𝐈𝐕
7 settembre 2021
Ore 3 del mattino
È un'altra di quelle notti.
Woodroof ha gli occhi incollati al soffitto, le mani giunte in grembo, le gambe stese. Sembrerebbe una salma e un po' è così che si sente. La figlia, nella stanza a fianco, è rimasta quasi indisturbata dalla preoccupazione di John e questo perché a malapena ha fatto parola di ciò che la direttrice gli ha detto. Eppure, nonostante la scarsa durata della conversazione, il detective non pensa ad altro che al botta e risposta avuto in giornata.
"Me lo diresti se uscissi con qualcuno, vero?!" aveva chiesto lui, lasciando che quel dialogo cadesse nel banale per non spaventarla. Era sembrato l'inizio del discorsetto, quello che già di per sé era stato difficile ai tempi e che mai replicherebbe. Difatti Emily aveva reagito con le palpebre spalancate e le guance piene d'acqua. Non aveva mandato giù quel liquido finché non s'era assicurata che suo padre non volesse parlare di sesso. Sentirsi dire nuovamente la storia dell'ape e del fiore, in età adolescenziale, sarebbe stato troppo imbarazzante. Ecco che dunque John era entrato un po' più nello specifico, facendo intuire che non fosse quella l'interpretazione della domanda. "Insomma, mi dici tutto e non temi il mio giudizio. Giusto?"
A quel punto, finalmente, la ragazza aveva deciso di aprire bocca e rispondere con un sorriso saccente e adorabilmente puerile. "Prima regola del Woodroof club: più sai, meno t'impicci. Ricordo bene che non ti si può mentire, se lo facessi e venisse la verità a galla non mi lasceresti più in pace. Abbiamo un patto, non credere che non gli tenga fede."
"Brava." aveva annuito John accennando una lieve risata. "Ti starei col fiato sul collo e ti garantisco che non ti divertiresti più."
Sul volto di Emily si erano formate due fossette, il naso si era arricciato in una smorfia caratteristica e gli angoli della bocca avevano rubato un po' di spazio agli zigomi esibendo un sorrisone radioso. Della ragazza descritta dalla direttrice e dai disegni sul banco, non c'era la benché minima traccia. A John aveva rincuorato in qualche modo. Non avevano esitato a concludere quella conversazione con un abbraccio, ma l'adulto dei Woodroof era ancora un po' in pensiero e aveva sentito il bisogno di precisare due o tre punti prima di lasciarla andare. "Ne abbiamo trovata un'altra, Emy." aveva sussurrato con un controllato tremolio della voce. "Le ragazze rosse scarseggiano a Sherstone. Ti prego di stare attenta."
Driiin
Lo squillo del telefono interrompe i pensieri di John, dandogli finalmente qualcosa da fare che non sia percorrere il viale dei ricordi, chiedersi perché abbia dato al mondo una figlia in un posto di merda come quello o fissare il soffitto con espressione da coma. Afferra il cellulare lentamente, si prende del tempo prima di aprire lo sportellino e portare l'aggeggio all'orecchio. "Hm?!" l'unico esordio che riesce ad accennare. All'altro capo del telefono la voce preoccupata dell'agente Smith. "Dovresti venire qui."
"Potresti essere un tantino più specifico?" replica indignato e assonnato il detective, mentre si stropiccia un occhio con il dorso della mano.
"La vecchia chiesa, quella abbandonata sulla collinetta, Dio solo sa che cazzo di nome aveva."
"Che diamine fai in una chiesa abbandonata alle tre di notte?"
"È una lunga storia. Puoi portare le tue indignate chiappe da stronzo qui o chiedo troppo?"
Smith. Maledetto Arthur Smith, che linguaggio scurrile che utilizza. John conosce quell'uomo dagli anni del liceo; lo aveva incontrato la prima volta in una stazione di servizio, in ritorno da una gita fuori porta. Se ne stava beato in uno dei bagni delle donne mentre Genna Roberts gli faceva un lavoretto di bocca. All'epoca, lei aveva una mezza storia con John, una frequentazione o qualcosa di simile. La fortuna fu che a Woodroof importasse relativamente di quella ragazza, così quando l'ha vista in ginocchio sul pavimento sporco dell'autogrill nemmeno ha sentito il cuore spezzarsi. Anzi, pochi giorni più avanti, conobbe Arthur e scoprì di avere molto più in comune con lui. Divennero grandi amici, nonostante il linguaggio poco a modo di Smith e il suo atteggiamento esuberante; due tratti a cui John dovette abituarsi.
