𝐋𝐕

26 ottobre 2021

Fortunato, John. È dannatamente fortunato. La casualità ha voluto che lasciasse la scatola di Snyder tra le mani di Arthur prima di tornare a casa sua. E il detective non ha mai avuto un'idea migliore di quella nella sua intera vita.

Quando è ritorno, infatti, trova incollate come mosche alla porta un gruppo di persone armate di torce e giacconi blu, accompagnati dal respiro pesante di quel ciccione dello sceriffo. John è a dir poco confuso. Solo leggendo la scritta gialla sul retro di una delle giacche, ricorda ciò su cui Lia e il ciccione l'avevano messo in guardia. Allora era vero: l'FBI gli sta col fiato sul collo.

John si toglie il cappello, lo lascia in macchina e la chiude prima di avvicinarsi ai volti severi e autorevoli degli agenti. Fa un profondo respiro, accigliato e perplesso annuncia il suo arrivo come se non avesse già tutti gli occhi addosso.

"Posso esser d'aiuto?" domanda gentile ma diffidente, mentre una donna dai capelli biondi si fa avanti e parla con il tono e l'atteggiamento che fanno intendere che, tra quei cani bastardi, lei sia il capo.

"Agente speciale Larsson. Le dispiace se scambiamo due parole?" chiede mostrando il documento di riconoscimento ufficiale.

A John viene da ridere, pur di non urlare contro uno di loro e non farsi prendere dalla rabbia. Tace, annuisce, lancia un'occhiataccia allo sceriffo e poi obbedisce aprendo la porta di casa a degli estranei che chiaramente non sono lì per dargli supporto. Quando tutti sono sistemati all'interno, Larsson chiede di dare un'occhiata in giro. John ha le mani legate e dunque accetta, lasciando loro libertà di movimento. La lettera di Snyder sarebbe stato l'unico problema, ma fortuna ha voluto che l'avesse dato in pasto alle fiamme giorni addietro. La tela... quella invece, giace indisturbata assieme alla camera di Emily. Specifica solo quel dettaglio, speranzoso di scatenare una qualunque emozione in quei soldatini apatici. "Abbiate rispetto della sua stanza. Non vi chiederò altro."

Larsson acconsente, lo promette. John ci crede poco. E mentre i suoi cani in blu girano per casa, lei, il detective e lo sceriffo prendono posto attorno al tavolo della cucina, ma senza sedersi. Woodroof è dannatamente curioso di sapere che diamine vogliono da lui, mentre un serial killer gira indisturbato in chissà quale stato. John ringrazia Dio, chiunque egli sia, per aver avuto quel brutto presentimento e aver lasciato l'intera documentazione, compresa l'agendina trovata a casa di Josh, nelle mani del suo amico. Spera solo che non sia il prossimo soggetto a perquisizione, anche perché non avrebbe reagito con la sua stessa freddezza.

"Le faccio le mie più sentite condoglianze per sua figlia, mi creda se le dico di esser dispiaciuta per l'irru-"
La risata di John la interrompe. È irritato, furente di rabbia. Irrigidisce la mascella, riprende fiato e poi si accinge a contraddirla, con quanta più calma ha in corpo. "È ancora viva."

La Larsson china di lato il capo, confusa e sorpresa da quella reazione. Cosa si aspettava? Non è forse anche lei una collega di Woodroof? Non dovrebbe comprenderlo? O forse all'FBI accettano solo automi? "Non le ha mandato una tela con il suo sangue?"
"Sì." Ammette a denti stretti. L'aveva fatta analizzare prima di riportarla a casa. Aveva avuto tempo e in una settimana aveva avuto i risultati: il DNA è quello di Emily. Ma non basta così poco a demoralizzarlo, non è sufficiente a fermare le ricerche.
"Capisco sia difficile da accettare."
"È viva. Glielo garantisco." Insiste lui, con un tono che non vuol sentir ragioni. "Non è necessario morire per fare un prelievo di sangue, agente speciale Larsson. Queste cose non le insegnano all'FBI?"

