l'eccitazione dovuta all'ingenuità, al ridicolo tentativo di mettersi al suo pari, con tanto di vestito striminzito da cappuccetto rosso; il desiderio di metterle le mani attorno al collo e stringere fino a rapire il suo ultimo respiro bussa nel suo organismo con insistenza. Dall'altra la tenerezza di aver di fronte una ragazzina impacciata, una giovane investigatrice finita nelle mani sbagliate. Non si direbbe, ma Dallas soffre della sua natura. Se n'è abituato, l'ha accettata, eppure continua a sentirsene tormentato. Non è facile per lui, non può farne a meno e spesso gli impulsi lo controllano.

"Non ti piacerebbe." Risponde lei, sorprendentemente, quando ritrova la voce. Ma il riccio non sembra esser d'accordo quando la mano destra si posa sul marmo, dietro l'esile corpicino di Emily, e la sinistra la sostituisce, raggiungendo la destinazione tanto ambita e circondandole la gola. Stringe a malapena, ma le dita tese fanno intuire quanto stia cercando di trattenere i suoi impulsi.

"Se avessi voluto stuprarmi, l'avresti già fatto." Insiste la rossa, mentre la voce diventa un filo. Senza nemmeno rendersi conto Dallas ha contratto i muscoli della mano, forse troppo per lasciarla respirare. Solo quando le unghie di lei artigliano il suo avambraccio, il Pittore torna alla realtà.

"Ti riporto in camera."

---

Quello fu un episodio traumatico per Emily. La gola ne è testimone, il rossore della pelle – che si chiede se si trasformerà in un violaceo livido l'indomani – e il bruciore che avverte quando deglutisce, sono la netta dimostrazione di quanto poco sia stato capace a controllare la sua aggressività. I suoi colleghi avrebbero potuto dire qualunque cosa su di lui, ma la Woodroof è sempre più convinta di non essere in grado di romanticizzare o farsi piacere le attenzioni di un tale individuo. Non servono anni di esperienza alle spalle per comprendere quali conseguenze abbia comportato il loro incontro in bagno. Dallas è schiavo di sé stesso, dei ricordi, del piacere e dell'aggressività che navigano di pari passo in un miasma di traumi infantili e pulsioni incontrollate. Non si sarebbe fermato la prossima volta. È questo che pensa Emily e, in ogni caso, preferisce non scoprirlo. Eppure, ormai sembra non avere scelta se non quella di incollarsi a lui come un fedele animale di compagnia e assecondarlo.

"Ti fa male?"

Quella, la domanda che Dallas le pone per riportarla nella sua stanza, tra quattro pareti e un morbido letto sfatto. Le note di Nessun Dorma, accompagnate dall'immensa voce di Pavarotti, fanno da inquietante sfondo alla figura quieta dell'aguzzino. Ha alzato il volume al punto di soffocare le vibrazioni che provengono dai piani inferiori. È così alta da mettere alla Woodroof un brivido di terrore. E se avesse messo quella canzone sottofondo per impedire a orecchie esterne di udire urla?

Emily solleva lo sguardo dalle sue mani, trova quello distratto di Dallas e percepisce la totale assenza di senso di colpa. È contraddittorio tanto con quel quesito, quanto con il suo modo di agire degli ultimi giorni... o meglio, di sempre. D'altronde si è sempre dimostrato vicino ma distante, moderato, quieto e controllato, nonostante tutto. Emily annuisce, accompagnando il cenno del capo con un leggero mugolio e un sorriso timido. "Dovresti mettere qualche sciarpa finché non passa." È la soluzione che le propone, spegnendo anche il minimo sforzo di mostrarsi accondiscendente. A questo non ci sta. Lotta con tutta l'energia che ha in corpo per mordersi la lingua e non rispondere, ma non riesce a trovare una valida motivazione per cui non dovrebbe dire la sua.

"Hai paura che Francesco lo veda? Ti facevo più uomo."

L'espressione di Dallas si infuoca. Da distratto e quasi apatico, meccanico, Emily può vedere i suoi pensieri scivolare in quell'antro buio e pericoloso che ormai sa riconoscere da tempo. "Mi stai minacciando?"

Ebbene, non è l'insulto alla sua virilità a infastidirlo, ma il velato avvertimento che Emily non riesce a trattenere in gola. Dallas è teso, è chiaro lo sia fin dal momento in cui è tornato a New York, tra le mura del Paradise. Cosa sia accaduto in quei giorni fuori città, Emily non lo sa. Di certo, a giudicare dal suo cambio d'approccio, niente di buono.

