𝐕

Sala interrogatori di Sherstone
Ore 10 del mattino

La mano fasciata regge la cartellina con tutta la documentazione raccolta all'interno della chiesa. Quel ragazzino ha ben più informazioni della polizia e John oserebbe tornare sulla prima ipotesi - un idiota incosciente che gioca a fare il detective - se solo non l'avesse trovato con un cadavere nudo al piano di sopra. In quelle ore a disposizione erano anche riusciti a scoprire che del liquido seminale si trovava sul freddo corpo della defunta. Alquanto sospetto. E la posa... quella posa innaturale che John aveva visto e ricordato, era esattamente la posa in cui era stata rinvenuta la vittima sulla scena del delitto.

Il detective si era convinto negli anni che trovandosi a meno di dieci metri dal pittore avrebbe provato qualcosa; quale fosse la sensazione non aveva importanza, l'avrebbe riconosciuta. Ecco perché davanti a quel ragazzino impaurito e preda dei suoi stessi tic nervosi, non riesce a pensare di aver trovato il suo uomo.
Muove dei passi all'interno della sala interrogatori. Una, solo una fottuta stanza ma ben munita di doppio specchio come nei dipartimenti decenti, di videocamere e persino di microfoni, seppur scadenti. Il budget scarseggia, era stato proprio John ad insistere affinché si puntasse sulla qualità e non sulla quantità per una volta. Aveva fatto bene. L'entrata in quella grigia cella di cemento è piuttosto credibile e al ragazzo è chiaro di esser finito tra le mani del poliziotto cattivo. Come se non lo conoscesse, uno dei pochi detective rimasti in quella fogna di contea, sulla bocca di tutti per ogni fallimento, a partire dal matrimonio fino all'ossessione per il pittore. Come se non l'avesse conosciuto o la gola non avesse conosciuto la sua mano stretta e decisa come il robotico braccio d'una gru. Si contiene, ma John può odorare la vescica debole anche a cinque metri di distanza.
Prende posto, il detective si mette comodo sulla sedia, gambe aperte, appoggiato allo schienale, cartella sul tavolo e una penna in mano. Se la rigira tra le dita, talmente lunghe da confonderla facilmente con esse. Poi sospira, prende tempo e rompe il silenzio solo dopo aver manifestato tutta la gravità di quella situazione. Gli occhi sul fascicolo che porta il nome del ragazzino, indicano l'oggetto di tanto stress. Deve aver letto qualcosa di sconvolgente.

"Sarò onesto. Sei nella merda. E, ti sembrerà assurdo, io sono l'unico amico che hai." esordisce così, ben conscio dello stato d'animo in cui si trova il ragazzo. Non è l'assassino, John lo sa bene, ormai lo avverte fin dentro le viscere. È smarrito, non ha carisma, né un minimo di sicurezza, persino la fuga è stata deludente. Non ha una delle caratteristiche del profilo che il detective aveva tracciato sulla base delle prove ottenute. E John non sbaglia mai i suoi calcoli, su questo metterebbe la mano sul fuoco. "Posso aiutarti, sono qui per la verità, non per sbattere in cella qualcuno. Ma per scagionarti dalle accuse che ti sono state rivolte - che ti garantisco essere tante - avrò bisogno della tua completa fiducia. Credi di potermela dare?"
L'aveva imparato nell'esercito. John sa che in casi come quelli, dinanzi a soggetti che mostrano quel tipo di temperamento, la cosa migliore è tendere una mano. Soprattutto dopo ore di attesa in una stanza, solo e in silenzio. Il ragazzo rannicchiato sulla sedia vuole solo una via di fuga, qualunque gli andrà più che bene e dunque i casi sono due: se fosse stato l'assassino si sarebbe innervosito e i poliziotti avrebbero avuto modo di alternarsi per fare pressione con prove su di lui, ma in caso fosse stato innocente avrebbe collaborato. Perché dovrebbe essere tanto debole? Perché lo è di natura, perché John possiede i suoi punti deboli racchiusi in una cartella e perché è divorato da un'emotività che non è in grado di controllare. Sa che il detective ha l'autorità che gli serve, brama di diventare suo amico. E saprà presto che lui è l'unico aperto al dialogo, l'unico dalla sua parte.

