𝐋𝐗𝐈𝐈

Primi di marzo 2020

L'ispettore Green, dall'alto dei suoi ormai superati sessant'anni e sulla felice via del pensionamento, si è lasciato convincere dal suo fidato collega e allievo Kyle Snyder a dare l'ultimo e brillante contributo al caso del Killer di Detroit. La mente di un simile uomo è a dir poco preziosa e, sebbene la sua umiltà sia direttamente proporzionale all'intelligenza, Green si è fatto guidare dall'affetto nei confronti del – non più – ragazzino biondo che ha visto crescere sotto la sua ala.

"Lì c'è una giornalista, l'ex fidanzata di una delle vittime. So per certo che abbia delle informazioni, ma con me non vuole proprio parlarci. Ho bisogno di uno dei tuoi interrogatori, sono sicuro al cento percento che a te direbbe qualcosa." Aveva detto questo, Kyle, quando ha cercato di convincerlo. Poi ha aggiunto solo un "il tuo istinto non sbaglia mai, me l'hai dimostrato. Ho bisogno che tu mi dia la tua opinione su ciò che afferma." Ma per l'ispettore non è stato del tutto sufficiente. Aveva avuto più d'un assaggio dei piani suicida di Snyder e della sua testardaggine. Ammirava la determinazione con cui ha sempre affrontato gli incarichi, disposto a tutto pur di dar pace alle anime tormentate delle vittime, ma proprio questo suo atteggiamento lo aveva portato a sacrificare fin troppo di sé. Green non può più permetterlo; pur essendo Kyle talmente forte da sostenere qualunque peso con invidiabile grinta ed entusiasmo, il sessantenne sa quanta sofferenza si porti dietro. Soprattutto da quando è tornato a New York. Non dorme e, se riesce a chiudere occhio, gli incubi lo tormentano. Lo ha sempre nascosto magistralmente, ma Green lo ha scoperto quando l'ha visto crollare durante un turno di notte e ha cominciato a urlare e piangere nel sonno, come un bambino. È stato solo allora che Snyder gli ha confidato, con chiara agitazione, del suo forzato soggiorno in Nevada, delle torture, degli addestramenti e delle morti. Gli ha parlato di Jeremiah, gli ha mostrato il codice di identificazione marchiato sul braccio, gli ha mostrato la cicatrice dietro l'orecchio e ha raccontato di come se la sia procurata strappando il cip localizzatore impiantato sotto la cute. I test, i progetti, gli ambienti asettici, le armi, i target. Tutto è stato registrato nella mente di Kyle e, con la stessa facilità con cui la memoria ha immagazzinato quelle informazioni, anche le parole sono uscite fuori in un liberatorio sfogo che tratteneva da mesi.

Green aveva sentito alcune voci, storie che si raccontavano nei piani alti del dipartimento di New York. Non vi aveva mai dato spago, anche per paura di infilarsi in qualcosa di più grande di lui. Ma vedere Kyle in quello stato non riesce più a distaccarlo da quella terrificante realtà.

Ecco perché si preoccupa tanto per lui. In fin dei conti, l'ha sempre visto come un figlioccio, in special modo quando a gennaio perse entrambi i genitori a distanza di pochi giorni. A ucciderli, lo scoprì dopo, fu proprio Jeremiah.

"E tu che farai? Non vieni con me?" ha domandato l'ispettore, colto da un terribile presentimento.
"No, io... ho una cosa da controllare."
"Kyle." Lo rimprovera con un'occhiata paterna. Conosce quel tono, il modo sommario in cui ha risposto e quello in cui ha mosso la testa interrompendo il contatto visivo, i piccoli passetti agitati sul posto e quell'espressione accigliata che ha contratto per un istante fugace, ma rivelatore, i muscoli della sua fronte. "Non vuoi entrare in casa sua, vero?"
"No." Ha risposto con onestà, per poi confessare. "Ho avuto una soffiata anonima su un vecchio magazzino. Sembra sia una sorta di nascondiglio e voglio capire di che si tratta."
"Con una pattuglia, spero."
No, non se ne parla. Kyle ha allargato le braccia e si è stretto nelle spalle come faceva dieci anni fa, quand'era appena un ragazzino. "Che pattuglia? Qui a New York? No, sai bene che rischio di portarmi dietro gente di cui non mi fido, perderei tutto il lavoro fatto finora."
"Anche le segnalazioni anonime sono rischiose. Soprattutto nella tua condizione."
Kyle n'è rimasto indubbiamente onorato. La preoccupazione sempre presente di Green lo rassicura a dir poco. È forse l'unico affetto che gli è rimasto. "So cavarmela. Mi sono fatto grande e grosso in questi anni, ispettore!"

