6 - Capitolo 4

Lo so, avresti voluto e non hai potuto.

(Il Bardo Mendicante)

Il cigolio echeggiava nel corridoio. Alessandro aveva chiesto più volte al falegname di sistemare le ruote della sua sedia, ma non era riuscito che a diminuirlo, o a toglierlo per breve tempo. Puntualmente il cigolio tornava. Prima lieve, poi sempre più insistente. A ricordargli quanto lui dipendesse dagli altri. Aveva tentato anche di manovrarla da solo, specialmente i primi tempi, ma era troppo pesante per le braccia malandate che si ritrovava, e la sua incapacità lo aveva gettato nello sconforto.

Scosse la testa ripensando a quei giorni e un lieve sorriso gli increspò le labbra al ricordo del volto di sua sorella, Astoria, mentre gli porgeva la coperta che aveva cucito apposta per lui. La accarezzò e non sentì nulla: le sue gambe non avvertivano più nessun tocco.

Erano passati diversi anni, ma la memoria non era sbiadita. Gli avevano sempre detto che i grandi dolori sparivano dalla mente, lavati via dal tempo. Sua madre glielo aveva raccontato più volte, a proposito del parto. Eppure il dolore provato era ancora vivo, nella mente e nel corpo. Non era mai sparito. Tornava a tormentarlo e, non fosse stato per Areina, lui non sarebbe stato lì, a lamentarsi dello stupido cigolio delle ruote della sedia, sedia che gli permetteva di vivere quasi normalmente.

«Forse è giunto il momento di costruirne una nuova.» La voce che lo riportò alla realtà gli giunse dalle spalle. Apparteneva a Guido, suo grande amico. Era lui che spingeva la sedia. Era lui che lo accompagnava ovunque e che aveva rinunciato a tutto, pur di restare al fianco del suo principe. Anzi, alle spalle, proprio come stava facendo in quel momento.

«Hai ragione.» Alessandro sospirò quelle parole. «Devo chiedere a mastro Pietro di creare un nuovo progetto. Avevo pensato a qualche modifica da apportare. Magari questo maledetto cigolio non si ripresenterà.»

«L'usura del legno non si può evitare» aggiunse Guido «ma sono curioso di vedere le nuove modifiche.»

Si fermarono davanti all'elevatore che gli avrebbe evitato di usare le scale.

Modifiche ce n'erano state, anche troppe, nella vita di Alessandro e a Castelnovo. Ogni ala del castello era stata dotata di un elevatore simile a quello che stava osservando. Una piattaforma dotata di cancelli e assicurata a un sistema di carrucole, corde e catene che permettevano a chi la manovrava di far salire e scendere i suoi occupanti.

«Dobbiamo andare ai sotterranei» disse Guido rivolto al giovane che avrebbe dovuto azionarlo.

Il cancello fu aperto e i due presero posto al centro dell'elevatore. Uno scossone e una serie di scricchiolii, di toni e intensità differenti, accompagnarono la lenta discesa.

«È già terminato? Avresti potuto mandare qualcuno» disse Guido. «Me, per esempio.»

«Quasi terminato, sì. Non so perché, ma ci sono notti in cui non riesco a dormire.» Esitò, indeciso se aggiungere altro. Dirlo a voce alta avrebbe reso più reale il dolore che provava. Quando quelle fitte si presentavano di giorno, riusciva quasi sempre a distrarsi con qualcosa, ma la notte erano diventate insopportabili. E lui sapeva che non era possibile avvertire dolore in una zona morta del proprio corpo. La stessa Areina glielo aveva dimostrato pungendo quegli arti inermi e rinsecchiti: non aveva avvertito nulla. «Devo parlarle io. Ho bisogno di chiederle se posso aumentare la dose.»

La discesa fu lenta e a ogni scossone Alessandro stringeva il bracciolo della sedia, a ogni cigolio più forte sentiva una morsa alla testa. Negli ultimi anni, dopo l'incidente, Alessandro desiderava solo silenzio e tranquillità. Eppure la vita aveva sempre in serbo qualcosa che lo scuotesse dal suo torpore, proprio come stava accadendo in quel momento.