"Sto arrivando." conclude John riattaccando il telefono, buttando fuori l'aria dai polmoni. Chissà che ha combinato, pensa tra sé e sé mentre si dirige dalla figlia per avvertirla. S'infila pantaloni e scarpe nel tragitto, poi tocca alla maglia pulita e al solito cappello. Solo infine apre la porta svegliando Emily. Non c'è nemmeno il bisogno che vi dica che quella ragazza tutto vuole meno che starsene in casa da sola. Per paura? Precauzione? Per ciò che Woodroof le ha detto in conclusione alla conversazione di poco prima? Certo che no.
Emily vuole partecipare, vuole aiutarlo, rendersi utile, entrare in quel mondo di investigazione e mistero, quasi fosse un gioco. John non glielo consente, le dice di tornare a dormire e non fare storie, che non è più una bambina capricciosa e che deve imparare a ragionare da adulta. È sicuro per lei rimanere in quella camera più che andare con lui, perché se fosse stato qualcosa di pericoloso - non conoscendone anticipatamente l'entità - la situazione sarebbe risultata incontrollabile.
Finalmente Emily si dà per vinta, torna con la testa sul cuscino e tiene il muso anche quando John le deposita un bacio sulla fronte. Ed eccolo che parte. Prende le chiavi; ci mette un po' a trovarle, sono nella stanza e non all'ingresso come sempre. Poi si dirige alla macchina e ci si butta dentro per metterla in moto quasi immediatamente. Sarebbe stata una lunga notte assieme ad Arthur, se lo sente. Ma perché questa sensazione allo stomaco?
La strada è decorata di deliziose buche, ottime per le sospensioni della macchina. La mano stringe il volante con forza per non perdere il controllo del veicolo. Esso emette qualche gemito, gracchia persino di tanto in tanto, fino a che un sibilo più intenso giunge alle orecchie del detective. Che strano verso, pensa voltandosi all'indietro in cerca di qualcosa di anomalo. È certo provenga da lì, ma cosa può averlo emesso? Il bagagliaio? L'accozzaglia di vecchie coperte sui sedili posteriori? O forse una delle ruote? "Non mi lasciare adesso, bello! Non ti azzardare." borbotta lui a mo' d'avvertimento, parlando con il quarantenne fuoristrada. Il bagagliaio. L'ha controllato? L'accozzaglia di vecchie coperte sui sedili posteriori... l'accozzaglia di vecchie coperte sui sedili posteriori.
John ripete nella testa, a mo' di mantra, quella frase come se non avesse alcun senso. Senso ne ha: le coperte sono lì, dietro di lui, giacciono indisturbate nonostante le buche facciano saltare la macchina ogni due metri. Ma c'è qualcosa di sbagliato.
La mano sinistra si scambia con quella sul volante, cosicché la destra possa afferrare il mucchio disordinato e sollevarlo. Neanche fa in tempo a toccare il tessuto che comprende cosa lo turbasse tanto. Ed è allora che la piccola testa rossa di Emily fa capolino con un sorriso colpevole.
"Stai scherzando?" la rimprovera John con un ringhio di frustrazione e lei corre subito ai ripari. Si mette seduta, si tende verso di lui e tira fuori tutta la sua grinta pur di convincerlo.
"Posso essere utile!"
"Dev'essere uno scherzo." ripete incredulo.
"E se fosse il pittore?"
"Se fosse il pittore? Vuoi vedere il pittore? Sei impazzita? Hai almeno sentito una delle cose che ti ho detto stasera?"
A John sembra di aver parlato a vuoto. All'improvviso tutti i tormenti che l'hanno assalito nella notte, steso sul suo letto, si sono rivelati reali. La preoccupazione è stata giusta. Emily non comprende la gravità della situazione, indossa la benda della giustizia, è cieca, incosciente. Ora John lo sa. Ma non per questo smette di guidare. Lo nota anche lei, non ne conosce il motivo e teme quasi stia per fare retromarcia, ma non fiduciosa di averlo convinto. Ormai è troppo tardi, no?!
Chiesa abbandonata di Sherstone
3.25 della mattina
John ha una nuova assistente. Temporanea, piccola ed esile, fastidiosa come poche e fin troppo testarda per i suoi gusti. Tutte cose prese da sua madre, pensa lui scaricandole la colpa. Pel di carota sbuca da dietro la schiena del detective nel momento in cui Arthur fa per salutarlo. A vederla, tutta sorridente, l'omone mette le mani suoi fianchi e si rigira lo stuzzicadenti nella bocca. "L'ha fatto di nuovo, ah?!" lo schernisce l'amico. "Mi ricorda qualcuno."
