49 - Capitolo 27
Una città sconosciuta
è un mostro con mille occhi
e artigli invisibili.
(il Bardo Mendicante)
«Andrà tutto male. Andrà tutto male.» Astoria stava mordendo l'unghia del pollice e mormorava quelle parole come fossero una preghiera.
«Se non la smetti di ripeterlo» disse Eric «andrà davvero tutto male.»
L'andatura regolare del cavallo e il calpestìo degli zoccoli sulle pietre che lastricavano quel tratto della Strada della Luce erano ipnotici e contribuivano a rendere il tutto un incubo a occhi aperti. C'erano molte persone che si accalcavano nei pressi di Porta della Luce, alcuni erano anche accampati ai margini della strada, in attesa.
«Davvero, Astoria. Si vede da lontano che sei agitata. Non avevi detto che non dovevamo attirare l'attenzione?»
Si tolse l'unghia dalle labbra e l'accarezzò con il polpastrello dell'indice: era frastagliata, storta, le avrebbe dato fastidio finché non l'avrebbe tagliata. Con gli occhi fissi alla prima porta non riusciva a pensare ad altro che ai suoi amici, ormai all'interno delle mura. Chissà se la decisione di entrare per ultimi era stata giusta. Certo, il rischio che qualcuno la riconoscesse non era da sottovalutare e avere gli altri all'interno della città avrebbe evitato il rischio che li fermassero prima. Sofia ce l'avrà fatta, ha detto che non è la prima volta. Lorcan si trova nella città governata dal suo ordine. Forse Clivia, lei potrebbe saltare subito all'occhio, ma la città è grande e piena di gente di tutti i tipi. Perché dovrebbero fermare proprio lei? Perché proprio Sofia?
Astoria rabbrividì quando il sole, che le aveva riscaldato il volto fino a quel momento, fu nascosto dalla città ormai al tramonto, con l'ombra delle torri allungata sull'ultimo tratto da percorrere.
Strinse le redini e si trattenne dallo spronare il cavallo. Le guardie, chierici armati e bardati con colori e stemma dell'Ordine Radioso, si trovavano su ambo i lati della strada, due per ogni lato.
Tenne lo sguardo fisso alla Porta Levante, al di là del ponte di pietra che stava per attraversare. Mentre udiva l'eco degli zoccoli rimbalzare contro le mura della torre e della volta che la opprimevano, sentiva incombere, in alto, la grata di ferro che sapeva esser lì, pronta a chiudere il mondo fuori dalla città. Per fortuna gli aspetti di carità e misericordia che animavano il clero facevano sì che le porte cittadine, almeno le due principali, fossero sempre aperte, anche di notte. Grazie al continuo passaggio di pellegrini, cittadini, mercanti e, secondo le ultime voci, esuli provenienti dal nord, divisi in gruppi di due persone per volta non avrebbero destato nessun sospetto, neanche di notte. E, infatti, sarebbero arrivati alla Porta Ponente proprio al mattino.
E una è fatta. Quando tornò a vedere luce e cielo il respiro si fece più leggero.
«Ehi, visto?» Il richiamo di Eric la fece voltare verso di lui. «Che ci fanno quelli accampati lì?»
Astoria si voltò prima verso l'amico e poi ne seguì lo sguardo. Il ponte era abbastanza largo da ospitare banchi da mercato e infatti ricordava di averli sempre visti a ogni suo viaggio nella città. Quel giorno, invece, c'erano gruppi di persone, fermi, alcuni stavano cominciando ad accendere dei fuochi e altri dovevano essere stati spenti, perché le pietre bianche erano di tanto in tanto annerite.
«Che strano, perché non entrano in città?» chiese Astoria tra sé. Il cuore accelerò ma le mancò il respiro quando le guardie di Porta Levante cominciarono a respingere i viandanti in fila per entrare in città.
Si voltò di spalle appena in tempo per vedere la grata abbassarsi. Ferro contro pietra, catene cigolanti a tagliare fuori quel poco di speranza che aveva. Urla e richiami provenienti dal lato del ponte che terminava in città la fecero tornare a guardare avanti. Stavano chiudendo le porte e quasi certamente avrebbero abbassato anche la grata.
