59 - Capitolo 35

Un dono, per quanto tu possa disprezzarlo,

va sempre usato.

Anche da un frutto marcio

può nascere qualcosa di buono.

(Sorelai Fenir)

"Mi hai tradito."

Il volto di Balder, offuscato dalla lastra di ghiaccio, continuava ad apparirle nel sonno, provocandole continui risvegli e contribuendo alla mancanza di riposo.

Si girò sul fianco. Il braccio era completamente guarito ma ancora non riusciva a stringere il pugno con forza. Si alzò; Eric era di guardia, poggiato alla porta aperta di quella casa abbandonata. Non ricordava neanche quale fosse il nome di quel piccolo villaggio. Pochi uomini e donne, quasi tutti anziani che non erano stati in grado di intraprendere il viaggio verso sud, oppure che non avevano voluto. L'ombra non aveva ancora toccato quel lato della brughiera.

Si diresse verso l'uscita.

«Dovresti riposare, specialmente tu.» Eric, di guardia in quel momento, non aveva distolto lo sguardo dalla stradina, impolverata e deserta, male illuminata dal piccolo fuoco acceso per scaldarsi.

«Riposo meglio a occhi aperti, almeno per il momento» gli disse, andandosi a sedere vicino a lui. Sembrava passata un'eternità da quando avevano avuto una conversazione in una situazione simile.

«Non potrò mai ringraziarti abbastanza per aver benedetto la mia arma.» Eric abbassò lo sguardo sullo spadone, al suo fianco. «Sono certo che l'altra notte, nella grotta, ha respinto un incantesimo.»

«Meritate anche di più, tutti voi, per quello che state affrontando.» Sofia lasciò vagare lo sguardo tra le ombre delle altre abitazioni. «Sono io che non riesco a sdebitarmi.»

Il tocco di Gimmi sulla propria coscienza attirò la sua attenzione.

«Eric, sveglia gli altri.» Si alzò tenendo lo sguardo fisso in avanti, nella mente già pronti diversi incantesimi. «Uno spettro. Ha con sé diversi scheletri e cadaveri.»

Solo Lorcan riuscì a uscire prima che l'attacco cominciasse. Già da quella disanza lo spettro ululò, aumentando sempre più l'intensità e provocando un brivido in Sofia. Maledizione! È più vicino di quanto pensassi.

Un urlo di terrore provenne dall'interno della casa, costringendo tutti a rientrare. Astoria era caduta vittima dell'incantesimo dello spettro; gli occhi spalancati roteavano mentre lei urlava e correva, inciampando e sbattendo contro le mura.

«Che ti sta succedendo?» Clivia cercò di fermarla.

«Eric, fermala. Non farla uscire» intimò Sofia. Dovevano evitare che si facesse male e venisse attaccata dagli scheletri in arrivo. «Lorcan, Gimmi è fuori, ti aiuterà con i non-morti.» Lui annuì e corse via.

Astoria urlò ancora e morse il braccio di Eric.

«Ma che le prende?» L'amico era in difficoltà, non comprendeva cosa stesse accadendo e la principessa gli sfuggì dalla sua presa, tentando di uscire per raggiungere lo spettro.

«Eric, maledizione, tienila ferma!» Doveva innalzare una difesa intorno alla casa. Un altro attacco magico poteva essere mortale, non solo per Astoria. Chiuse gli occhi e allargò lo scudo fino all'esterno della casa, dove cozzò contro qualcosa di gelido. Dove sei? Maledetto spettro. Ti sento, ma non ti vedo.

Ancora una volta Astoria urlò. Si teneva la testa tra le mani e stava cominciando a sbavare e respirare a fatica, mentre Eric cercava di tenerla ferma.

«Va bene.» Si assicurò lo scudo tenesse, tendendolo ancora un po' verso l'esterno, dove avvertì la presenza dello spettro pungere e graffiare contro le sue difese.

Ora doveva occuparsi della sua amica. «Lasciatela, ci penso io.» Astoria andava liberata subito, già avvertiva la contaminazione del suo corpo astrale.

«Ma se neanche io riesco a tenerla.» Eric cercò di bloccarle le mani perché aveva cominciato a graffiarsi il volto.

Non c'è tempo.

Lasciò che l'oscurità di suo padre si diffondesse a parte della propria coscienza e con un gesto della mano allontanò Eric scaraventandolo contro il muro. Poi bloccò i movimenti di Astoria e le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani. Lasciati aiutare, ti prego. Lo scudo, intanto, era attaccato dallo spettro e rischiava di restringersi e andare in frantumi.