Ebbene, non è la prima volta che accade, ma erano passati parecchi anni dall'ultimo dei suoi tentativi e John pensava di aver posto fine al problema con l'arrivo della pubertà. Altre cose per la testa, aveva detto fino a ieri, certo di essere entrato in quella fase in cui sua figlia è più interessata ai ragazzi che alle indagini del padre. Ma così non è successo e ora gli tocca zittire l'amico con un'occhiata d'avvertimento. Con Smith funziona a metà: tace riguardo l'argomento, ma la risata rimane sul suo viso.
"Perché mi hai chiamato?"
"Ah no, io non dico niente." Arthur solleva le mani senza accennare ad una risposta. Qualcosa dice al detective che non voglia perdersi lo sfizio di guardare la sua faccia durante la rivelazione. "Prima lo vedrai con i tuoi occhi, poi ti dirò come sono arrivato in questa latrina cattolica." conclude l'omone facendo cenno ai due Woodroof di oltrepassare l'ingresso.
Fin dal primo sguardo si capisce che qualcosa non è come ci si aspetta di trovarla. John ricordava quel luogo ben più fatiscente e, invece, sembra esser stato sistemato a modo per ospitare una o più persone. Ma è percorrendo la navata che il detective ha un quadro più completo della situazione. Cammina in direzione dell'altare, andando verso flebili luci di candele. Non è decisamente il posto più adatto a una ragazzina, sembra quasi abbiano interrotto una seduta spiritica e una parte del cowboy vorrebbe darsela a gambe levate. È uno di quei scenari che non promette nulla di buono, uno di quelli che lo accompagnerà nelle prossime notti insonni. Arthur apre finalmente bocca per spiegare com'è giunto fino a lì a quell'ora della notte. La mormora influenzato dal surreale silenzio che regna in quel luogo.
"Ho ricevuto una chiamata dal cimitero. Era la guardia notturna, diceva di aver notato qualcosa di strano nel suo giro di ronda. Sembra abbiano dissotterrato un cadavere e se lo siano portato via come souvenir. Non ha visto il colpevole, però correndo verso l'uscita ha notato un pick up metallizzato lasciare il viale e dirigersi qui. Sono corso, ma dell'auto non c'è traccia. C'è solo... quello." e ti paresse poco, conclude tra sé e sé Arthur indicando al detective lo spazio al di là dell'altare.
I Woodroof si avvicinano, lenti come se avessero visto una bestia pericolosa. Ciò che attira la loro attenzione è in particolare una lavagna, come una di quelle che John ha in ufficio, con appese foto e articoli di giornale: donne morte, scomparse, fatte in pezzi, alcune delle tele ritrovate con la firma del pittore - non che il sangue delle vittime su di esse non fosse sufficiente ad associarle a lui - e una lista di nomi femminili marchiati con dei simboli. Le cose sono due: o qualcuno è tanto stupido come Emily a voler giocare all'investigatore, oppure è stesso il pittore ad aver segnato tutto lì. Ma perché nessuna delle due opzioni riesce a convincere il cowboy?
"Sembra roba sua." propone Emily rompendo il silenzio.
"Non ha alcun senso." risponde John per poi scuotere la testa. "Così in bella vista... sono stato qui una settimana fa e non c'era nulla."
La messinscena tetra e inquietante di qualcuno, non un senzatetto o un tossico qualunque. È a questo che va il successivo pensiero di John. Sembra la scenografia di un'opera teatrale. Sembra tutto messo là di proposito, prima di sparire del tutto.
Sembra una trappola.
La mano del detective afferra con decisione il braccio della figlia. Lo strattona, la tiene vicina, una precauzione necessaria, l'ovvia reazione di un paranoico che ne ha viste di ogni nella sua vita. "Non perderci mai di vista. Qualunque cosa accada, tieni gli occhi su di me o su Arthur."
Emily non ne comprende la ragione, non ci è ancora arrivata e non avrà tempo per farlo, perché proprio sopra le loro teste, dei rumori attirano l'attenzione. Tutti e tre puntano lo sguardo sul soffitto, poi verso le scale al di là della porticina sulla destra dell'altare. Ma attendere non è la soluzione, i tre lo sanno bene.
John impugna la pistola. Arthur la sua sobria mitraglietta.
