50 - Capitolo 28

E perché fermarsi alla superficie?

Forse ciò che si cela

tanto in profondità

potrebbe scorgerti e raggiungerti?

(Sorelai Fenir)


Dolore. Era l'unica sensazione che riusciva a provare. Una fitta le attraversava la testa ogni volta che cercava di aprire gli occhi. Ogni movimento che tentava di compiere, seppure piccolo, aumentava il dolore che provava.

Forza!

Il suo oscuro compagno era lì, in compagnia della bambina dagli occhi rossi, relegati nella propria coscienza ferita dall'incantesimo che l'aveva colpita.

Cosa è successo?

Riuscì ad aprire gli occhi e a controllare l'ondata di dolore che la invase. Quelli erano i postumi di un incantesimo molto potente.

Ma chi può essere stato? E dove mi trovo?

Le mani erano poggiate su pietra fredda e viscida. L'odore era nauseante, misto a muffa e acido. La luce era poca e non le permetteva di distinguere i contorni di ciò che la circondava, proveniva da un punto distante davanti a lei.

Strinse e riaprì gli occhi, trattenendo il conato provocato dal dolore. Si sollevò sui gomiti e le vertigini la costrinsero a richiudere gli occhi.

Maledizione!

Riprovò e riuscì a sollevarsi ancora, sui gomiti e poi seduta. Si passò il dorso della mano sugli occhi. Quando rivolse lo sguardo all'ambiente, riconobbe quella che poteva essere una cella, piccola e poco illuminata.

Tastando il pavimento si accorse di essere vicina a un muro e, senza voltarsi, si appoggiò con la schiena. Fu come essere trafitta da mille lame e le scappò un gemito. Rimase in ascolto, la testa poggiata al muro e gli occhi fissi oltre le sbarre.

Nessuno. Per adesso.

Con la mente tornò indietro al suo ingresso a Città del Guado. Era riuscita ad aprirsi un varco nella barriera magica ed era entrata insieme a Gimmi.

Gimmi? Gimmi!

Le mancò il respiro e cercò il demone attraverso il piano astrale, ma c'era come un muro che le impediva di uscire dalla dimensione nella quale si trovava, anche solo con il corpo astrale. Provò a forzare il blocco magico, ma l'unico risultato che ottenne fu di perdere quelle poche forze che era riuscita a raccogliere.

No. No. No!

Battè piano la nuca contro il muro. Era isolata e non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto.

Inspirò ed espirò, con lentezza, a occhi chiusi. Cercò di rilassare mente e muscoli, ma i pensieri erano ancora confusi dall'incantesimo subìto. Doveva essere accaduto poco dopo il suo ingresso in città.

Astoria!

Il ricordo della principessa si tradusse in un'altra stilettata che le mozzò il respiro. Dov'erano finiti tutti? Cosa ne era stato di loro? Il respiro accelerò e l'aria cominciò a mancarle. Più ispirava e meno aria riusciva a raccogliere. Si portò le mani alla gola, tirando i lacci della camicia che, per quanto larghi, la opprimevano.

Sono morti! Tutti! Per colpa mia!

Sentì i rantoli provenire da dentro di lei, la mancanza d'aria le offuscò la vista e solo una variazione nell'intensità della luce oltre le sbarre la distrasse.

Trattenne il respiro fino a quando la fame d'aria non divenne insopportabile. Un'altra variazione di luce, come se qualcuno fosse passato davanti alla fonte luminosa. Espirò piano e poi inspirò ancora. Il cuore batteva all'impazzata, in gola, tanto da darle l'impressione che un osservatore avrebbe anche potuto vederlo battere attraverso la pelle.

Espirò e inspirò. Passi rimbombarono sulle pietre appena fuori della cella.

Espirò e inspirò. La vista era migliorata, il fischio alle orecchie attenuato e il respiro quasi normale.

Espirò e inspirò. Un'ombra si frappose tra lei e la luce. Il suo oscuro compagno era ancora tranquillo.

Espirò e inspirò.

«Ma guardati. Sei uno straccio.» La voce sprezzante apparteneva a una donna. «Quando mi hanno riferito che avresti tentato di attraversare la barriera ho pensato a uno scherzo, a un equivoco.»

Sofia inclinò la testa e socchiuse le palpebre. Conosceva quella voce.

«E invece eri proprio lì, a prenderti gioco di tutti noi, passeggiando per la città con quell'essere immondo che ti seguiva.»