«Se vogliamo entrare dobbiamo farlo ora.» Eric spronò il cavallo e Astoria lo seguì.
E così diciamo "addio" alla segretezza.
Fermarono i cavalli davanti alle porte, solo una era chiusa. Smontarono e si fecero strada tra chi chiedeva, implorava, di entrare.
«Entrerete domai!» urlò una guardia, spingendo via un uomo dai vestiti logori. «Trovatevi un posto sul ponte e allontanatevi dalle porte!» continuò a urlare e spostare persone, aiutato da altre guardie.
Astoria passò le redini a Eric e si fece strada, ricevendo qualche spintone e gomitata.
«Via! Via!» Le guardie continuavano a urlare e spingere. «Qui non si può stare. Tutti sul ponte. Anche tu» si rivolse proprio a lei, prendendola per un braccio e allontanandola. Vide Eric tentare di avanzare, ma lo fermò con la mano.
«Per favore, vorrei parlare con...»
«Zitta e spostati, ho detto!»
«Ma che modi!» Liberò il braccio con uno strattone e si diresse verso Eric. «Dobbiamo trovare il modo di entrare. Perché diamine chiudono le porte?»
«Forse le strade stanno diventando pericolose.»
Astoria deglutì. Voleva con tutta se stessa che la ragione fosse solo quella. Sanno di noi. Ci stanno aspettando.
Si accorse di aver ripreso a tormentare l'unghia solo perché Eric le prese la mano e gliela abbassò. Si ritrovò con il viso all'altezza del giustacuore rinforzato del guerriero e ci poggiò la fronte. Era stanca. Aveva bisogno di dormire e non lo faceva da due giorni, visto che l'ultima notte non era stata delle più tranquille.
«Come faremo a incontrare gli altri?» sussurrò, gli occhi chiusi e i pugni serrati, mentre il braccio di Eric le cingeva le spalle.
«Un modo lo troveremo, come sempre.»
«Sì, ma...»
«Mia Signora.»
Astoria si voltò verso la voce e vide un giovane in armatura bianca fermo a pochi passi da loro.
«Mia Signora» ripeté. «Il comandante Della Rovere desidera parlarvi.»
Un barlume di speranza misto a panico la invase. Della Rovere era un amico di suo padre e la conosceva.
«Vi prego di seguirmi al posto di guardia.»
E così fecero, tra gli sguardi biechi di chi stava allontanandosi dalle porte per trovare un posto dove accamparsi.
«Resta con cavalli e bagagli, Eric. Della Rovere è un amico di mio padre, forse lo hai anche visto al castello durante qualche visita. Non avrò problemi con lui, almeno lo spero.»
Il guerriero annuì e si fermò di lato alla porta rinforzata della torre. In quel punto il caos prodotto da ruote, zoccoli e mormorii era amplificato dalla volta di Porta Levante.
Lei, invece, esitò sotto l'architrave, inspirò e varcò la soglia.
La stanza era piccola e maleodorante, le uniche aperture erano la porta dalla quale era entrata e una piccola finestra. Le scale di pietra che salivano verso l'alto erano sorvegliate da una guardia mentre Della Rovere sedeva a un tavolo con diverse pergamene sparpagliate sulla superficie.
«Vostra Altezza.» Il comandante si alzò e fece un lieve inchino. «Spero che il Re si stia riprendendo, ho saputo che non ha potuto incontrare l'Abate e il Gran Maestro.»
Il ricordo di quella cena, di quelle due persone, le provocò un brivido. Le notizie corrono veloci. Troppo.
«Quando ho lasciato Castelnovo era molto stanco e dispiaciuto.»
Della Rovere annuì. Doveva avere la stessa età di suo padre. Capelli del tutto bianchi, una ragnatela di rughe a segnare il volto cotto dalle continue esposizioni a freddo e sole. Anche la cappa che indossava era rovinata dalle intemperie e dall'uso quotidiano, eppure in sua presenza non poteva far altro che provare rispetto e timore. Timore che le avrebbe posto domande alle quali non voleva rispondere; non sarebbe riuscita a mentire a un uomo come lui.
«Spero, Altezza, che non stiate viaggiando sola. Le strade sono diventate molto pericolose.»
Solo allora si accorse di avere i pugni serrati. Allentò la stretta. «Mi accompagna un guerriero fidato e capace, comandante.»
