57 - Capitolo 34.1

Se puoi vederlo,

puoi toccarlo.

(Sorelai Fenir)

L'umidità rendeva i vestiti pesanti e freddi, attaccati sul corpo come una seconda pelle, dando a Sofia la sensazione che avrebbe potuto strappare via lo strato sottostante se avesse provato a toglierli. La loro prossima tappa era lì, sul declivio di una collina, circondata da mura e torri: Rocca Barbena. Non era imponente come Città del Guado e Sofia non l'aveva mai visitata, neanche in quella che ormai considerava la sua vita precedente, ma sentiva una certa vicinanza con quel posto isolato, poco al di fuori della Via della Luce. La deviazione era stata obbligata dalla necessità di trovare dei cavalli per raggiungere la brughiera ed eventualmente reperire più rifornimenti per il viaggio. Eric portava i pesi maggiori, senza lamentarsi, sbuffare o lasciarsi sfuggire anche un respiro più pesante. Eppure lo sforzo era evidente nella tensione dei muscoli, anche nel viso, ma un sorriso glielo regalava ogni volta che i loro sguardi s'incrociavano. Era stato il primo a darle parole di conforto dopo la morte di Sancha e il primo a offrire la propria arma per la benedizione. Non aveva mai accettato a occhi chiusi la sua natura, aveva posto poche domande, ma l'aveva sempre accolta.

«Ho dovuto pagare la guardia. Non voleva aprirci.» Astoria le si era affiancata mentre oltrepassavano il cancello che chiudeva l'ingresso alle mura. «Ormai neanche alla luce del giorno lasciano entrare i viandanti. Il nostro arrivo non passerà inosservato. Spero solo che le orecchie dell'ordine non siano in ascolto.»

«Abbiamo parecchio vantaggio, non dovrebbe essere un problema» disse Sofia, sperando che quelle parole allontanassero la sensazione di angoscia che si portava addosso dalla morte di Sancha.

«Ma andrà sempre a diminuire. Presto o tardi ci raggiungeranno.»

Si fermarono e Sofia si voltò. Rocca Barbena era costruita in salita, avrebbero perso più tempo di quanto se ne potevano permettere. Da quel punto riusciva a vedere parte della strada che avevano percorso. Il cielo era grigio ovunque, carico di pioggia.

«Dobbiamo trovare un posto dove dormire.» Clivia fu la prima a raggiungerli. «Pioverà molto presto.» Chiuse gli occhi e aggrottò le sopracciglia. Anche lei sentiva gli elementali agitarsi, la loro era più una danza, alternandosi tra l'alto e il basso.

«La locanda dovrebbe trovarsi verso il centro cittadino, almeno così ricordo dalle mappe viste insieme ad Alessandro. Non prevedevo di fare una simile deviazione, ma mio fratello mi ha parlato di questo posto.» Si guardò intorno, gli occhi stretti. «Solo che al momento non ricordo perché.»

Un guizzo nel costante flusso di energia che apparteneva alla dimensione astrale attirò l'attenzione di Sofia. Cercò Gimmi, rimasto nascosto lì, e lo trovò acquattato nei paraggi.

«È Zahario.» Raziel le si avvicinò, sfiorandole la spalla. «Ho l'impressione che ci stia seguendo.»

Le si strinse lo stomaco. Il suo oscuro compagno era tranquillo, per quanto lo potesse essere un'ombra nera che ribolliva nei meandri della propria coscienza. Anche la bambina dagli occhi rossi era lì a osservarla, stretta al suo coniglio di pezza.

«Ci creerà problemi?» Non aveva mai sopportato la presenza di Zahario, forse perché particolarmente devoto a Daran, o per quel suo modo di fare troppo invadente.

«Non saprei. Hai detto che lo avete incontrato anche prima di Città del Guado, vero?»