La voce divenne quasi un sussurro, ma finalmente Sofia riuscì a vedere chi aveva davanti con più nitidezza. Stivali bianchi, sporchi di fango, pantaloni e casacca bianchi. A braccia conserte la stava osservando una donna dai lineamenti duri e i capelli mossi e neri. Una ciocca le copriva un occhio. Non aveva bisogno di altro, sapeva chi aveva davanti ormai e capiva anche perché l'incantesimo che l'aveva colpita era stato così devastante.

«Nunki» sussurrò. Avesse avuto più forza avrebbe sputato fuori quel nome.

La donna fece un passo di lato, avvicinandosi al muro con solo la cella a separarle. Con la mano spostò la ciocca che le copriva parte del viso dietro l'orecchio e un sorriso deformò la linea delle labbra, rendendo ancora più evidente la cicatrice che partiva dal labbro destro, immobile, e saliva lungo la guancia fino a sparire sotto la benda che copriva l'occhio. Fece due passi all'indietro e poi andò via.

Sofia rimase in ascolto. L'eco dei passi si affievolì e rimase di nuovo sola.

È peggio di quanto mi aspettassi.

La presenza di Nunki significava che le forze della Luce, o almeno la frangia più violenta, era stata avvisata del suo risveglio.

Raddrizzò la schiena e riuscì a non avere le vertigini. Con l'aiuto delle mani strisciò fino alle sbarre e vi si aggrappò, alzandosi sulle ginocchia, e lo sforzo le costò quasi la perdita dei sensi, ma doveva capire dove si trovava e, soprattutto, doveva cercare di rimettersi al più presto. Sollevò un piede e tentò di alzarsi, aiutandosi stringendo le sbarre e tirando.

Finalmente era in piedi, con gli occhi chiusi e il respiro affannoso, come se avesse appena scalato una montagna, ma soddisfatta del traguardo raggiunto.

«Ti ha ridotta proprio male.»

Raziel!

Aprì gli occhi, era poco distante , proprio dove fino a pochi attimi prima si trovava Nunki.

«Hai intenzione di restare lì a fissarmi?» Riuscì ad articolare le parole in modo abbastanza chiaro, ma la voce era ancora arrochita e le grattava la gola.

Il demone le sorrise e fece un passo avanti, le mani dietro la schiena.

«Bisogna fare qualcosa, sì.» Vagò con lo sguardo lungo le sbarre e intorno alla cella. «Ma non vorresti che io intervenissi, credimi.»

Sofia sbuffò e poggiò la fronte alle sbarre. Scosse la testa.

«Tirami fuori di qui.» Le parole suonarono come un lamento.

Raziel fece un altro passo in avanti, era a un palmo dalla cella.

«Lo farei volentieri.» Si abbassò per mettere il viso allo stesso livello del suo. «Ma la presenza di Nunki complica notevolmente la situazione.»

Sofia si lasciò sfuggire una risata.

«Ma dai, non dirmi che hai paura di lei. Proprio tu?»

Raziel sollevò le spalle.

«Un mio intervento potrebbe coinvolgere gli abitanti, ne sei sicura?»

Sofia sbuffò e scivolò lungo le sbarre per sedersi a terra. Non aveva le forze di restare troppo tempo in piedi, né di affrontare una discussione condita di giri di parole e frasi non dette.

«Non ti ho chiesto di radere al suolo la città, solo di tirarmi fuori di qui.» Si spostò verso il muro e ci poggiò schiena e testa. «Non dovrebbe essere tanto difficile.» Invece era difficile parlare e ragionare, sentiva le parole strisciarle fuori dalla gola.

«Questa cella è isolata dal piano astrale, dovrei abbattere le sbarre o piegarle, in ogni caso farei troppo rumore. Se invece dovessi usare magia complessa attirerei l'attenzione di Nunki e non credo che un duello tra me e lei, in piena città, sia ciò che desideri.» Si accovacciò, di nuovo allo stesso livello. «O sbaglio?»

Scosse la testa. No, non sbagliava.

«Ecco, quindi resta tranquilla qui ancora per un po'. Non è il massimo, sono d'accordo, ma tra poco arriveranno Lorcan e Clivia.»

Un barlume di speranza riaccese le forze. «Stanno bene? Tutti? E Gimmi?»