«Bene. I rapporti parlano di scheletri e morti usciti dalle tombe. Nella confusione creata dall'apparizione di queste creature è anche probabile che i criminali trovino modo di agire indisturbati. Non vorrei vi trovaste in situazioni pericolose.» Si fermò a osservarla e schiarì la gola con un colpo di tosse. «Anche in città abbiamo qualche problema. Al normale flusso di pellegrini, mercanti e viaggiatori si è aggiunto quello di persone che stanno lasciando il nord e cercano rifugio tra queste mura.» Portò entrambe le mani dietro la schiena e strinse gli occhi. «Mi duole dirlo, ma la città non è più sicura come una volta e vi pregherei di fare molta attenzione, questa notte. Le porte resteranno chiuse fino all'alba e ormai Porta del Sole e Porta della Luna non aprono che di rado. Avrete visto di certo i bivacchi lungo il ponte. È l'unico conforto che possiamo dare prima di riaprire la città al mattino. E tra poco non ci sarà neanche più posto per tutti.»
Astoria strinse di nuovo i pugni. Non mi ha chiesto nulla. Non ancora.
«Questi sono tempi pericolosi, mia Signora. Tempi di passaggio verso un futuro incerto e circondarsi di persone fidate è l'unica protezione sulla quale potremo contare.»
Sta cercando di dirmi qualcosa?
«Benvenuta in città, dunque. Quando tornerete a Castelnovo, portate i miei saluti al Re. Vi comunico che all'imbrunire e per tutta la notte in città vige il coprifuoco. Vi consiglio di cercare quanto prima un alloggio sicuro.» Fece un inchino e si voltò verso la porta. «Giulio!» urlò. Entrò la guardia che li aveva fermati poco prima. «Fa' entrare la principessa e il suo accompagnatore.»
«Sì, Signore.»
Astoria salutò con un cenno del capo e uscì. I primi lampioni erano stati accesi ed Eric era appoggiato al muro. Bastò fargli un cenno e si avviarono alla porta, ormai sgombra di persone.
Lo stridere dei cardini, il tonfo del battente e il cigolio dei chiavistelli provocarono la nausea ad Astoria.
«Cosa ti ha detto?»
«Che siamo chiusi dentro fino a domani mattina e dobbiamo lasciare la strada al più presto perché è stato istituito il coprifuoco.»
Pur sussurrate, quelle parole sembrarono echeggiare tra le mura di quella strada quasi deserta, mischiandosi al fracasso che gli zoccoli provocavano sul selciato. Tanto valeva urlare "Ehi, siamo qui". Maledizione! Siamo gli unici con i cavalli. Chiunque potrebbe notarci.
«Sta andando tutto male» sussurrò. «Tra pochissimo saremo soli per strada. E gli altri che staranno facendo? Neanche io sapevo del coprifuoco.»
«Dovremo evitare le strade principali e fasciare gli zoccoli ai cavalli, se non liberarcene.»
«Non scherzare.» Si fermò a osservare una via secondaria e vi si diresse. «Cominciamo ad avvicinarci a una locanda, poi vedremo come comportarci.»
«Io non scherzavo. Fermiamoci in un vicolo e fasciamo gli zoccoli.»
Astoria sospirò. Eric aveva ragione, in fondo sarebbe stato un gesto sospetto tanto quanto la loro presenza in strada dopo il tramonto. «Sì, d'accordo. Ma lo faremo a ridosso della taverna, quella dove ci fermammo l'ultima volta, ricordi? Come si chiamava?»
«"Il Gatto Nero", me la ricordo. È qui vicino.»
«Già, ci metteremo un po' più in disparte e fasceremo gli zoccoli. Comunque c'è qualcosa di strano.»
Non riusciva a togliersi dalla testa l'atteggiamento di Della Rovere. Intanto le brontolò lo stomaco.
«A cosa ti riferisci?»
«Il comandante. Non mi ha chiesto il motivo della mia presenza in città.»
«Meglio così, no? Forse aveva fretta, oppure non voleva fare brutta figura con tuo padre.»
Sarebbe stata troppa fortuna. Scosse la testa. Il motivo doveva essere un altro.