"Posso chiamarti Benjamin o preferisci Tucker?"
"Benjamin." sibila con voce tremante.
"Vedi Benjamin, ti abbiamo trovato in compagnia di un cadavere e questo significa che hai anche dissotterrato una bara, il che è illegale. Ma è il reato minore: abbiamo del liquido seminale sul corpo di Brenda, resistenza a pubblico ufficiale, furto d'auto - sappiamo che non è la tua - e come se non fosse sufficiente possiedi una vasta documentazione sul caso del pittore. È tutto molto pericoloso, lo capisci?! Quella che hai in mano è una bomba a orologeria e scoppierà, dritta in faccia a te, se non la disinneschiamo assieme." minacce sul suo futuro in cella carezzano le labbra di John, tutte verità fino ad ora. Con le prove che possiede contro quel moscerino, non c'è bisogno che menta. "Sono certo tu non sia chi cerchiamo, ma sono confuso dallo scenario. La ricostruzione della scena, l'eccitamento davanti al cadavere, ti manca solo il ritorno sul luogo del delitto per avere tutti i cliché dei serial killer."
"Lei crede io non sia il pittore?" replica nell'immediato, ignorando tutto il resto, speranzoso, intravede una luce in fondo al tunnel. L'uomo autorevole, il detective scorbutico e risoluto con la medaglia al valore e anni di esercito alle spalle, crede nella sua innocenza.
"La mia è una supposizione, nulla di più per ora. Però il poligrafo sarà qui a momenti, lo scopriremo presto. Non preoccuparti, è una procedura standard, se non hai fatto nulla non c'è bisogno che ti agiti." procedura standard un cazzo. E questa, anzi, è la prima bugia che racconta John. Non hanno i soldi per permettersi quella macchina di merda, mai li avranno probabilmente. Né una fasulla, una simulazione per far tremare i sospettati. Perché si sa: il bel paese americano si affida più a quella idiozia che alle prove reali.
"Sì, io sono innocente! Lo giuro." si affretta di nuovo a confermare la sua posizione.
"Però qualcosa hai fatto. È chiaro che tu abbia una passione per il pittore e per le sue vittime."

Quella risposta zittisce il ragazzo, lo fa sentire vulnerabile, glielo si legge negli occhi che è a disagio e si vergogna. Dunque John comincia a far pressione su qualcosa che possa accentuare quella sua condizione, nella speranza di vederlo crollare.

"Shanna Robinson." pronuncia quel nome guardandolo in faccia. Vuole la sua reazione e non tarda ad arrivare: un'espressione da cucciolo bastonato. John prosegue. "Tua madre. Dev'essere stata una liberazione perderla in quell'incendio, vero?!"
"Ho sofferto molto per la sua morte."
"Non ho detto che tu non abbia sofferto, ma ch'è stata una liberazione. D'altronde non vivevate qui, ti ci sei trasferito da poco. Dico bene? Volevi cambiare aria?" se solo Benjamin sapesse quanto sono riusciti ad ottenere su di lui dalle quattro di stamattina fino ad ora. Se solo sapesse che John è al corrente degli eventi che hanno coinvolto il cimitero di Brewster, la sua contea d'origine. A quel punto non lo lascerebbe nemmeno parlare. Ma non lo sa, per l'appunto, dunque subisce da vittima i suoi stessi ricordi, elencati brutalmente dal suo nuovo amico detective. "So cosa ti ha fatto, so delle cinghiate che ti dava quando ti beccava a masturbarti, o anche solo a sorridere ad una tua coetanea. So delle letture della bibbia che facevate ogni giorno. E so..." interpone una piccola pausa per puntargli la penna contro. "che aveva i capelli rossi."