Si concentrò sulla coscienza dell'amica. Era come un mare in tempesta, ma ancora limpida. Era stata attaccata solo in superficie, ma dovette impiegare più energia di quanta ne avesse prevista. Ascoltami, Astoria, sono qui. Segui la mia voce. Con lei, tra quelle onde in cerca dell'amica, vagavano anche i due occhi rossi sempre presenti. Riuscì a trovarla e a portarla in salvo. Sondò ogni angolo della sua anima, anche il più distante o il più nascosto, ed eliminò ogni traccia della presenza dello spettro. Solo quando fu certa che l'amica sarebbe stata al sicuro aprì gli occhi.

Astoria si era accasciata, dormiva e respirava in modo naturale. Il viso sereno era arrossato dove si era graffiata.

Li ha visti anche lei. Sofia strinse tra le mani la stoffa dei pantaloni. Li ha visti e non potrà più dimenticarli. Le scostò una ciocca, bionda e impolverata, dalla fronte. Perdonami, amica mia.

«Cos'è successo?» Eric si avvicinò. «Cosa le hai fatto?» Non la guardò neanche. «Astoria, mi senti?»

Lentamente le forze le stavano tornando e riuscì ad alzarsi. La pressione sullo scudo era svanita all'improvviso. Gimmi, grazie.

«Va tutto bene?» Clivia le si era affiancata.

Sofia annuì. «Forse si sveglierà tra qualche ora, ma è meglio così.»

«Sei pallida, però. Tu come stai?»

Stanca. Aveva bisogno di dormire, di riposare ma non potevano fermarsi. Lo spettro andava distrutto. Poi c'era ancora da eliminare l'ombra. E, alla fine, Balder.

Si alzò. Gimmi e Lorcan potevano avere bisogno di aiuto. Non sapeva quanti non morti fossero arrivati con lo spettro.

«Non uscite da questa casa.» Si diresse alla porta e saggiò lo scudo: era integro. «Recuperate le forze.»

«E tu» intervenne Clivia «quando le recupererai?»

«Ci sarà tempo.» Le rispose con un sorriso. Almeno lo spero.

Uscì dalla casa. L'aria della notte era fresca, lì fuori, e non vedeva creature in giro. Se la saranno cavata, non devo preoccuparmi.

Infatti trovò Lorcan intento a osservare Gimmi; con i denti e con le zampe stava facendo a pezzi lo spettro, ne staccava brandelli che cadevano come foglie secche, quando non li ingoiava.

«Com'è andata?»

«Giudica tu» rispose il chierico indicando con un cenno della testa. «Astoria?» Non sembrava più turbato dalla dieta di Gimmi.

«Sta riposando, non ci saranno conseguenze.»

«Come hai fatto?» Si voltò a guardarla, accigliato, a braccia conserte.

Sofia fece per rispondere, ma una donna, pallida e con le mani strette intorno alla gola, sbucò da una casa. Cadde e cominciò a graffiarsi il collo mentre dalla bocca spalancata uscivano gorgoglii e schiuma.

Lorcan si lanciò in suo aiuto e cominciò subito a pregare, carezzando il viso e allontanando le mani sanguinante.

Sofia sondò la sua anima e scosse la testa. Chissà se capirà mai il mio gesto. Si avvicinò a entrambi.

«Lasciala andare» sussurrò.

Lui continuò a pregare.

«Lasciala andare» ripeté a voce più alta, poggiando una mano sulla spalla dell'amico. «Non c'è più nulla da fare. Il meglio che puoi offrirle è benedire il suo corpo per evitarle di tornare come spettro e fare ad altri ciò che le sta accadendo.»

«No.» Lorcan agitò la spalla per farla allontanare e riprese a mormorare preghiere mentre con il corpo oscillava avanti e indietro. «No.»

Non capirà. Indietreggiò. Lo sconforto per ciò che stava vedendo, per ciò che l'amico stava provando, la prese allo stomaco. Non lo accetterà.

Un rantolo fece inarcare la schiena della donna che si afflosciò e smise di agitarsi.

«No» mormorò Lorcan. Ricompose il corpo: le braccia lungo i fianchi, gli occhi chiusi, i capelli dietro le orecchie. «Mi dispiace. Perdonami.» Cominciò una diversa litania, una benedizione per infondere Luce in quell'anima martoriata.