"Mi stai facendo paura." Mormora Pel di carota mentre Dallas si avvicina. Passo dopo passo, macina distanza e si rivela turbato e imponente dinanzi alla figura esile della ragazza. Ha pieno controllo dell'ambiente, ma non di sé. Matt l'aveva avvertita in quei giorni.

"Non provocarlo troppo. Quando tornerà sarà scarico, riempirà quel vuoto d'energia in altri modi. Devi stare attenta."

Seduto a uno dei tavoli del diner, davanti al pranzo, Matthew fa compagnia a Emily mettendola in guardia sui futuri atteggiamenti del suo amico. Il moro appare così triste... frammentato in mille pezzi che non può rimettere assieme da solo. Ormai Emily ha capito: Matt deve andarsene da lì e raggiungere Vasilisa. È lei l'unica soluzione, l'unica in grado di rincollare i frammenti. Una ragazzina della sua età, nelle condizioni in cui si trova, sembra assurdo che comprenda... eppure è così; Emily vuole che lui parta, l'ha rassicurato più volte a riguardo.

"Se ti spaventa, tu diglielo. C'è probabilità che si fermi. Se non si fermerà non dire niente." Prosegue Matthew.
"Fermarsi dal fare cosa?" domanda lei, confusa.
"Quando entra nella fase di raffreddamento, tende a mettere la coscienza in blackout. Non distingue bene la realtà dalle sue fantasie."
"Raffreddamento da cosa?" sembra una domanda così innocente, ingenua. Ma Emily si rivolge al suo amico conscia della sua paura. E se Matthew non comprende subito la sua intuizione, lei non esita a dimostrargli di aver capito. "Da un omicidio?"

Su questo Matthew non proferisce parola. Corruga la fronte, abbassa lo sguardo e torna a mangiare. Emily avverte l'ansia arrampicarsi nella sua gola, ma sa bene che qualunque insistenza non l'avrebbe convinto a parlare. Il suo ultimo consiglio, mandato giù il boccone, ne è l'ovvia conferma.

"Non sfidarlo."

Dallas è incredibilmente vicino. Emily percepisce il suo odore come due spilli appuntiti nelle narici. Il brivido che ha attraversato la sua spina dorsale all'interno del diner, dinanzi a Winston, ora la ripercorre con intensità. Chissà a chi ha tolto la vita, sta volta.

"Mi stai minacciando, Emily? Vuoi dirlo a Francesco? Ho capito bene?" mormora l'uomo con tono calmo e inquietante. Un pessimo presupposto.
"No." Si affretta Emily a rispondere.
"No? Sembrava di sì."
"Sarà un segreto. Metterò la sciarpa. Te lo prometto."
Ma la fede di Dallas è ormai compromessa. Vacilla come vacilla lui, spostando il peso da un piede all'altro, barcollando appena e riprendendosi all'istante, come a voler celare la sua imminente fragilità. "Non so se posso fidarmi di te, Emily. Credo tu stia cercando di fregarmi." Cantilena, inarcando le sopracciglia, quasi stesse parlando con una bambina.
"Non lo farei mai."
Ma neanche ora le crede. "Non ti piace dove ti ho portata? Ho visto che hai già fatto amicizia. Dovresti essere felice."
"Lo sono!"
"Con chi hai fatto amicizia?"
È una domanda che non capisce a fondo. Emily impiega qualche secondo per rispondere, corruga la fronte e perplessa replica esibendo tutta la confusione accompagna i suoi pensieri. "Lo sai con chi."
"Con Rachele, con Maddalena, le ragazze in generale ti vanno a genio." Risponde lui per lei, contando i nomi sulle dita della mano. "Ritchie? Ritchie ti piace?"
"Sembra ok." Afferma preda del dubbio, incerta persino nel tono di voce.
"A lui piaci. Quel tipo è losco. Nessuno lo vede per quel che è, ma io sono sicuro. So leggere negli occhi di certa gente. E lui vuole chiaramente una fetta."
"Credo tu abbia frainteso."
"Pensi che io sia paranoico?"
"No." Ribatte tempestiva, arginando i danni o almeno provandoci. "Vuoi proteggermi. È solo che a volte ci tieni tanto da vedere pericoli dove non ci sono."
"Quindi sono paranoico."
"Sei paterno! Come mio padre, lui ha sempre agito allo stesso modo." Funziona. Emily ha avuto una buona intuizione. Paragonare Dallas a John è un'ottima strategia, un dolcificante che rende meno dolorosa la pillola da ingerire. Ma non è sufficiente. Il ricco nutre sospetti difficili da estirpare alla radice, ma che nel suo mondo – se alimentato con le giuste parole – potrebbero essere quantomeno celati, dimenticati, messi da parte da esigenze ben più urgenti.