Secondo il ragionamento di John, Benjamin profanava le tombe delle donne che in vita avevano avuto i capelli rossi. Così una volta a Sherstone ha cominciato a farlo con le vittime del pittore, per poi portarle nel luogo più cattolico e accessibile nei paraggi e far ciò che sua madre Shanna ha sempre vietato lui di fare: procurarsi piacere fisico. Benjamin ha sviluppato negli anni feticismi non sottovalutabili. I cadaveri non sono proprio ciò a cui aspira, ma se li è fatti andar bene perché non parlano, non si difendono, non possono rifiutare un tipo strano come lui, né tantomeno possono prenderlo a cinghiate. E il colore di capelli... John si chiede se questo significhi essere un tratto in comune col pittore, se anche per lui ci sia un collegamento con una madre severa che desidera dominare o se c'è dell'altro sotto. "Non avviserò lo sceriffo di Brewster, non farò riaprire il caso. Ma Benjamin, ad essere onesti, questo dipende da te. Non mi piacciono le menzogne. Ci siamo capiti?" sottolinea ancora una volta il cowboy. Prende una teatrale pausa, sospira di nuovo e decide di togliersi il cappello mostrandosi bene in faccia al suo nuovo compagno di chiacchiere. Lo posa sul tavolo, infine torna a guardare Benjamin negli occhi. "Perché tutte quelle cose sul pittore? Perché quella lista di nomi?"
"La lista non l'ho fatta io. L'ho trovata. Voglio dire, era nella mia buca delle lettere. Non so chi ce l'abbia messa o il motivo per cui sia arrivata proprio a me. Forse si sono sbagliati."
"Quando l'hai trovata?"
"È passato un po' da allora."
"Quanto tempo è un po'?"
"Vediamo, era..." non finge, si ferma a pensare e persino due rughette decorano la sua fronte. A John sembra sincero o il miglior bugiardo della storia. "Circa due mesi fa."
"Prova a ricordare la data."
"Io... come potrei?"
"I nomi sulla lista..."
"Sì, lo so. Sta andando in ordine."
"Lizzie Brown è la prossima. La conosci?"
"No." le sopracciglia sollevate e la grattata di mento del detective trasmettono con chiarezza il messaggio: ora sa che mente. E questa è la conferma di quanto il ragazzo sia genuino nelle sue reazioni. Benjamin si arrende subito. "Sì. Era una mia collega quando lavoravo al multisala."
"L'hai avvisata? O... l'avresti fatto a breve?"
"Sì, certo." di nuovo quell'espressione sul viso di John Woodroof. Ormai non ha necessità di proferire parola. Benjamin sa di non potergli mentire e si corregge. Di nuovo. "Non eravamo esattamente amici. Lei mi prendeva in giro, ha fatto circolare bugie sul mio conto, ha persino detto che le avevo messo le mani addosso. Mi hanno licenziato per questo e mi sono ritrovato con metà dei miei colleghi nel parcheggio, pronti a pestarmi. Quella non è una bella persona, è un mostro, mi ha distrutto. Non dico meriti la morte, ma non vedo perché dovrei essere io ad avvisarla."
"Perché sei l'unico a possedere la lista."

La verità gli sbarra la strada. Benjamin non ha il potere di contraddirlo, ha risposto con calma ai suoi occhi lucidi e rancorosi, ricordandogli di non essere un buon cristiano. Qui non si parla di una vendetta lavorativa, per quanto grave sia ciò che gli è stato fatto, ma di un assassino seriale. È umiliante per Benjamin, ma riconosce che John stia cercando di riportarlo sulla retta via e ciò basta per esser giudicato dal ragazzo come un buon amico.
Abbassa la testa, sembra chiedere perdono. Poi il silenzio. Ancora per un po', fino a che non è di nuovo John a fare le domande.

"È rossa?"
"Tinta."
"Questo è un bel problema." mormora l'uomo sollevando il mento, preoccupato. Ricorda cos'è accaduto all'ultima finta rossa che è capitata tra le mani del pittore. È stata una delle scene del crimine più raccapriccianti che abbia mai osservato. Una volante è diretta verso l'indirizzo di Lizzie. Questo è quanto possono fare, sperando di essere ancora in tempo e che metterla sotto sorveglianza sia sufficiente. "L'auto. Perché l'hai rubata?"
"L'ho trovata."
"Anche quella? Sei fortunato. Dov'era? Nella buca delle lettere?"
"Nel mio garage."
"Segni d'infrazione?"
"No, no era tutto come sempre."
"Perché non hai chiamato la polizia?"
"Che avrei dovuto dire? Che i ladri sono entrati in casa e mi hanno regalato un pick up?"
"Hai almeno controllato di chi fosse?"
"No."
"Io sì. Jane Baldwin."
Due parole e undici lettere. La condanna a morte di Benjamin. John lo osserva sbiancare dalla prima fila. "Oh cazzo!" è tutto ciò che dice. Poi la respirazione si fa rapida e irregolare. Ha un attacco di panico.
La porta di metallo si apre, un medico entra nella stanza mentre John non si muove dalla sedia. Lascia che sia lui ad occuparsi della salute del ragazzo, preparandosi alle prossime domande. Ma anche in quello, Woodroof viene interrotto.