Sofia rimase a capo chino. Invece ci sta riuscendo.

Quando ebbe terminato la preghiera, Lorcan si alzò. «Perché non sei intervenuta?» Continuò a fissare il volto di quella donna. «In queste cose dovresti essere più in gamba di me. Davvero non c'era più nulla da fare?»

«È così» gli rispose. Strinse i pugni, riconoscendo nella voce dell'amico le stesse note di rassegnazione che aveva udito nella sua, tempo addietro.

«Se fosse capitato ad Astoria» si voltò «ti saresti arresa?»

Sospirò. «Sì. Se fosse stata nelle sue stesse condizioni, non avrei agito.» E non me lo sarei mai perdonato.

Lorcan si alzò, le labbra strette nel folto della barba incolta. «Ci consideri al pari di questa donna?» La indicò, senza distogliere lo sguardo dal suo. «Oppure c'è dell'altro? Perché io» si portò la mano al petto e ingoiò, e Sofia non poté non immaginare quanto fosse amaro quel boccone. «Io ho usato tutte le mie forze per salvarla. Per salvare un'estranea.»

«Non è così semplice.» Strinse denti e pugni. «Per ottenere quel tipo di risultato devo impiegare molte energie. Se dovessi salvare ogni essere umano in difficoltà, non avrei la forza di andare oltre questo villaggio e magari Astoria sarebbe morta. Tu avresti dato la vita per lei, lo so, ma per quella donna?»

«Io...» Lorcan si voltò a guardare il cadavere, poi scosse la testa, lo sguardo basso. «No, non lo avrei fatto.» Tornò a fronteggiarla. «Se la metti in questi termini posso comprendere, certo.» Sospirò e guardò verso il luogo dello scontro tra Gimmi e lo spettro; provenivano bagliori verdi, tonfi e schiocchi. «Se la sta cavando bene, direi.»

Sofia provò un moto di orgoglio che le fece affiorare il sorriso. «Sì, è vero.»

Si avviarono verso la casa dove erano rimasti gli altri.

"Selene." Il volto di Balder, il ghiaccio, una fitta gelida nel cuore.

Si ritrovò a terra, in ginocchio e Lorcan a sostenerla.

«Sei stanca, vero?» le chiese.

Anche lui lo era. Lo vedeva negli occhi, nelle rughe che gli segnavano il volto.

«Sì, ma prima metterò fine a questo compito e meglio sarà per tutti» gli rispose e si lasciò aiutare ad alzarsi.

La casetta dove riposavano i suoi amici era lì, a metà di quella via stretta e impolverata.

«Aspetta.» Sofia si fermò e trattenne Lorcan per un braccio. «Sei cambiato. Cosa ti è successo?»

«Potrei dire che ho ritrovato la fede.» Strinse l'impugnatura della Luce della Dea. «Che non ho più dubbi. Ma non è così.» Si voltò a guardarla. «La verità è che non è cambiato molto, ho solo accettato quello che sono.» Tornò a osservare la casa. «I miei limiti, le mie paure e questo comprende anche la fede.» Si voltò del tutto verso di lei. «In quella caverna, per la prima volta, ho visto una vera manifestazione divina. Non era la Dea, no. Però era un dio, il padre dei demoni, tuo padre. E ti stava proteggendo.» Per un attimo abbassò lo sguardo verso il terreno e scosse la testa, ma poi tornò a fissarla e sorrideva. «Diamine, Sofia.» Le poggiò una mano sulla spalla. «Quella donna era solo una fanatica, non seguiva il volere della Dea ed è stata punita per questo. Non mi piace il modo in cui è avvenuto, lo sai, ma ho avvertito la potenza di quell'intervento.» Strinse il pugno. «E poi la Dea mi aveva già mostrato di cosa lei stessa è capace.» Li riaprì. «Ha acceso la Luce in me. Lei, attraverso le parole del mio maestro e di un vecchio priore sdentato e mezzo cieco. E, che la Dea mi perdoni, anche attraverso le punzecchiature di Raziel.» Rise, le diede una pacca sulla spalla e si diresse verso la casetta. Clivia era sulla porta ad attenderli e il sole stava per sorgere.

Raziel. Puntò lo sguardo verso est, dove il cielo stava per essere acceso dalla luce del sole nascente. Raziel era sparito. Aveva di certo i suoi motivi, i suoi scopi, ma era sparito. Dove sei?

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