La Larsson è stizzita da quella che percepisce come sfrontatezza da parte del detective. Perché? Si sente offesa? Da cosa, poi? Dalla sopravvivenza di una vittima innocente? La donna accantona quei sentimenti, mettendo come priorità il motivo della sua visita. E così, prosegue nella spiegazione di ciò che la porta a Sherstone. "Andrò dritta al punto, detective. Siamo qui per chiederle di abbandonare le indagini e consegnarci tutto ciò che possiede in merito al killer."
"È andato perso nell'esplosione." Mente con prontezza lui. Gli occhi fissi in quelli della sua interlocutrice non lasciano spazio a fraintendimenti. Non glieli avrebbe mai ceduti e, anche se lo facesse, la Larsson è sicura che darebbe lei solo gli scarti delle indagini o una brutta copia.

"Io non credo lei capisca bene la situazione. Sta commettendo un errore." Risponde lei. Sul viso si stende un sorriso fiero e rilassato. John la teme, non c'è dubbio, è un ostacolo gigantesco tra lui e sua figlia, ma non ha la minima intenzione di darlo a vedere. Persino lo sceriffo tenta di darle supporto rimproverando lui. Non ha ancora capito qual è la parte in cui schierarsi, ma va bene così. "John, per favore."
Né John, né la Larsson se ne curano. Il ciccione è diventato invisibile.

"Comprendo il suo dolore, ma..." prosegue lei, nuovamente interrotta dal detective.
"Davvero? Ha figli?"
"Ho una figlia, come lei. Sì."
"È a casa? Al sicuro?" un quesito che pone inarcando entrambe le sopracciglia. La donna tace. Lo sceriffo ritenta. "John!" alza la voce, ma ancora non può sentirlo, non vuole farlo. E dunque prosegue. "Cosa la rende speciale, signora Larsson? Cosa rende voi speciali? La speciale selezione che riservate alle vittime? Il modo speciale in cui decidete quale sia degna d'esser cercata e quale debba esser abbandonata? O forse il modo speciale in cui perquisite la casa di un detective che, al contrario vostro, sta facendo il suo lavoro?"

L'agente speciale Larsson ha raggiunto il limite di sopportazione in davvero poco tempo. È bastato uno scambio di una misera manciata battute, affinché John cominciasse a rispondere con tono sarcastico. Non è colpa sua, in fondo: quale genitore avrebbe reagito con calma – come d'altronde Emily avrebbe voluto – dinanzi alla dichiarazione di morte della propria figlia? Dunque la donna s'avvicina. È incredibilmente soffocante la sua presenza a pochi centimetri da John. Minacciosa e cupa, batte il martello da giudice senza esitazione.

"Non lo ripeterò, quindi ascolti con attenzione. È stato sollevato dall'incarico. Ne ho parlato ampiamente con il suo capo, so dell'irruzione in casa del signor McGregor, so delle indagini disperate che sta conducendo e crediamo che il suo coinvolgimento emotivo stia mettendo in serio pericolo sia lei che questa contea. Ho promesso di non usare le cattive maniere e ho rispetto della sua perdita, per questo motivo non l'arresterò. Ma deve consegnare la documentazione, il distintivo e l'arma di servizio al suo superiore. Stasera stesso."



20 ottobre 2021

"Devi fidarti di me." Ha detto Dallas, prima di annodare una benda dietro la testa di Emily. Può fingere quanto vuole, sta volta, ma è lampante lo stato d'ansia che la sta investendo. Il cuore batte a mille, frenetico il sangue pompa in quel pugno di fibre di muscoli con tanta violenza che la ragazza teme di avere un infarto. E non è l'unica. Matthew al di là della spalla dell'amico la osserva con preoccupazione, come suo solito. Emily gli lancia dunque un'occhiata e, vedendo lui scandire ogni respiro riempiendo e svuotando i polmoni, decide di fare lo stesso e imitarlo. Funziona. Emily si sta calmando. Ma chissà perché, oggi Dallas appare più irritato del solito. Con una mano afferra il piccolo viso pallido della Woodroof e richiama la sua attenzione. È un gesto che sorprende entrambi, ma che fa sorridere incredulo Matthew poco dopo.

Puoi farlo. Si ripete a mo' di mantra Emily, cercando di concentrarsi pur avendo davanti il volto del suo aguzzino. Non si fiderà mai di lui. E forse, Dallas l'ha appena realizzato a pieno. Che sia gelosia?

