Prologo

«Sofia! Sofia!»

«Eccomi, mamma.» Il brusio della folla, assiepata nella piccola piazza, la costrinse ad alzare la voce. Non fu semplice infilarsi tra la grossa fornaia, sporca di farina, e il fabbro, coperto di fuliggine e sudore.

Riuscì a raggiungere sua madre e a respirare un po' d'aria fresca. «Eccomi.» Sistemò la mantella scolorita che, nel frattempo, si era spostata di lato.

«Sofia.» Com'era dolce la voce di sua madre, riusciva sempre a calmarle l'animo. Le si avvicinò scuotendo la testa e i lunghi ricci neri ondeggiarono. Si spostò alle sue spalle, con quell'espressione sul viso che le diceva che aveva qualcosa fuori posto.

«Ma guardati» le disse la madre ridendo e Sofia, al suono di quella risata, sentì le labbra piegarsi in un sorriso. «Sei tutta spettinata.» Cominciò a scioglierle la treccia. «Se avrai un po' di pazienza, amore mio, riuscirò a sistemarti.» Le passò le dita tra i capelli, districandoli e separando le ciocche.

«Oh, mamma. Ti prego.» Rise anche lei, cercando di stare ferma. «Fai in fretta. Presto arriverà il momento e non voglio restare in disparte.» Con la mano spolverò una macchia di farina che le era rimasta attaccata alla manica.

«Non resterai in disparte, credimi.» Aveva smesso di sistemarle i capelli, li stava semplicemente accarezzando. «Il tempo scorre senza sosta e la storia continua.» Il tono, ora, era più triste. «Ognuno di noi avrà il suo ruolo e il tuo non sarà marginale. Anche se...» S'interruppe per un attimo. «Anche se avrei voluto diversamente.»

Sofia si voltò a guardarla. Il sorriso era dolce, ma gli occhi scuri, dalle lunghe e folte ciglia e che conosceva tanto bene, non riflettevano allegria. Si girò del tutto e le prese le mani. «Mamma, che dici?» Quelle stesse mani, che l'accarezzavano mandando via paure e indecisioni, erano fredde. «Perché sei così? Non stai bene?»

Una smorfia di dolore distorse il viso di sua madre, che l'abbracciò. «No, amore mio. Non mi sento affatto bene» le sussurrò all'orecchio. «Sono prigioniera, e soffro. Soffro come non riesci neanche a immaginare e non puoi fare nulla per liberarmi da questo dolore. È la giusta punizione per quanto ho fatto.»

Sofia si divincolò dall'abbraccio e vide il volto di sua madre: pallido, gli occhi vacui.

«Va' via, amore mio.» La spinse. «Fuggi e non tornare più.» Indietreggiò. «Non voltarti mai. Non fidarti mai.»

«Aspetta.» Mosse un passo verso di lei, ma una vibrazione del suolo la costrinse a fermarsi e guardarsi intorno. La piazza era ancora gremita di persone, il cicaleccio insistente riempiva l'aria. Tornò a guardarla. «Mamma.» Era sempre più pallida, le labbra tirate nell'ombra di un sorriso e gli occhi bassi. «Mamma, cos'hai?» La vibrazione aumentò d'intensità e il cuore di Sofia cominciò a battere più forte. «Mamma?»

«Ti prego, amore mio.» Indietreggiò ancora, lo sguardo triste e implorante. «Ti sta cercando. Non lasciare che ti trovi. Fuggi.»

«No, aspetta!» Afferrò la manica del vestito di sua madre. Era bagnata. «Mamma, ma cosa...» Seguì con lo sguardo il braccio, la spalla, fino al suo volto. «Mamma, perché piangi?» Le accarezzò la guancia, sentendo le dita bagnarsi.

«Non vedi cosa mi ha fatto?» le rispose con un'altra domanda. Le lacrime si tinsero di rosso e rivoli scarlatti fuoriuscivano dalle numerose ferite che aveva in tutto il corpo, macchiando le vesti nei punti in cui le ricoprivano.