Non avrebbe potuto essere più in torto. Le dimensioni non contano, non di certo in quel caso specifico. Sebbene la massa muscolare di Kyle sia diventata più prepotente e la sua esperienza sia aumentata negli anni, niente e nessuno sarà mai grande come l'HGS. E questo, purtroppo, l'ha imparato a sue spese. Spese di cui continua a portarsi dietro debiti inestinguibili.

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Entrato all'interno del vecchio magazzino segnalato dalla voce anonima al telefono, Kyle ha tirato fuori l'arma pronto a usarla in caso quella situazione si rivelasse una trappola. Il presentimento di Green è senza dubbio condiviso. Il biondo sa perfettamente quanto stia rischiando lì dentro, ma preferisce che a farlo sia lui. Si sente in grado, capace di sostenere qualunque peso, qualunque dolore, pronto ad affrontare ogni difficoltà. Ed è con quell'atteggiamento, tipico del suo carattere, che scende le scale verso il seminterrato, lì dove la voce aveva indicato che avrebbe trovato il rifugio.

È vuoto. Lo controlla bene in ogni angolo, dopo aver sceso tutti e dieci i gradini, uno per ogni anno dall'inizio della sua carriera, ispeziona qualunque luogo angusto. Almeno fino a quando non presta attenzione a ciò che meglio si presenta davanti ai suoi occhi.

Una grossa lavagna marrone, simile a quelle che ha a casa e in ufficio, su cui si fissano i fogli con le puntine, riempie a occhio e croce metà parete. E come un quadro, con gli indizi segnati e legati tra loro tramite uno spago rosso, disegna la soluzione del caso.

"Dallas Rowlings." La voce di un uomo, fin troppo familiare, arriva alle spalle di Kyle. Il detective si volta, punta l'arma e ha la conferma che aspettava. Jeremiah è la voce anonima che lo ha portato lì dentro. A quel punto, il motivo dell'incontro rimane dubbio: Kyle potrebbe mettere la mano sul fuoco per lui, lo conosce, ma proprio per questo non riesce a fidarsi del tutto. Jeremiah è la carta del jolly; si sente solo, è fragile, ma è infimo. E Kyle non teme per sé dinanzi alla sua presenza, quanto per chi gli gira attorno.

Jeremiah se ne sta in fondo alle scale, con le mani nelle tasche e privo di turbamento persino davanti a una pistola. Sfila la mano dal pantalone solo per grattarsi il naso e proseguire nella sua spiegazione. È da qualche mese che i due non si vedono.

"Volevi saperne di più. Te lo dico, magari così ti passa la curiosità e ti concentri su ciò che importa davvero. Il Killer di Detroit è Dallas Rowlings, come immaginavi. Ha avuto una vita difficile, particolare. Cresciuto in una famiglia comune, nella media, a Detroit per l'appunto. Secondo a un fratello di nome Henry molto responsabile e fin da piccolo brillante, ad oggi avvocato, si è preso cura a sua volta dei fratelli minori, Kevin e Chloe. Lei a malapena ricorda sua madre, Eloise. La persero in uno schianto aereo, mentre era di ritorno da un viaggio di lavoro. Ne soffrirono tutti, i ruoli cominciarono a modificarsi all'interno del nucleo familiare e fu un duro colpo che Dallas sentì a pieno. Lui, in particolare, aveva un legame molto speciale con la madre. Anche se non pianse una sola lacrima al suo funerale, ne fu decisamente segnato. Il padre non gli andò mai troppo a genio, invece, e direi che ebbe conferma del suo pessimo temperamento proprio a seguito della morte della compagna. Henry si prendeva carico di tutto, badava a lui che, per ringraziarlo, lo abusava, lo sfruttava, lo picchiava e insultava. Henry non fece mai nulla, per lui l'unica cosa che contava era che il padre non girasse per casa e non riservasse lo stesso trattamento ai suoi fratelli. E ci riuscì, ma Dallas scoprì tutto e..."

Si interrompe, solo per qualche secondo. È un lasso di tempo sufficiente a farlo sospirare amaramente, inoltrarsi nella stanza mantenendo le distanze con Kyle, staccare una delle foto della famiglia Rowlings dalla parete e lasciarla sul tavolo sottostante, esattamente sopra un fascicolo targato top secret e firmato HGS.