«Gimmi è riuscito a mettersi in salvo, Nunki era interessata principalmente a te e non s'è data pena di inseguirlo.» Di nuovo in piedi, si voltò verso il corridoio, poi tornò a guardarla, sorridendo. «Stanno tutti bene, sicuramente meglio di te.»

Sofia annuì. «Stai per sparire di nuovo, vero?»

«Meglio non essere nei paraggi quando Nunki si renderà conto che sei fuggita. Più tardi penserà a un mio coinvolgimento, più tempo avrete per allontanarvi dalla città.»

«Ci stavano aspettando, ma chi sapeva di me?»

«Credo che stiano cominciando di nuovo a circolare voci sul vecchio ordine, sai? E il modo di condurre gli interrogatori che ha il nuovo Gran Maestro riesce ad accendere la fantasia dei prigionieri, oltre a risultare molto persuasivo.»

Sofia rabbrividì ancora al ricordo di quella donna.

«Senza contare che la tua scomparsa, per quanto momentanea e non definitiva ha incrinato degli equilibri.»

«Cosa vuoi dire?»

«Ah, eccoli. Sono nell'edificio.» Il demone fece un passo indietro, salutò con la mano e sparì. Sofia, invece, portò le ginocchia al petto, le abbracciò e ci poggiò la fronte. Era andato tutto storto, o quasi. Presto sarebbe stata fuori da quella prigione, ma dubitava di riuscire a camminare, anche se stava recuperando le forze e la mente era sempre meno annebbiata.

Sentì un cigolio in lontananza e passi affrettati con voci confuse.

«Sofia.» Era la voce di Clivia. «Riesci a sentirmi?»

Sofia sollevò la testa. Lorcan era in piedi dietro Clivia, che invece era accovacciata dietro le sbarre vicino a lei. Un uomo dai capelli ricci e neri, vestito di bianco, stava armeggiando con la serratura.

Lorcan si avvicinò alla cella e strinse le sbarre. Le sopracciglia, rosse e ispide, erano aggrottate e la barba stava già cominciando a infoltirsi. «Ti tireremo fuori di qui, non preoccuparti.»

Sofia annuì e accolse il suono della serratura e dei chiavistelli che sfregavano contro le chiusure come una boccata d'aria fresca.

«Ecco, prendi.» Clivia era entrata e si era inginocchiata al suo fianco porgendole una fiala. «Bevila, ti aiuterà a rimetterti più in fretta.»

Quando allungò una mano per prenderla, vide che tremava e l'amica dovette aiutarla per evitare le sfuggisse tra le dita. Il liquido, caldo e dolce, scese nella gola senza difficoltà e riuscì a percepirne subito l'effetto, come una sensazione di calore che le nasceva dallo stomaco.

«Aspetta, forse...» Lorcan si era inginocchiato anche lui, ma fu interrotto.

«Padre, è meglio non perdere tempo qui dentro. Dobbiamo allontanarci.»

Quest'accento. È come il suo. Il cuore mancò un battito e sentì le lacrime formarsi agli angoli degli occhi. Era passato molto tempo da quando aveva sentito quella cadenza. Mamma.

«Sì, hai ragione.» Lorcan le prese un braccio e se lo passò intorno al collo, tirandola su con l'aiuto di Clivia.

Sofia si lascò sfuggire un gemito quando i muscoli si tesero, risvegliando gli effetti dell'incantesimo di Nunki.

«Scusami, ma Aziz ha ragione.» La voce di Lorcan le arrivò come un sussurro. «Dobbiamo affrettarci. Riesci a camminare?»

Annuì ancora, spostando i piedi uno avanti all'altro. La pozione stava facendo effetto, anche se muoversi le costava fatica.

Passarono accanto ad altre celle, tutte vuote, ma l'occhio di Sofia cadde sull'uomo che si trovava seduto a terra prima della rampa di scale che conduceva verso l'alto. Aveva la testa inclinata, il mento poggiato sul petto. Non sta dormendo.

Quando furono all'aperto le sembrò di essersi appena svegliata da un'incubo. L'aria fresca della notte la rinvigorì e, sebbene doveva ancora appoggiarsi a Lorcan, riusciva a camminare con meno difficoltà.

Il chierico dai capelli ricci e neri alzò la mano e li precedette lungo il muro dell'edificio, mentre la donna che li accompagnava si avvicinò. Era vestita anche lei di bianco, come Lorcan, e, proprio come lui, portava una stella del mattino al fianco.