Una morsa gelida le afferrò il cuore; sua madre aveva bisogno di aiuto, ma c'era qualcosa di strano che trattenne le sue mani dall'avvicinarsi ancora. Poi un urlo agghiacciante lacerò l'aria, salendo sempre più d'intensità, costringendola a coprirsi le orecchie. Chiuse gli occhi e s'inginocchiò. Lo sentiva ancora, attutito, ma era lì.

Quando cessò, spostò piano le mani e riaprì gli occhi. Erano tutti spariti: la fornaia, il fabbro, la folla e anche sua madre.

Lasciò correre lo sguardo in tutta la piazza e si portò una mano al petto, stringendo la camicia. Provò a schiarirsi le idee passando in rassegna gli ultimi eventi. Tutto quello che stava accadendo non aveva senso. Riaprì la mano e vide che stava stringendo una pietra ovale, liscia, scura e screziata di venature rosse. Ma cosa... La lasciò cadere con un urlo, portandosi le mani alla bocca; quella pietra stava pulsando, di una luce viola malsana, e aveva lo stesso ritmo del proprio cuore.

Indietreggiò, stringendo gli occhi e senza distogliere lo sguardo da quella pietra. Non era normale quello che stava accadendo, lo sentiva con tutta se stessa. Quella non era la sua vita, quella donna era sua madre, ma non poteva essere ferita e tutte quelle persone non potevano essere svanite nel nulla. Sto sognando. L'idea le si formò nella mente tanto improvvisa da farla vacillare. Ho già vissuto tutto questo. Lo ricordo.

Tirò un sospiro di sollievo, ma il senso d'inquietudine non l'aveva ancora abbandonata, perché anche se vagamente, ricordava cosa accadeva nei suoi sogni. Incubi. Ecco cosa sono. Lanciò un'occhiata in giro e cercò un riparo. C'era una creatura che la cercava; era enorme, a giudicare dalle vibrazioni che provocava muovendosi, e non doveva trovarla. Erano le uniche cose che sapeva.

Corse verso un vicolo, non importava quale, era solo fondamentale che non si facesse trovare allo scoperto da quella creatura. Rallentò solo quando trovò una porta aperta ed entrò in quella casa.

Perché mi ricordo di questo posto?

Non era casa sua, ma le era familiare. Tenendo d'occhio le finestre, tutte spalancate e senza possibilità di chiuderle, cominciò a esplorarla. Dispensa, camino, tavolo e sedie, tutto ordinato e pulito. È accogliente, mamma. Ti piacerebbe questa casa. Varcò un'altra porta e si trovò in una camera da letto. Sulla parete opposta c'era uno specchio ed evitò di guardarci dentro. Invece la incuriosì il pupazzo di stoffa seduto sulla poltroncina proprio vicino alla porta; un coniglio bianco, dalla testa tonda e orecchie lunghe e flosce. Avevo un pupazzo così, una volta. Sorrise. Gimmi.

La terra cominciò a tremare, come accaduto poco prima in piazza. Dapprima quasi in modo impercettibile, poi sempre più forte.

Sofia doveva lasciare quel posto; non era sicuro, la creatura avrebbe potuto vederla.

Corse lungo le vie del suo piccolo villaggio, senza avere una meta precisa ma con lo scopo di trovare un riparo.

Si ritrovò lungo una strada in terra battuta; circondata da alti alberi e nessun riparo. Si sentiva nuda, esposta alla creatura. No. Non va bene. Mi vedrà e non potrò fare nulla. Devo svegliarmi, non posso andare avanti così.

Continuò a camminare lungo quella strada, finché non vide che in fondo c'era una piccola chiesa in pietra grigia.

Si fermò. Era sola, come la maggior parte delle volte che sognava. Questa volta, però, provava un senso di vuoto dentro di sé. Portò la mano al petto, ma la scostò subito e guardò il palmo: non c'era nulla. Cos'era quella pietra? Sapeva che doveva conoscerne origine e significato, ma al momento non lo ricordava.