"Stava covando troppo odio e non ne parlava con nessuno. Per non menzionare gli anni in cui, con l'assenza della madre, tutta la loro stabilità economica crollò. Il padre era un buono a nulla, dipendente da droghe e alcol, costantemente alterato, non lavorava nemmeno più. I soldi che arrivavano a casa Rowlings derivavano dal duro e onesto lavoro di Henry e, in seguito, da quello illecito di Dallas. Fu proprio con quel lavoro che cambiò tutto. Vedi, conobbe un uomo di nome Thomas, un uomo d'affari, come si faceva chiamare lui, che reclutava ragazzini come Dallas per mettere su una banda di criminali. Thomas è un altro soggettone," afferma cambiando tono, agitando la mano davanti a sé come a voler svalutare quella parte del suo racconto. "si è fatto una nomea a Tokyo, gli è andata male, quindi è venuto in America sperando fosse più facile, ha persino fatto parlare di sé in un'operazione di soccorso che ha attirato non poche attenzioni e, proprio in quell'operazione, salvò una delle donne più importanti nella vita di Dallas: Chanel McGregor."

Così dicendo, strappa un'altra delle foto. Una splendida ragazzina dai capelli castani ride imbarazzata davanti alla macchina fotografica. Nonostante con la mano cerchi di nascondersi, il suo minuto viso è perfettamente visibile e Kyle in quel momento pensa di non aver mai visto tante emozioni trasparire da una sola immagine. C'è qualcosa di terribile dietro quell'espressione fanciullesca ed è proprio Jeremiah a confermarglielo.

"Thomas la trovo in una vasca da bagno, in uno degli stanzini in cui il suo pappone le aveva concesso di lavarsi a seguito dell'ennesimo stupro. L'acqua era rossa, piena del sangue delle ferite che si era autoinflitta sul polso. Scheletrica, malconcia, Thomas non vide la ragazzina che vedi qui, gli occhi erano spenti e lei era arresa all'unico sollievo che riusciva a immaginare, ossia la morte. Quell'uomo ebbe un tempismo perfetto. Quando Dallas la conobbe, le fece molte domande e lei si confidò fin da subito. Non si sa cosa l'abbia spinta a farlo, chiunque ci abbia parlato di lei la descrive come scontrosa, distaccata, fredda, riservata e aggressiva. Con Dallas e con il suo migliore amico Matteo – quello che tu conosci con il nome di Giacomo, per intenderci – si comportava in modo diverso. Così disse loro del rapimento ai suoi quattordici anni, della resistenza e della freddezza con cui riuscì a non darsi per vinta, dei mille tentativi di fuga e di come la sua determinazione l'avesse messa nel mirino del suo pappone, il suo aguzzino per eccellenza, il primo uomo con cui conobbe il sesso."

Quel racconto è agghiacciante, terribile. Kyle ha i brividi solo a immaginare che la ragazza di cui sorregge la foto porti così tanto dolore dentro di sé. Ora capisce cosa nasconde la sua espressione: vede ogni crepa, ogni demone all'interno dei suoi occhi.

"Vuoi farmi credere che Dallas abbia provato empatia per una donna?" chiede scettico, ma con un fil di voce, con il cuore improvvisamente pesante. La risposta di Jeremiah lo fredda sul posto.
"Gli ricordava sua sorella Chloe. Da quel giorno sentì il dovere di proteggerla, come se la sua sofferenza in qualche modo facesse soffrire Chloe e vanificasse ogni suo sforzo. E proprio con la sua conoscenza, capì di dover agire e mettere al sicuro i suoi fratelli, di fare giustizia. A diciassette anni Dallas uccise suo padre con un cocktail di farmaci che risultò letale, ma che passò inosservato agli occhi degli investigatori."

Se si guardasse attentamente sul viso di Kyle, si noterebbe della commozione. Gli occhi lucidi trattengono delle lacrime che non avrebbe mai scommesso di versare. Troppo empatico per quel lavoro, troppo emotivo, gliel'hanno detto in tanti. Manda giù il nodo alla gola per orgoglio, ma si domanda inevitabilmente se al posto di Dallas avrebbe preso le stesse decisioni.

Jeremiah ricomincia a parlare, non dando tempo e modo a Kyle di riflettere troppo sulla questione. "Dallas, col tempo, ha disegnato nella sua mente un gioco di scacchi malato, ma che funziona. Chanel e Matteo l'hanno supportato e lo supporteranno sempre perché hanno fatto un patto da ragazzi. Sanno della sua ossessione per le ragazze dai capelli rossi, sanno quanto i lineamenti docili e minuti delle donne facciano nascere in lui il desiderio di proteggerle. Vuole la loro fiducia, la loro compagnia, pensa che meritino attenzioni speciali. Con gli uomini, con le autorità in particolar modo, ha un rapporto pessimo. Loro rappresentano suo padre e deve sfidarli, combattere il mostro ancora e ancora, finché qualcuno non riesce a fermarlo. Tu sei suo padre, per questo gioca con te. Vuole annientarti, rovinarti, privarti di tutto."