Il corridoio che portava agli appartamenti della maga di corte era poco illuminato, puzzava di muffa e l'aria era umida e stantia. Alessandro ricordava che più di una volta Re Ferrante, suo padre, aveva offerto ad Areina delle stanze più consone al suo ruolo, soprattutto dopo che si era resa indispensabile alla sua salvezza. Eppure lei aveva sempre declinato l'offerta, preferendo restare nei sotterranei, isolata dal resto della corte e dall'aria salmastra che permeava tutto il castello.

Il cigolio delle ruote, divenuto ormai il suo araldo, echeggiava anche in quel luogo, dimenticato dalla Luce ed evitato dalla maggior parte delle persone.

Guido bussò alla porta ed entrò, mentre Alessandro si chiedeva, come sempre, quale funzione potesse avere una doppia porta, rinforzata con cerniere di ferro e, quasi sicuramente, protetta da incantesimi. E, come faceva ogni volta, trovò la risposta nell'attività che la nobile Areina svolgeva.

Alessandro fu annunciato da Guido e condotto all'interno della stanza.

«Vostra Altezza.» La maga si alzò ed eseguì una riverenza. «Come posso esservi utile?»

«Avrei bisogno della solita pozione.» Tamburellò con le dita sul bracciolo. Con Guido era stato facile dirlo, anche se non aveva avuto la forza di spiegare il motivo della sua richiesta.

Areina annuì e si diresse verso uno degli scaffali colmi di scatole, ampolle e scrigni.

Alessandro, invece, digrignò i denti e si coprì gli occhi con la mano, stringendo le tempie tra le dita. Aveva bisogno di più pozione, non della solita quantità. Abbassò la mano. «Nobile Areina?»

La maga aveva appena preso una scatola di legno intarsiato e l'aveva poggiata sul tavolo, aprendola. C'era una serie di bottigline sigillate con la cerca. Contenevano tutte lo stesso liquido blu. Sollevò lo sguardo, grigio e affilato, il viso sottile incorniciato dai lunghi capelli neri e lisci. «Mio Signore?» Incrociò le mani e attese.

Le pozioni erano lì, a un passo di distanza. Un passo che non avrebbe mai potuto compiere. «Ho...» Strinse il pugno, ingoiando le parole. «Vorrei sapere se posso assumerne di più.»

«Capisco, mio Signore.» Areina sciolse le mani e prese una bottiglina dalla scatola. «Vi ho già spiegato che il dolore alle gambe è solo nella vostra mente.» Fece un passo in avanti, quello che Alessandro non avrebbe potuto compiere, e la porse a Guido, in piedi alle proprie spalle. «Quale tipo di dolore volete far cessare?»

Alessandro strinse il pugno; lo sollevò di poco e lo riabbassò, quel tanto che bastava a compiere un gesto di stizza che non avrebbe voluto mostrare. Non alla maga di corte.

«Devo poter dormire sereno. E la pozione blu è l'unica che me lo permette.»

«Sono dolente.» Areina chiuse gli occhi e chinò il capo. «Sebbene questa pozione possa essere assunta tutti i giorni, è preferibile non aumentarne il dosaggio.» Tornò allo scaffale da dove aveva preso le pozioni blu e cominciò a osservare le varie ampolle, bottiglie e scatole. «Tuttavia è possibile combinare gli effetti con...» Allungò un braccio e la manica le scivolò fino all'altezza del gomito, mostrando una pelle ancora più pallida rispetto a quella del viso. «Ecco, con questa.» Prese una piccola fiala argentata e si voltò verso di lui, porgendo anche quella a Guido. «Ne basteranno due gocce in un calice d'acqua, all'occorrenza, ma vi prego, mio Signore, di evitare di eccedere con entrambe. Potrebbero causare un sonno profondo dal quale neanche io riuscirei a risvegliarvi.»

«Potrebbe non essere un male, dopo tutto» sospirò.

«Mio Signore, indubbiamente posso comprendere il vostro stato d'animo, ma il dolore è utile alla sopravvivenza del corpo.» Indietreggiò, senza voltarsi e chinò il capo. «Posso fare altro per voi?»

«Grazie, nobile Areina.» Alessandro scosse la testa e fece un cenno con la mano. «Per adesso è tutto.»

