𝐋𝐕𝐈
27 ottobre 2021
C'è una vecchia casa abbandonata sul confine di Sherstone, una catapecchia in cui John ed Emily andavano per staccare dalla desolata contea ed esser circondati dalla vegetazione. Lì, nel fitto bosco, Emily aveva imparato a cacciare, a difendersi e a sopravvivere. John ha bellissimi ricordi di quel luogo, ricordi lontani e che a oggi sembrano confusi per la fitta nebbia che è comparsa a seguito del rapimento. L'assenza della ragazzina pesa e non poco. L'allegria e il caratterino di Pel di Carota hanno abbandonato casa Woodroof lasciando un vuoto incolmabile.
Oggi, John ha deciso di tornare a far visita a quel pezzo di vita ormai a pericolo di crollo. Sa d'esser letteralmente braccato dalla Larsson e dai suoi cagnolini blu. E dunque, per questa ragione, preferisce affidarsi a un luogo che conosce come le sue tasche e riportarlo alla vita per cercare Emily su un territorio più vasto. Senza distintivo può far poco, ma al tempo stesso il detective riesce a vedere le infinite strade illegali che si aprono sul suo cammino. E senza pistola d'ordinanza può far ancor meno, ma con un bel porto d'armi che si rispetti John è disposto a sparare in fondo a quel tunnel pur di rivedere la luce.
Arthur ne è consapevole. Ha assistito al momento in cui John ha ricordato dell'esistenza di quella catapecchia e ha iniziato a scuotere la testa e imprecare preoccupato. E ora, dietro di lui e con la scatola di Snyder tra le braccia, Arthur non smette di lamentarsi mentre calpesta i ramoscelli e le foglie sul terreno.
"Ti rendi conto che dovrei lasciarti qui? Toglieranno anche me dal servizio, rimarremo senza niente. Non darò il culo in tangenziale per portare due miseri spicci a casa e darti da mangiare. Né finanzierò le ricerche per questa follia. Che vuoi fare da qui? Perché devi infilarti completamente nella merda? La Larsson non mi sembra una che scherza."
Un disco rotto che continua – comprensibilmente – a ripetizione da ormai diversi chilometri. John rimane imperturbabile, ci ha fatto l'abitudine. Non avrebbe mai potuto metterlo a tacere. O almeno, non nel modo in cui fa ciò che appare davanti ai loro occhi.
"Oh cazzo." Mormora Arthur quando si ferma di fianco all'amico. Improvvisamente il silenzio cade con violenza su di loro e sul cadavere che giace a pochi metri dalla catapecchia. "Quello è uno degli stronzetti della scuola." Lo riconosce Arthur, sostenendo ancora la scatola e non riuscendo a muovere un solo passo, pietrificato dinanzi alla scoperta. È John a muoversi, lasciando a terra la vecchia documentazione che avevano salvato dalle grinfie dell'FBI, l'agendina, i diari e le poche prove a disposizione, afferrando il fucile che teneva appeso in spalla per puntarlo contro il corpo. Anche a quella distanza è palese che il cadavere sia in avanzato stato di decomposizione, dunque devono esserne passati di giorni dal momento in cui è morto e, non sa perché, qualcosa gli dice che ne siano passati esattamente venticinque.
Confermata l'ovvia e prematura morte del ragazzo, John si dà un'occhiata attorno chiedendosi perché nessuno si fosse sforzato di nasconderlo o di segnalarlo. "Quello cos'è?" chiede all'amico, indicando il palo poco lontano e circondato di ceppi di legno.
"Un sacrificio umano? Dici che è più matto di quanto pensassimo?" chiede in chiaro riferimento al Pittore.
Ma la risposta di John non lascia alternative. "No. Non è stato lui."
Diamine, ne parla come se fosse un amico di vecchia data, come se fosse l'unico in grado di distinguere la sua mano da quella di chiunque altro senza batter ciglio. Arthur percepisce il morboso legame che li tiene uniti a distanza di chilometri. Ora può vederlo chiaramente e il quadro del killer, il gioco che sta conducendo con John, quasi sembra avere senso. Che abbia sempre avuto ragione?
"Do un'occhiata dentro."
Arthur rimane lì, ancora per un po', mentre si domanda chi l'abbia costretto a entrare in polizia. Poteva fare così tanti mestieri, darsi a tutt'altra vita. Ma no, aveva insistito convinto che la divisa gli avrebbe dato onore e tante belle donne. Che fregatura! Guardala sua moglie, mentre si dirige nella catapecchia con le palle più grosse delle sue.
John, al contrario del codardo là fuori, ispeziona l'ambiente e già alla prima occhiata intuisce che lì qualcuno si sia messo comodo. Non uno sveglio e probabilmente nemmeno solo. Un frigo bar, delle bibite abbandonate lì, attrezzi vari, delle sedie e un divanetto. Nota persino qualche impronta di scarpa che non attende a immortalare con delle foto. Prima di spostare qualunque cosa e rimettere a posto, scrive tutto sul suo taccuino e scatta più immagini che può, sia dentro che fuori dalla catapecchia. Trova anche una corda insanguinata e una tanica di benzina ancora piena.
"Che pensi?" domanda Arthur, finalmente guardandosi attorno a sua volta. John inizia a contare le suole segnate sul terreno, le più profonde e riconoscibili anche a distanza di giorni. Sembrano quattro o forse cinque, ma una in particolare attira la sua attenzione: a occhio e croce non sarà un taglia più grande del quaranta, è un piede piccolo, una forma che lo turba e non poco.
Si avvicina così al cadavere, ricostruisce com'è solito fare una delle tante scene che cominciano a disegnarsi nella sua mente. E, quando ispeziona il cadavere ormai putrefatto e pieno di insetti del ragazzo, sa già cosa cercare. O forse è la speranza. Ma funziona. Eccolo! Sulla fronte del ragazzino, sottile e quasi indistinguibile, un capello lungo una cinquantina di centimetri e rosso.
John spalanca gli occhi per un istante, poi guarda Arthur e solleva la prova. Gliela mostra e sorride dopo lunghi giorni di agonia. Una traccia! Questo perché non è opera del Pittore, ma chiunque l'abbia portata lì ha fatto un enorme favore a John.
"È stata qui! Avevamo un pozzo di informazioni sotto il naso, Arthur!"
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