"E voi lo state aiutando." Ribatte con indignazione, abbassando finalmente la pistola e riponendola nella cintura sotto il cappotto.
L'agente non ci sta. Solleva un indice in cenno di negazione, correggendolo con incredulità. "No. Vedi? È questo che proprio non capisci. Io ti sto salvando, ti sto dando una seconda vita, l'opportunità di lasciarti il nome Kyle Snyder ormai compromesso e contaminato alle spalle."
"Non l'ho mai chiesto. Ti sei mai domandato se invece volessi affrontarlo? Non scappo dalle mie responsabilità, Jeremiah."
Ma l'uomo che se ne sta di fronte a lui, non ha la minima intenzione di condividere certi pensieri. È indignato e lo sarà sempre, poiché non riesce a comprendere del tutto le motivazioni che spingono Kyle a tanto masochismo. "Hai mille altri modi per farti ammazzare. Hai scelto proprio il più stupido." Afferma affranto, ricevendo una risposta secca.
"Esatto, l'ho scelto."

È una frase abbastanza potente da zittirlo. Jeremiah tace, usa quei secondi di silenzio per scrutare bene gli occhi azzurri di colui che – erroneamente – considera suo amico. La scintilla persiste. Come diamine fa? Lo ammira, dopo tutto ciò che ha visto e subìto nella base dell'HGS... ci è passato anche lui, non ha retto in quel modo alla pressione, ha ceduto molto prima. Kyle invece sembra non voler dimenticare la sua identità, ci si aggrappa con tutte le sue forze, come se fosse più importante della sua stessa vita. Perché? Come può essere così difficile da piegare?

"Sapevo che l'avresti detto." Annuisce Jeremiah, in un sospiro arrendevole. In fin dei conti, se ha scelto Kyle per quella vita un motivo c'è, lo reputava degno e degno si sta rivelando. "Va bene, se è il libero arbitrio che vuoi, te lo concedo. Porta tutte queste prove in centrale. Mettiti contro Dallas e contro la Molniya, mettiti contro l'HGS. Io non starò più a guardare o a offrirti una via d'uscita."

Snyder è sorpreso, tanto da pensare che sia strano quel suo cambio di rotta. Ma non si interroga a lungo sulla sua reazione e lo lascia andare. Jeremiah mette una mano sulla spalla del detective, lo saluta e sembra davvero pronto a lasciar andare completamente la presa. Kyle per un attimo ci crede. Eppure, quando l'uomo se ne va dal seminterrato, il biondo decide di fare in fretta. Brutto presentimento? Di nuovo? Sì. Non ha importanza rifletterci, avrebbe avuto tempo di farlo nel suo appartamento o in ufficio assieme all'ispettore Green.

C'è una scatola sulla sedia dinanzi al tavolo, quello su cui Jeremiah aveva lasciato cadere le foto. Al suo interno ci sono già diverse prove, diversi documenti, tutti marchiati HGS. Così comincia a riempirla d'istinto con tutto ciò che trova, mentre poggia il telefono sulla scrivania e fa partire la chiamata al numero di Green, per aggiornarlo sul fatto che stesse tornando al dipartimento con un ghiotto bottino. Ma Green non risponde. Sebbene ciò lo metta in allerta, Kyle continua a riempire la scatola fino a quando non diventa piena fino all'orlo, di fogli che nemmeno perde tempo a controllare, Kyle incastra le pieghe del cartone per non rovesciarne il contenuto. L'afferra con entrambe le mani e la solleva nell'esatto istante in cui si scatena il caos dall'altra parte della strada. Riesce a sentirlo, seppur non capisca subito da dove arrivi. Un forte boato fa tremare il seminterrato, lui barcolla appena mentre il cuore accelera il battito, gli allarmi delle macchine cominciano a strillare e finalmente Kyle, con la scatola tra le braccia, nota quel dettaglio inquietante. Al centro della sedia, scavato nel cuscino, c'è un telecomando. È un innesco? Kyle lascia la scatola sulla superficie del tavolo e afferra l'apparecchio sospetto, riportando alla mente il ricordo di un telecomando simile ispezionato in uno degli addestramenti dell'HGS.

"Non sono stato io." Si autoconvince. Pensa che Jeremiah l'abbia messo lì per giocare con lui, ma quando dalla finestrella in cima alla parete riesce a vedere le fiamme che divorano la strada principale, un senso di angoscia lo investe dalla testa ai piedi facendolo tremare come una foglia. 

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