L'urlo, lo stesso di prima, vibrò nell'aria e la terra riprese a tremare. Sta venendo qui.

Corse verso la piccola chiesa; la sensazione che l'avrebbe accolta e protetta non riuscì a fermare l'ondata di panico che stava montando dentro di lei. Svegliati, stupida!

Si fermò solo quando arrivò davanti alla porta di legno.

Con le dita cercò una maniglia, una fessura o qualunque cosa le permettesse di aprire quella dannata porta e mettere una parete tra lei e la cosa che la stava seguendo. L'urlo si fece sentire di nuovo, sempre più vicino, e Sofia cominciò a spingere, a prenderla a pugni e a spallate, fino a quando non se ne aprì una porzione della dimensione giusta per lasciarla entrare.

Chiuse l'ingresso alle proprie spalle e si ritrovò in un ambiente molto più ampio di quanto si aspettasse. Era illuminato da numerose lame di luce provenienti dalle strette e alte finestre poste su entrambi i lati di quella che aveva tutta l'aria di essere una enorme navata.

Il suolo non vibrava più e, a parte il pulsare del sangue nelle orecchie, Sofia non udiva alcun suono eccetto quello dei suoi passi che cominciò a muovere verso il fondo di quell'ambiente.

L'odore di muffa e l'aria fresca erano in netto contrasto con l'esterno. Le pareti erano di liscia pietra grigia e la volta era completamente in ombra. Alcune finestre erano adorne di vetri colorati raffiguranti strani esseri: alcuni avevano forma umana, altri quella di creature orrende e deformi. Sul lato opposto all'ingresso c'era una piccola porta illuminata da due fiaccole e, a piccoli passi, Sofia vi si diresse continuando a guardare le vetrate colorate. Una in particolare catturò la sua attenzione: raffigurava un albero, dal tronco contorto e scuro, molto simile a un salice. Si fermò a osservarne i colori e le immagini. Le foglie erano filiformi e di un rosso cupo; il tronco era nero e avviluppato intorno a qualcosa di più chiaro e strinse gli occhi, nel tentativo di capire di cosa si trattasse, ma il pavimento di pietra riprese a tremare.

Si voltò verso l'ingresso, a cui dava le spalle, trattenendo il respiro e senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla porta, ormai abbastanza distante da lei. Un brontolio sommesso cominciò a riempire la navata, fino a diventare un ruggito profondo.

Eccolo. È qui. Mi ha trovata!

Indietreggiò, portando le mani alla bocca e premendo forte per ricacciare indietro l'urlo che le stava graffiando la gola: la prima finestra era stata offuscata per tutta la sua altezza.

Un passo fece tremare la navata e anche la seconda finestra venne oscurata.

Svegliati, stupida, svegliati!

'Fuggi, Sofia. Fuggi e non voltarti mai.' La voce di sua madre la investì e la scosse, giusto in tempo per vedere la terza finestra oscurarsi. C'era una porta in fondo alla chiesa, forse avrebbe potuto nasconderla, ma non l'avrebbe raggiunta in tempo perché la creatura stava avanzando e ormai era a una sola finestra da lei.

Corse verso il muro, tra le due vetrate che aveva davanti, e schiacciò la schiena contro la pietra, fredda e dura, tanto da farsi male.

Trattenne il respiro quando la lama di luce alla sua destra sparì dal pavimento. Quella alla sua sinistra subì la stessa sorte e Sofia rimase sospesa, con i polmoni che bruciavano chiedendo aria e la certezza che se solo avesse respirato la creatura l'avrebbe sentita.

Perché era lì. Riusciva a percepirla. E aveva la certezza che anche lei avvertiva la sua presenza. L'ombra che proiettava all'interno sembrò sollevarsi dal pavimento e venirle incontro.

Svegliati!

Era a poca distanza da lei, si stava innalzando fino a superarla.

Svegliati!

Cominciò a piegarsi in avanti, per raggiungerla e toccarla.