«Però mi ha detto delle cose, come se volesse mettermi in guardia.»
Ormai il sole era tramontato, ma le strade erano ben illuminate dai lampioni. E loro erano le uniche presenze ad aggirarsi per quelle vie. Voltarono l'angolo e la strada si aprì in una piccola piazza, nella quale confluivano altre tre stradine. Sul lato più lungo si trovava il Gatto Nero, un edificio a due piani, con le finestre quasi tutte illuminate e un vociare confuso che proveniva dall'interno.
«Eric, cosa ti sembra?»
Si fermarono. Al centro della piazza c'erano cinque figure con le cappe bianche. Al richiamo di una di loro cominciarono ad avvicinarsi.
«Un agguato.»
Ci stavano aspettando. Il cuore prese a batterle più forte.
«Eric» sussurrò e gli strinse la mano, senza distogliere lo sguardo dai cinque chierici ormai a un passo.
«Vostra Altezza.» La voce roca del più robusto le ferì le orecchie, penetrandole nella testa. L'inchino, compiuto con un gesto troppo ampio delle braccia, e il ghigno stampato sul volto la costrinsero a stringere di più la mano di Eric.
«Siamo qui per scortarvi al sicuro. Vi prego di seguirmi.»
«Sembra sappiate chi sono.» Aveva bisogno di tempo per riflettere. «Mentre non conosco chi e perché abbia dato un simile ordine.»
Fuga. Ma per farlo dovremmo combattere e...
«Le strade di notte potrebbero essere poco sicure, mia Signora. Io sono il capitano Colonna. Vi scorterò in un luogo più adatto.» Indicò di lato.
Eric. Gli avrebbe stritolato la mano se ne avesse avuto la forza.
«Un luogo più idoneo?» Con lo sguardo cercò di individuare gli ingressi dei vicoli che avevano intorno. Dove conducevano? Forse potevano tornare indietro.
«Sì. Ci seguirete?»
Astoria sollevò lo sguardo verso Eric, in cerca di un segno che le indicasse la decisione da prendere: attaccare e fuggire o seguire quegli individui.
Eric scosse piano la testa.
Furono condotti attraverso le vie più strette e scure della città, fino a un edificio scuro e malandato. In quella piccola piazza c'era un cumulo di rifiuti ammassato vicino a un'altra costruzione che rendeva l'aria maleodorante.
«E questo sarebbe un luogo adatto a cosa?» Astoria non riusciva a respirare bene, aveva quasi l'affanno. Non ci posso credere. Come usciremo da questa situazione? E Sofia? Lorcan e Clivia?
«A parlare, mia Signora.»
L'interno puzzava di muffa ed era male illuminato. Furono condotti al piano superiore, lungo un corridoio con le porte da ambo i lati, alcune dotate di chiavistelli. Si fermarono davanti alla seconda e Colonna invitò Astoria a entrare. Era una camera spoglia, illuminata da una piccola lampada a olio.
È una trappola, lo so, ma che posso fare?
Due passi all'interno e la porta fu chiusa. Sentì girare la chiave nella serratura, urlare Eric, dei colpi e un tonfo.
«Aprite immediatamente!» Forzò la maniglia, spinse, tirò e colpì la porta. «Aprite! Non potete arrestarci!»
«Non siete in arresto, Altezza.»
Il tono con cui Colonna pronunciò la parola "Altezza" conteneva tutto il disprezzo che il capitano provava per la sua persona.
«Dobbiamo tenervi al sicuro.»
«Non fategli del male!» urlò Astoria, prendendo a pugni la porta. «Avete sentito?» Forzò ancora la maniglia. «Non fategli del male o ne risponderete al Re!» Il pugno che sferrò fu più forte e sentì la pelle aprirsi.
Quella minaccia suonò più vuota della stanza in cui si trovava. Scivolò in ginocchio, la fronte contro la porta e le lacrime, calde, a bagnarle il viso. Lo sapevo, maledizione! Eric...
Tirò su col naso e si guardò la mano. Le faceva male e la nocca sul mignolo era coperta di sangue. Si voltò e posò la schiena contro la porta. Non potevano restare lì.
Eric.
Era stato colpito, non aveva dubbi. Chiuse gli occhi e poggiò la testa.
Eric.
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