"Detective, c'è una chiamata per lei."
La donna in divisa fa cenno di seguirla. Attende che il detective si alzi dalla sua postazione, ma è evidente che sia restio e indignato dal tempismo. "Abbiamo appena iniziato. Non posso." replica allargando le mani e mostrando i palmi, esibendo all'agente in quale situazione si trova. Lei sa esattamente cosa dire per convincerlo.
"È sua figlia."

Reception del dipartimento
Ore 10.16

"Promettimi che non darai di matto."
La voce dell'adolescente fa capolino dalla cornetta. Risuona robotica nell'orecchio di John. "Emily." la rimprovera. Non ha voglia di scherzare, né tantomeno di far promesse che non è sicuro di poter mantenere. Pel di carota lo sa. Ecco perché non insiste e vuota il sacco. John può sentire il suo broncio fin dal dipartimento.
"Sono appena tornata a casa con Arthur."
"Appena?"
"Mi ha portata a casa sua, ho fatto colazione da lui. Tempo di chiacchierare e mi ha riportata qui. Sto bene, sta tranquillo."
Intercorre un silenzio colmo di rimproveri e giudizi, tra padre e figlia. John scuote persino la testa, pienamente convinto di come stia reagendo Emily alle sue lecite preoccupazioni. "Stai alzando gli occhi al cielo a tuo padre?" domanda indignato. La ragazza sbarra le palpebre, poi aggrotta la fronte confusa e si guarda rapidamente attorno. John non può vedere nessuno dei suoi gesti, ma l'assenza di risposta è la risposta stessa.
"No." mente lei, per un attimo, poco convincente. "Che diamine, smettila! Sei inquietante!"
"Perché dovrei dare di matto?" la interrompe, ignorando la sua protesta e cercando di arrivare subito al dunque. Oltre a non avere tutto il giorno da trascorrere al telefono, John si sta sentendo impazzire per la suspense che Emily sta mettendo tutt'attorno alla questione. "Abbiamo trovato qualcosa di... nuovo." e lo fa di nuovo. Altra suspense, altro mistero. Stavolta è John ad alzare gli occhi al cielo.
"Di che parli? Sii chiara."
"Sulla parete della tua camera c'è una tela. È bianca, non c'è segno di matita, ma sul retro è stata scritta una data: quindici ottobre duemilaventuno."

John sente mancare la terra sotto i piedi. Una tela bianca e una data, una minaccia bella e buona. E sebbene una parte di lui voglia rassicurarlo dicendogli che è solo uno scherzo, il detective è più che consapevole di ciò che significa. Il pittore è entrato in casa sua.
In un qualche modo John aveva ragione. In chiesa, aveva temuto si trattasse di una trappola. Non ha idea di come abbia fatto, di come abbia calcolato così nei dettagli la loro assenza di casa quella notte, anzi, forse pianificava quella del detective e, con la sua insistenza, Emily si era appena salvata la vita. Ma quel che ora si delinea nella mente di Woodroof è un coinvolgimento di Tucker in quel piano. Può mai esser stato usato così bene dal pittore? Può esser stato così stupido da cascarci con tutte le scarpe? O magari lo stupido è stato John, a credere alla sua messinscena? Che stiano giocando con lui? Di certo dovranno fare una chiacchierata più lunga.

"Ci sei ancora?" è la voce di Emily a ricatturare la sua attenzione. John sbatte le palpebre, risponde con un debole "Sì." ed Emily riprende con le cattive notizie.
"Ho trovato anche una lettera." è come se una palla da demolizione lo colpisse in faccia, ripetutamente. "Era sul mio cuscino." così vicino a lei, pensa John. È senza dubbio l'obiettivo. Eppure... in quella lista il suo nome non l'ha letto e cercarlo è stata la prima cosa che ha fatto.
"Cosa dice?"
"Non lo so ancora. Non l'ho aperta."
John tira un sospiro di sollievo, ma la gola rimane secca e la cornetta nella mano destra comincia a scricchiolare a causa della pressione che subisce. Una vena sul dorso rischia di esplodere. Emily ha preso la miglior decisione possibile, anche se John sa che non sarà sufficiente. "Mando la dottoressa Pepper a raccogliere le impronte. Tu non toccare nulla." come se dubitasse di lei e della sua intelligenza. Sa che non lo farà, ma lo shock non riesce a fargli dire nulla di più arguto.
"Stai bene?" chiede lei.
"No." la verità gli sfugge di bocca senza accorgersi. Mai stata più istintiva. Corre nella cornetta fino ad Emily, facendola sospirare. "Torno tra un paio d'ore. Tu rimani con Arthur. Per favore, non allontanarti."

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