Svegliati!

Strinse gli occhi, il petto in procinto di scoppiare e poi lo fece: respirò. E restò in attesa. Attesa di provare dolore, freddo, paura.

Ma non accadde nulla.

Riaprì gli occhi e l'ombra era scomparsa e le lame di luce tagliavano il pavimento della navata, ai suoi lati e anche in fondo, verso l'ingresso, e lungo il lato opposto.

È il momento. Non posso restare qui.

A passo spedito raggiunse la porticina di legno che aveva visto. Poggiò la mano sulla maniglia ed esitò, guardando ciò che si stava lasciando alle spalle. Con un po' di fortuna sarebbe arrivata in un luogo chiuso, più sicuro, magari senza finestre. Spinse e rimase in attesa, uno spiraglio aperto su un nuovo ambiente, dall'aria calda e umida.

Si voltò. Aveva la sensazione di stare lasciando indietro qualcosa di importante, qualcosa che aveva sempre desiderato, ottenuto e che ora era in procinto di abbandonare.

È solo un sogno. Nient'altro.

Spinse la porta e l'odore di olio bruciato le fece lacrimare gli occhi, mentre una fiaccola illuminava delle strette scale a chiocciola che portavano verso l'alto.

Almeno non ci sono finestre.

Cominciò la propria ascesa e il crepitio delle piccole fiamme la accolse a ogni curva. Ne contò quattro, poi si ritrovò davanti a un lungo corridoio la cui unica fonte di luce era un'apertura posta alla sua fine. Un'orrenda e larga finestra che dava sull'esterno, mostrando uno sprazzo di cielo azzurro e luminoso.

Maledizione!

Si morse il labbro. Era completamente esposta.

Lo sguardo corse lungo le pareti del corridoio. C'erano tante porte, troppe e tutte chiuse. Inclinò la testa di lato; il tappeto rosso che copriva il pavimento sembrava invitarla a seguire quel percorso, voltando a sinistra proprio davanti alla finestra.

Trattenne il respiro molleggiandosi sulle punte dei piedi. Avrebbe lasciato la relativa sicurezza delle scale alle sue spalle per attraversare di corsa il corridoio, senza fermarsi e senza guardare le porte.

Fissò gli occhi sulla grande apertura che aveva davanti.

Avanti, svegliati. Ti prego.

Quel sogno stava prendendo una brutta piega, lo sentiva strisciare sotto la pelle.

Di corsa. Non è detto arrivi proprio adesso.

Come in risposta al proprio pensiero, il pavimento vibrò.

Maledizione!

Sofia cominciò a correre, sperando che non si stesse lanciando dritta tra le fauci della cosa che si muoveva lì fuori, ma a metà strada la finestra si oscurò del tutto.

Le mancò il fiato; avvertì una fitta al petto, profonda e pungente, e perse l'equilibrio. Cadde, si rialzò e un enorme occhio rosso dalla pupilla verticale riempì la finestra.

Urlò. Forte. O forse era la creatura, vittoriosa per averla finalmente trovata.

Sofia si lanciò contro la porta a lei più vicina e cadde ancora, all'interno della stanza.

Si ritrovò distesa al buio, la spalla pulsante, il petto straziato da quel dolore che le lacerava la carne; aveva la sensazione che le costole si stessero rompendo una a una.

Voleva urlare per cacciare fuori tutto quel dolore e in fine qualcosa si mosse dentro di lei; il peso divenne meno opprimente, il dolore diminuì e riuscì a prendere aria.

Era buio, freddo e il pavimento era duro. L'unico suono che udiva era il proprio respiro, rantoli forzati che si mescolavano ai singhiozzi che le squassavano il torace.

«Adesso basta.» La voce le tremava e portò le gambe al petto, abbracciandole. Voleva lasciare esposto il meno possibile del suo corpo al buio che la circondava. «Voglio svegliarmi. Che qualcuno mi aiuti, per favore. Voglio svegliarmi.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top