Il ricciolino fa calare la benda sugli occhi, coprendoglieli bene prima di farla salire in macchina. Si trovano nel garage del palazzo in cui ha alloggiato negli ultimi giorni. L'hanno fatta passare dalle scale interne, senza darle modo di scorgere indizi sulla strada o all'ingresso dell'edificio.

"Ti benderà." Aveva annunciato diversi minuti prima Matt, con voce mite, in un sussurro rassicurante e volto a non farsi sentire dall'amico oltre il muro della stanza da letto. "Sai benissimo dove stiamo andando."
"Al Paradise." Risponde lei, facendolo sorridere amaramente.
Annuisce, poi prosegue. "Infatti non avrai la benda per questo motivo. Serve affinché tu non scopra dove siamo ora, perché ti ritiene in grado di lasciare indizi a tuo padre e vuole darti fiducia concedendoti quanta più libertà possibile al Paradise, per darti modo di ambientarti senza avere il suo sguardo costante addosso. Questo appartamento deve rimanere segreto. Gli scoccerebbe molto se gli bruciassi una posizione così favorevole... e noi non vogliamo che si arrabbi, ricordi?"

Emily è stranamente d'accordo. Non avrebbe rivelato quella posizione, ma non l'avrebbe fatto per un motivo diverso da quel che crede Matthew. Che poi è la ragione per cui ha resistito tutto questo tempo e ha assecondato Dallas: non vuole che lui - l'unico che nonostante tutto sembra aiutarla - rimanga coinvolto, pur essendolo già per sua scelta. In fondo, lei ci crede ancora. Matthew è buono sotto quella maschera.

Così, seduta sul sedile del passeggero, dopo aver memorizzato la targa – perché di certo non avrebbe perso l'occasione di cogliere indizi utili per il futuro –, i tre partono verso New York.

Per tutto il viaggio, Dallas non fa altro che parlare di quanto meravigliosa sia la Grande Mela, di quanta gente l'abitasse e di come si sarebbe divertita assieme alla pericolosa famiglia che popola il Paradise. Emily dubita. E ne dubita, chiaramente, anche Matt. Si parla pur sempre di un nightclub e, come se non fosse già abbastanza, della sede di una delle più chiacchierate organizzazioni criminali dello stato. L'unico ad apparire entusiasta è proprio Dallas. E se sentirlo non è abbastanza per affermarlo, quando oltre il confine le toglie la benda dagli occhi, Emily può solo confermare il suo pensiero.

La sedicenne si sente così... ipocrita. A conti fatti, le si legge in faccia la meraviglia dello spettacolo urbano che li circonda. Ed è proprio la sua espressione a calmare l'animo di Dallas. Tutto si silenzia, in quella macchina; a sovrastare la pace all'interno dell'abitacolo ci sono i clacson e i motori delle macchine, il vociare dei passanti, la musica che esce dalle finestre e le risate di un gruppo di bambini davanti ai quali passano. Emily è... a casa? Che sia nel suo DNA? Era ciò che diceva sua madre, d'altronde, uno dei motivi per cui se n'era andata da Sherstone. Dio, quella contea ora sembra solo un ricordo lontano. Se la mancanza di suo padre non fosse così dolorosa, Emily non esiterebbe ad affermare che quel rapimento in fondo non sia tanto male. È forse impazzita? O veramente Dallas sta tentando di darle una vita migliore, seppur con pessimi metodi? Certo, in un covo come il Paradise, non sa esattamente quanto bene avrebbe potuto vivere un ragazzina della sua età. Eppure...

"Quanto starai?"

La domanda inaspettata di Dallas interrompe la quiete di Emily e il viaggio di speranza che sta affrontando nel caos urbano di Manhattan. La rivolge a Matthew, facendo visibilmente entrare nel panico Pel di Carota. Che significa? Se ne andrà? Dove? Perché? Non può abbandonarla lì proprio lui?

"Dove vai?" chiede lei, con un fil di voce, facendo sorridere Dallas soddisfatto. Se solo gli prestasse attenzione avrebbe la conferma della sua gelosia.
"Non è ancora deciso. Ma pensavo di partire per Tokyo."

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