La maga chinò ancora la testa e Guido lo portò fuori da quella stanza angusta e soffocante.

Lungo il corridoio e sull'elevatore nessuno parlò. Solo quando la luce del giorno tornò ad illuminarli, la tensione sembrò dileguarsi.

«Alessandro, cosa ti è preso?»

«Nulla. Solo che quel posto e quella persona mi mettono in agitazione.» Si riempì il petto dell'odore del mare che arrivava dalla finestra del corridoio esterno.

«A me non sembrava 'nulla'.» Guido si fermò per aprire la porta che dava accesso alle sue stanze. Che poi quella maga sia inquietante è un altro discorso. Ti riporto in camera?»

«Sì, certo.» Era sempre in ansia quando le pozioni di Areina erano in giro per il castello.

Al suono del cigolio, Alessandro strinse ancora i pugni e digrignò i denti. Quanto vorrei essere con te, Astoria. Non erano i viaggi a dorso di drago a mancargli, né le cavalcate o le passeggiate. Non si sentiva neanche solo, Guido non si allontanava che di rado e dietro sua esplicita richiesta. Il suo cruccio era doversi affidare ad altri e proprio in quei giorni sua sorella stava cercando di venire a capo del segreto della Grotta del Pescatore.

«Sei troppo taciturno, amico mio.» Guido interruppe i suoi pensieri. «Non ti fa bene far visita alla maga. Manda me, la prossima volta. Sarà inquietante, ma è sempre piacevole guardare una bella donna come lei. Chissà quanti anni avrà?»

Alessandro scosse la testa; si accorse che un lieve sorriso stava affiorando dai meandri del suo animo. «Più di te, sicuramente.» Rilassò le spalle contro lo schienale. «Il vecchio conte, Guidobaldo, mi disse che Areina ha servito come maga di corte anche per mio nonno. Alcune voci dicono che sia a Castelnovo da molto tempo prima.»

«Le voci le ho sentite anche io, ma non ci credo.» Si fermarono e Guido aprì la porta della camera per poi condurlo dentro. «Se con la magia fosse possibile restare giovani, immagina quante donne, ma anche uomini, ne farebbero uso. Sarebbe troppo bello. Probabilmente userei anche io un incantesimo del genere. Potrei persino migliorare il mio già bellissimo aspetto.» Richiuse le porte. «Sarebbe un danno per il genere maschile. Il mio fascino, reso immortale dalla magia, renderebbe tutte le donne scontente degli altri uomini.» S'impettì e sollevò il mento. «Avrei il mio bel da fare per non far estinguere il genere umano.» Scosse la testa, si avvicinò ad Alessandro, che rise, e portò la sedia allo scrittoio illuminato dal sole. «Ma mi sacrificherei per il bene dell'umanità.»

«Eppure qualcosa di vero deve esserci.» Poggiò i gomiti sulla scrivania e sostenne il mento con le mani. Adorava le giornate di sole come quella e preferiva di gran lunga udire qualche gabbiano stridere, piuttosto che le voci delle persone. «Il conte non è avvezzo alle dicerie, le pesa con la dovuta cautela e lei è dannatamente capace con la magia. Non l'ho vista mai in dubbio, mai preoccupata. Ha sempre la soluzione pronta per ogni cosa, o quasi. Non mi farebbe troppa meraviglia se avesse più di cento anni.»

Guido si era appena allontanato dalla piccola dispensa che conteneva tutti gli intrugli che servivano a rendergli la vita più confortevole: unguenti per la pelle, erbe per impacchi a gambe e schiena, pozioni per dormire e lenire dolori di ogni tipo. E poi c'era la pozione blu; l'unica che avesse effetto sui dolori che aveva alle gambe e quelli alla schiena, provocati dalla ferita.

La ferita. Non riusciva a vederla; era posizionata proprio dietro la schiena, in basso, all'altezza della cintola. Eppure c'era. Con le dita ne sentiva i contorni in rilievo anche al di sopra dei vestiti.

«Ti fa male? Adesso, intendo.» La voce di Guido era un sussurro. I suoi occhi, grandi e marroni, erano sormontati dalle folte sopracciglia nere, aggrottate in quel momento.