Sofia annuì. Era stanca, avevano camminato tutto il giorno e lei non aveva recuperato del tutto le forze. Si guardò il palmo che aveva tagliato per il rito di benedizione. Non aveva neanche la cicatrice, ma quando passò un dito sulla pelle che era stata incisa avvertì un bruciore molto simile a quando la punta dello stiletto le fendeva la carne. Raziel aveva ragione, come sempre. Stava chiedendo troppo a se stessa, soprattutto vista la situazione.

Il volto di Balder, offuscato da una patina bianca, le apparve davanti. "Mi hai tradito."

Batté gli le palpebre. C'erano le case che correvano lungo la stradina in salita e Raziel al suo fianco.

«Che succede?» Gli occhi stretti e obliqui stavano fissando lei e anche oltre.

Scosse la testa, in risposta. Non era il momento di recriminare sulla sua riluttanza a uccidere Balder.

«Cosa complottate?» Lorcan era passato al loro fianco, sorpassandoli e raggiungendo gli altri, ormai diversi passi più avanti. Il suo atteggiamento era cambiato, Sofia percepiva qualcosa in lui di più saldo.

«Cosa hai visto?» Raziel insisté. Evidentemente non era stata solo la sua immaginazione, doveva essere stato reale.

«Ho visto Balder. Perché, hai sentito qualcosa?»

Il demone sollevò le spalle. «Forse.»

S'incamminarono raggiungendo la piazza centrale. Aveva una fontana al suo centro, vuota e sporca. La locanda era proprio di fronte, con cinque destrieri bardati di bianco. Strinse il braccio di Raziel.

«Non possiamo entrare.»

«No, hai ragione.» Il demone si avvicinò ad Astoria, ma già stavano tornando tutti sui propri passi ed Eric indicò un vicolo sulla sinistra, precedendoli.

La prima pioggia stava cominciando a cadere, rada e sottile, quasi impercettibile se non come piccole perline lucenti tra i capelli, macchioline puntiformi sulla strada impolverata, piccole punture gelide sul viso.

«Maledizione!» Eric imprecò sottovoce, lasciando cadere a terra le sacche che portava.

Il vicolo nel quale si erano fermati era stretto, scuro e le poche finestre che vi si affacciavano avevano le imposte chiuse. L'odore della terra bagnata stava cominciando a fare la sua comparsa accompagnando l'aumentare della pioggia, ma aleggiava anche un profumo di cibo, Sofia ne avvertiva alcune essenze: cipolla, rosmarino, ceci. Qualcuno stava per sedersi a tavola, davanti a un bel fuoco caldo.

«Pensate che ci stiano aspettando?» chiese Clivia. Avvolta nella cappa verde, il cappuccio a coprirle capelli e orecchie, sembrava anche più minuta.

«Non ho intenzione di scoprirlo.» Astoria stava mordendo l'unghia del pollice e aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Ce ne sono altri.» Lorcan aveva abbassato il tono della voce e si era avvicinato, addentrandosi nel vicolo. «I cavalli sono solo cinque, ma ho contanto almeno sei confratelli entrare nella locanda.»

«Non possiamo entrare» disse Astoria scuotendo la testa. «Ma non possiamo neanche accamparci qui per starda. E se adesso dovessimo uscire dalle mura sarebbe anche peggio.»

Uno scatto e un cigolio fecero bloccare il respiro a Sofia. Si voltarono tutti. Una delle due finestre più vicine, la più sgangherata, si era aperta, mostrando un volto rugoso e incorniciato da un fazzoletto. «Signori, non avete trovato posto alla locanda del vecchio Giuliano?»

Era una donna anziana, gli occhi piccoli sotto le sopracciaglia del tutto bianche e le labbra strette. Mento e naso sembravano puntare l'uno contro l'altro e, quando la donna rivolse loro un sorriso, un'unico dente ingiallito fece capolino.

«No, signora. Chiediamo scusa se vi abbiamo disturbata.» Astoria si fece avanti. «Esiste forse un'altra locanda dove potremmo alloggiare?»