"Non hai un'arma meno vistosa?" si lamenta il primo con un sussurro e il secondo non ci sta. "Non prendertela con me se mamma ti ha fatto con le mani piccole." basta questo a zittire il detective, uno dei tanti doppi sensi a cui si è abituato negli anni. Non vuole sentire una sola parola di più. Così tiene la canna della pistola dinanzi a sé, dito sul grilletto, pronto a far fuoco in caso fosse necessario. Precede l'amico, tiene sua figlia tra di loro per proteggerne sia il fronte che il retro, poi sale le scale. Uno alla volta, macina i gradini cercando di far meno rumore possibile. A illuminarli è a malapena la luna che si intrufola dalle grosse vetrate colorate. Non è di grande aiuto, ma consente loro di raggiungere il piano di sopra senza l'uso delle torce.
Gocce di sudore freddo scivolano lungo la fronte di John. Non ha idea di cosa troverà e la presenza di sua figlia lo rende a dir poco nervoso. Boom. L'ennesimo suono che batte con decisione sul pavimento. Poi una voce, un'imprecazione. "Fanculo!" appena un mormorio soffocato che però John riesce a sentire molto bene. Deduce abbia notato le macchine all'esterno - come non potrebbe?! -, deduce sappia della loro presenza, forse persino chi e quanti sono. Deduce non voglia davvero far rumore. Forse la pista della trappola è errata. Potrebbe essere, anche se continua a non trovarci un senso.
John prende un bel respiro e spunta da dietro l'angolo del salone in cui il sospettato si trova. Il cadavere di una ragazza rossa di cui Woodroof ha il vivido ricordo, giace sul pavimento in posizione innaturale. Il sospettato fugge dalla finestra.
"Arthur!" chiamarlo è sufficiente. L'amico sa qual è il suo compito ora: il babysitter. Il detective ha così modo di seguire il fuggitivo. Corre verso la finestra, osserva approssimativamente ciò che si affaccia al di là di essa; la sporgenza del tetto ha parato la caduta del ragazzo, John lo vede correre nel campo deserto verso una macchina grigia. Ecco dov'era il pick up, ai piedi della collina! Si lancia anche lui, ma calcola meglio il percorso e recupera i secondi utilizzati dal ragazzo per rialzarsi dalla caduta. Poi comincia a correre con la pistola stretta in mano, solleva le ginocchia al petto con una forza che non gli si attribuirebbe a quell'età. Macina metri come li macinerebbe un velocista, buttando l'aria fuori dai polmoni con furia omicida. Non sa chi sia quel moccioso, ma deve catturarlo ad ogni costo o non sarebbero mai usciti da quel maledetto loop sul caso del pittore.
Spinto dalla discesa raggiunge il pick up in men che non si dica, ma a quel punto il ragazzo è già al suo interno e, non si sa come, ha già infilato la chiave nel riquadro e l'ha fatta partire. John non si arrende. Si lancia sul retro, riesce ad aggrapparsi, strisciando pericolosamente sull'asfalto quando acquista velocità. "Andiamo!" urla tra i denti stretti per spingere il suo corpo a quello sforzo. E ce la fa.
Si solleva con la forza delle sole braccia e si lascia cadere nel bagagliaio. Quando si solleva per raggiungere la parte davanti, il ragazzo comincia a muoversi a zig zag per far cadere l'investigatore. Sembra pronto a tutto pur di non farsi arrestare. Non sa quanto determinato sia quell'uomo, quanto stanco sia di aver paura di uno schifoso serial killer, non sa quanto stia aggravando la sua situazione. Perché lo prenderà, John sa di poterlo fare. E anche il ragazzo, quando incrocia il suo sguardo fumante dallo specchietto retrovisore, comincia a capirlo. Ma ormai è fottuto, non può fermarsi. E allora sfreccia, in una strada che nemmeno lui sa dove porti. E John si aggrappa saldamente ad ogni parte di quel macinino. Pesanti i suoi arti afferrano ciò che trovano, fino a che una mano non salda un pugno di ferro e inizia a colpire il vetro posteriore. Una. Due. Tre. Quattro volte. Il ragazzo accelera e urla, il detective perde l'equilibrio ma torna a contare. Cinque. Sei. Sette. L'ottava volta è quella decisiva, quella che consente alla sua mano - tutt'altro che piccola rispetto a ciò che affermava fiero Arthur - di sfondare il finestrino e afferrare la gola del moccioso. L'avvolge senza fatica, fa perdere fiato al fuggitivo e controllo del veicolo, fino a farli sbandare fuori strada, nel bel mezzo di una via abitata. Entrano, per la precisione, in un negozio di abbigliamento distruggendo la vetrina, tanto quanto metà degli articoli in vendita.
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