Alessandro tolse la mano da dietro la schiena e la osservò, scuotendo la testa. «No, tranquillo. Sto bene.»

«Eppure poco fa, nell'antro della maga, così non sembrava. Adesso ti vedo più tranquillo, anche se hai il solito fascino da bel tenebroso imbronciato.»

Alessandro rise. Guido riusciva a far emergere il buon umore, in lui. Sempre. Anche prima di quell'orribile giorno. «Hai ragione, sai?» Si voltò a guardarlo, alzando lo sguardo, ma il suo amico aveva già preso una sedia per mettersi al suo stesso livello. «Quel posto mi rende difficile respirare. Poca aria. E poca luce. Non parlo di quella del sole, ma della Luce. Sembra che la grazia della Dea lì sotto non arrivi.»

Guido alzò un sopracciglio e portò le mani dietro la testa, distendendo la schiena e accavallando le gambe. «Può darsi. Oppure bisogna chiedere al Maestro della Casa di mettere più fiaccole. Le candele si addicono poco a quel luogo.»

Alessandro scosse la testa. «No, non è quello. È la sua presenza che mi inquieta. Quello è il suo territorio e credo proprio che Astoria abbia ragione.»

«Su cosa?»

«Sulla predilezione di Areina per le arti oscure. Lo sai che è stata la maga a fornirle molti dei libri su cui ha studiato? Le ha anche dato informazioni riguardanti i sigilli, ma tergiversa quando le viene chiesto di andare di persona alla Grotta del Pescatore.»

Bussarono alla porta e Guido prese un piccolo rotolo di pergamena dalle mani del ragazzino che aveva fatto da messaggero, passandolo poi ad Alessandro.

«Astoria, non verrà. Ci proverà oggi.» Lanciò il piccolo foglio sulla scrivania e lo osservò riprendere la forma arrotolata. Prese a tamburellare con le dita sul legno.

«Non ne sembri entusiasta.»

«No, infatti. Dice che la maga non sarà con lei. Io sarei stato più tranquillo se ci fosse stata.»

Guido prese il messaggio, lo lesse e poi lo ripose in un cassetto, insieme a molti altri. «Se non ci va, vuol dire che ritiene tua sorella in grado di cavarsela. Perché ti preoccupi?»

«Sì, va bene. Astoria è davvero in gamba con la magia, ma qui si tratta di magia oscura. Mi ha parlato di quei sigilli, me li ha descritti, Guido. Non sono stati apposti da una persona normale. Lei stessa è preoccupata, anche se cerca di non mostrarlo.» Sorresse la fronte con la mano, concentrandosi sui ricami della coperta, poco precisi. Sua sorella non era mai stata molto abile con le faccende femminili, ma quando si trattava di restare ore intere china sui libri era capace di saltare i pasti, se qualcuno non si fosse preoccupato di ricordarle di mangiare.

«Vuoi che vada a controllare?»

Alessandro scosse la testa. «Kareikos sarà con lei, insieme a un piccolo drappello. Non sarà Eric, ma è un ottimo combattente, sebbene di una certa età. Se da quella grotta uscirà un mostro, saranno in grado di affrontarlo.»

Guido cominciò a prendere i dispacci di quella mattina, ordinandoli come sapeva che lui desiderava.

«Aspetta.» Forse aveva un modo per aiutare sua sorella, da lontano. «Voglio andare a pregare, amico mio. Astoria avrà bisogno di tutta la benevolenza della Dea, della sua Luce per illuminare l'Oscurità che minaccia di avvolgerla. Andiamo nella cappella, per favore.»

«Ma certo.» L'amico aprì la porta e tornò a prendere la sedia.

Alessandro sorrise udendo ancora quel cigolio. Un tempo avrebbe trovato utile lanciare via quella coperta che nascondeva due gambe rinsecchite e inutili, urlare e maledire la sorte che si faceva beffe di lui. Aveva imparato, però, che urlare e scaraventare oggetti a terra sarebbe servito solo a dimostrare la sua totale inutilità. Invece la Dea lo avrebbe ascoltato e il conforto della preghiera avrebbe lenito le sue sofferenze.

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