La vecchietta scosse la testa e sospirò. «Ahimè, no.»

Sofia si strinse a Raziel, che le cinse le spalle con un braccio. Avvertiva l'oscuro compagno agitarsi. Non c'era solo la pioggia; era una sensazione strisciante tra la loro dimensione e quella astrale.

«Però, signori, posso ospitarvi io. Aspettate un momento» disse la vecchia donna, sparendo all'interno della casa e tutti loro si scambiarono sguardi incerti, ma nessuno parlò. Sentì un palo scivolare dietro la porta, proprio affianco a Eric. Nella fretta di rifugiarsi nel vicolo, nessuno si era preoccupato di controllare se la casa fosse stata disabitata.

La porta si aprì.

«Prego, signori, entrate pure e scusatemi se sono stata lenta.»

Raziel fu il primo a entrare, afferrando la mano di Sofia e trascinandola dentro. Gli altri li seguirono e persino Lorcan dovette abbassare la testa per accedere alla povera casa.

Si trattava di un unico ambiente, con una tenda che separava il letto, fatto di paglia sulla quale era adagiata della stoffa, dal resto della casa. Un tavolo, due sedie, uno sgabello e una piccola credenza erano gli unici arredi e nel camino, addossato alla parete opposta, una pignatta diffondeva il profumo di zuppa che Sofia aveva sentito.

«Prego, signori.» La vecchietta, aggrappata al braccio di Clivia, raggiunse il letto e si sedette. «Non ho molto da offrirvi, ma sarò ben felice di dividerlo con voi.»

La stanza era illuminata dal focolare e dalla finestra, ma Raziel accostò le imposte, lasciando aperto un piccolo spiraglio e facendo piombare la casa nella penombra. Si poggiò con la spalla contro il muro e, di tanto in tanto, osservava l'esterno della casa dalla fessura. Lorcan ed Eric erano seduti a terra, a gambe incrociate.

«Signore, posso chiedere a voi di servire la cena?»

«Ma certo. Mi dipiace molto, però, togliervi parte del pasto.» Astoria si era avvicinata al fuoco. «Ha un buonissimo profumo, signora...»

«Caterina.»

Sofia aveva acceso qualche candela e si fermò, guardando la fiamma danzare. Ancora quella sensazione. Si voltò verso Raziel. Era lì, intento a osservare fuori dalla finestra e, di certo, anche nel piano astrale. Un brivido percorse la schiena di Sofia. C'è qualcosa che non va.

Lei e Astoria presero delle ciotole sbeccate dalla dispensa e il mestolo, cominciando a distribuire la zuppa fumante.

«Un tempo Rocca Barbena era molto più ospitale. Grazie, cara.» Caterina prese dalle mani di Sofia la ciotola, sfiorandole le mani con le dita callose. «Hai freddo, vero? Pioverà tutta la notte, forse anche domani.» Bevve un sorso. «Dov'è che stai andando, giovane signora?»

Quella domanda la turbò e, ancora una volta, avvertì un movimento strisciante attraverso il piano astrale. Voleva voltarsi verso Raziel, vedere una sua reazione, anche solo uno sguardo imperscrutabile, ma lasciarsi prendere dal panico sarebbe stata la scelta peggiore. Si sforzò di sorridere, sperando di non risultare finta e mettere in allarme chiunque li stesse osservando, perché era quasi certa che il pericolo non sarebbe arrivato da Caterina. Anche se... Fra tutti, l'anziana donna si era rivolta proprio a lei.

«Andiamo in soccorso della popolazione della brughiera.»

Il sorriso sdentato che le rivolse la tranquillizzò. Tornò al focolare e riempì un'altra ciotola e si diresse verso Clivia.

«Mio signore, voi non mangiate?»