«Dobbiamo attraversare ancora qualche strada» disse porgendo a Clivia un fagotto bianco. «Sarebbe meglio lo indossasse anche lei.»

Solo allora Sofia si rese conto che anche l'amica aveva una cappa bianca a coprirle i vestiti e aveva anche alzato il cappuccio. Aprì il fagotto e le posò sulle spalle il mantello bianco, a coprire la cappa rossa che portava dall'inizio di quel viaggio.

«I tuoi capelli sono troppo vistosi.» Le sorrise alzandole il cappuccio. «Siamo riconoscibili, io e te. Come ti senti?»

«Meglio.» Avrebbe voluto anche ringraziarli, ma il chierico che li aveva preceduti era tornato.

«La via è libera. Dobbiamo camminare per un po' senza riparo, quindi affrettiamoci.»

Lorcan le strinse il fianco e si avviarono.

Sofia non riusciva a deglutire, a stento respirava. Erano in una fase delicata della fuga, un minimo errore o una piccola sfortunata coincidenza avrebbero potuto metter fine ai loro piani.

Entrarono in una stalla. Non aveva il caratteristico odore, ma era piena di fieno e i due chierici che li accompagnavano cominciarono a spostarne per liberare l'accesso a una porta. Era chiusa a chiave, l'aprirono e varcarono la soglia.

L'aria era immota, calda e umida. Si udivano solo i loro passi rimbalzare prima contro le pareti strette del cunicolo che conduceva verso il basso, poi contro la volta più ampia dell'ambiente nel quale si trovarono.

«Ma questa è...» Lorcan si era fermato.

«È la galleria che vi condurrà in salvo, almeno così maestro Riordan spera.» La donna si era avvicinata a Sofia, ancora aggrappata a Lorcan. «Da qui innanzi dovremo essere più veloci.»

Annuì e sfilò il braccio dalle spalle dell'amico. «Posso farcela, ma gli altri?»

«Arriveranno.» L'uomo si era fermato pochi passi più avanti. «Li aspetteremo all'uscita del passaggio.»

Cominciarono a camminare, il silenzio rotto solo dai loro passi. Aveva perso il senso dell'orientamento, non sapeva neanche in che quartiere della città si trovasse.

«Lorcan, devo parlarti.» Sofia lo costrinse a fermarsi prendendogli il braccio e gli si avvicinò all'orecchio. «Devo sapere esattamente dove siamo.»

I passi dei compagni continuarono a rimbalzare contro le pietre.

«La barriera. Non posso attraversarla.» Aveva stretto i denti. Non sapeva i due salvatori quanto conoscessero a fondo la loro situazione.

Lorcan corrugò la fronte e poi spalancò gli occhi. Nello stesso istante i passi si fermarono.

«Perché mai vi siete fermati?»

Quella cadenza riusciva a muovere qualcosa dentro di lei. Quei ricci neri, tanto corti ma tanto simili ai suoi. La pelle, appena ambrata da sembrare semplicemente colorata dal sole. Mamma.

Strinse occhi e pugni.

Clivia si era avvicinata di più.

Sofia provò a estendere la propria coscienza, ma non trovò ostacoli. La barriera non era lì.

«In che zona della città ci troviamo?» chiese Lorcan avanzando verso i due accompagnatori e permettendo a Clivia di prendere il suo posto.

«Problemi con la barriera?» Fu un sussurro di cui comprese le parole solo perché sapeva cosa l'amica avrebbe chiesto.

Annuì.

«Siamo vicini alle mura esterne. Dobbiamo camminare ancora un po' prima di uscire.»

Lei invece aveva una voce gentile e la stessa intonazione di Astoria.

Dovrò fare attenzione.

«Quanto è complicato creare un varco?»

Clivia riusciva a usare un tono di voce molto basso, cosa che lei non era sicura di riuscire a fare. Per fortuna Lorcan parlava a voce più alta.

«Ricordo molto bene quando padre Riordan mi ordinò Priore.»

Erano pochi passi più avanti e affiancati. I due chierici camminavano a braccetto, come se stessero passeggiando, e Lorcan al loro fianco.

«No, ma non riuscirò a camminare, parlare o fare altro. Non mi sento neanche troppo in forze. Dovrò sedermi.»

«Tu dimmi quando devi fermarti, al resto penso io.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top