Si alza in piedi, la rossa è ora costretta a un soffio di fiato dal suo aguzzino, sente il respiro sulla fronte e sul naso. Sbuffa aria dalle narici come un toro dinanzi al torero. Le esili mani di Emily si posano sul petto del mostro. Il mento si solleva appena, quanto basta per guardarlo negli occhi e accennare un sorriso. "In ogni caso, ora sei qui. Potrai starmi vicino e fargli capire che non sono disponibile."

Non si può dire con certezza se Dallas se la sia bevuta o meno. Ciò che non desterà dubbi, sarà il marchio che le conseguenze di quella mera rassicurazione porterà nella fragile psiche della ragazza. Così, quando gli artigli della bestia percuotono il corpicino di Emily, la ragazza si sente cadere sul materasso alle sue spalle senza mai davvero entrarci in contatto. Si ovattano i sensi, difendendo la sua giovane mente, dandole la sensazione di star precipitando in un burrone senza fondo. Scivola nel buio anche quando il palmo del mostro colpisce la sua candida guancia con violenza. Le urla non servono a niente, la lotta che i suoi quattro arti tentano di vincere è già persa. Nulla può, debole com'è, contro un simile macigno di folle furia. Emily non sa nemmeno quando sia cominciata la sua resistenza, quando le difese si siano sollevate e quando l'attacco del mostro è iniziato. È stato improvviso. Una spinta all'altezza delle spalle della ragazza e la situazione è precipitata vertiginosamente, fermando le lancette del tempo.

Il ringhio furioso che vibra tra i denti di Dallas è di pessimo auspicio. Segue l'immobilità delle gambe della ragazza sotto quelle di lui e quella dei polsi nella grossa mano del killer. Per quanto strattoni, risulta impossibile liberarsi quanto surreale è la forza che l'uomo sembra aver acquisito. Dallas non ha mai fatto più paura, non è mai stato più concreto e fisico di così, mai più reale. Le lacrime che rigano le guance – una bianca e una bruciante – della ragazzina, non frenano il suono della zip dei pantaloni. Dallas è assente. Nei suoi occhi non c'è più traccia di umanità. Emily ora sa cosa le sue vittime hanno provato prima di lei.

Si prepara al peggio, si prepara alla morte, alla violenza carnale, al battesimo di sangue della sua sessualità. Se l'era immaginata diversa la prima volta. Chiude gli occhi, riesce a vederlo: il ragazzo dei suoi sogni è lì, dolce e gentile, solo un po' troppo passionale. Infila la mano sotto le sue vesti con crescente desiderio, sfrega le sue dita tra le cosce ancora intimidite. È bello, è un bravo ragazzo, un futuro poliziotto proprio come suo padre. Sa di potersi fidare. Non sa perché stia piangendo come una bambina.

"Che cazzo fai, pezzo di merda!"

Qualcuno inveisce al di là della stanza. Chissà con chi ce l'ha quella donna oltre la parete. Emily la sente chiaramente urlare, mentre costringe il suo corpo a rilassarsi tra le braccia del suo fidanzato. Una gamba le viene liberata. Ha fatto la brava, è il suo premio, è evidente. Ma quando il corpo dell'uomo crolla alla sua destra, solo allora Emily riapre gli occhi.

Quella scena non se la dimenticherà facilmente.

Rachele inveisce contro un Dallas assonnato e confuso. È come se si fosse appena risvegliato, con i pantaloni calati e i genitali in vista. È tutto così lento: la donna sputa contro il mostro, spingendolo ad alzarsi da terra e rivestirsi. Gli punta un dito contro e urla qualcosa che Emily non riesce bene a comprendere. È una scena a rallenty, è spaventosa. Non ha mai visto una donna più incazzata di quella. Rimane sul letto osservando quel quadro. Non saprebbe che altro fare. 

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