Eccolo, un altro brivido. Alzò lo sguardo su Caterina e la vide fissare Raziel. Perché si è rivolta a lui in quel modo? Potrei capire se lo avesse fatto con Lorcan, ma con lui?

«No, Caterina, grazie.» Raziel chiuse l'imposta e si avvicinò al letto. «In questa casa c'è odore di reagenti. Di cosa ti occupi? Guarigioni? Divinazioni? Direi entrambi.»

Caterina abbassò la ciotola, poggiandola sulle ginocchia. Gli occhi, piccoli e scuri, brillavano e Sofia lesse orgoglio e soddisfazione nel suo sorriso sdentato. «È per me un onore avere nella mia casa un Figlio dell'Oscurità e una custode.» Si voltò verso Sofia. Impietrita, non pensava che in quel luogo, in quell'epoca, avrebbe mai incontrato un cultista. «Mia signora» porse la ciotola a Clivia. «Yeiné Imebéti.» Posò entrambe le mani sulle ginocchia e abbassò la testa, mentre il cuore di Sofia accelerò i battiti. «Tutta la comunità è al tuo servizio. Comanda pure.»

Non osava guardare verso i suoi amici, ma sentiva il peso dei loro sguardi.

«Demu t'enikara yihuni.» Formulò la frase di rito, provocando un ampio sorriso in Caterina.

«Cosa vi state dicendo?» La voce di Lorcan, roca e bassa, riempì quella piccola stanza.

«È la lingua dei demoni.» Lanciò un'occhiata a Raziel, pronta a zittirlo se avesse avuto da ridire. «Ci siamo semplicemente salutate. Credo anche nel vostro ordine abbiate delle frasi di rito da pronunciare.»

«Certo, ma comprensibili a tutti.»

«Mi ha chiamata "mia signora" e io le ho risposto "che il sangue sia forte". Nulla di pericoloso.» Riportò la sua attenzione alla vecchia Caterina. «C'è una comunità di cultisti?»

«Sì, yeiné Imebéti. Negli ultimi anni siamo cresciuti in numero. Io sono una kahinati e vi ho visti arrivare.»

«E se ci ha visti lei...» disse Lorcan.

«Non credo ci abbia visti fisicamente» intervenne Raziel.

Dunque potrebbero anche sapere chi sono? Rabbrividì al pensiero che qualcuno potesse credere che la figlia del signore dei demoni camminasse libera. Sperava con tutte le sue forze che nessuno dei suoi amici si lasciasse sfuggire una simile notizia.

«Vi ho visti attraverso una divinazione. Una custode e un Figlio dell'Oscurità sarebbero arrivati a Rocca Barbena e così è stato. Ho visto tutti voi.» Posò i suoi occhietti scuri su ognuno di loro, soffermandosi poi su Sofia. «Solo non sapevo quando. Vi aspetto da diversi anni.»

Raziel le sfiorò la coscienza, giusto il tempo per farla voltare. «Dobbiamo andare via. Subito.»

Una morsa gelida le afferrò la gola.

«Membri dell'Ordine Radioso ci stanno raggiungendo, presto saranno in questa casa.»

Sparì, lasciando il vuoto nel cuore di Sofia.

«Dove porta il vicolo qui fuori?»

Caterina scosse la testa. «Voi due.» Indicò Eric e Lorcan. «La dispensa è quasi vuota, non dovrebbe essere difficile spostarla. Sotto c'è una botola.» Si alzò e poggiò una mano sulla spalla di Clivia, che l'aiutò a camminare. «Dopo la coprirò con una coperta e cercherò di confondere le acque.» Prese per mano Sofia. «Yeiné Imebéti, demu t'enikara yihuni. Segui le scale e poi il cammino, non potrai sbagliare. Arriverà qualcuno in vostro aiuto, ci penserò io.»

«Grazie.» Anche lei strinse quella mano, deformata dalla fatica e dagli anni. «Demu t'enikara yihuni.»

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